BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 16/05/2005

POETARE IN CONFERENCE CALL

di Amalia Vetromile

A volte rileggere un libro dopo molti tempo apre nuovi confini. Vengono incontro concetti che erano stati tralasciati, frasi non sottolineate allora – si cercava altro in quel libro – ora evidenziate e commentate a margine. Sto riaprendo molti libri di teatro per cercare spunti diversi da quelli investigati allora, adeguati alla mia attuale transizione, secondo la definizione che ne dà Eugenio Barba nel suo libro La canoa di carta (ed. il Mulino). La transizione intesa come ricerca dello sconosciuto piuttosto che della conoscenza.E addentrandomi nuovamente in queste affascinanti pagine, cercando appunto, non di consolidare una – seppur limitata - conoscenza dell’affascinante mondo teatrale del secolo scorso, ma nella speranza di imbattermi in un mondo sconosciuto, ho letto in una nuova luce l’antropologia teatrale. Che, secondo quanto riporta Barba, “Non va confusa con l’antropologia dello spettacolo (….) L’Antropologia Teatrale indica un nuovo campo di indagine: lo studio del comportamento pre-espressivo dell’essere umano in situazione di rappresentazione organizzata”.Da questa lettura e da un recente fatto personale, sono nate alcune riflessioni.

In quanti modi comunichiamo

La comunicazione attuale è basata molto su e-mail, sms, poi ci sono il telefono, le conference call, le video-conference. Solo una piccola parte della nostra comunicazione affettiva, ma anche professionale, è svolta in modalità “face to face”.Anche buona parte della formazione è ormai stabilmente erogata in modalità e-learning, con classi virtuali animate da tutor ed esperti, anche se spesso arricchita da una componente in presenza per renderla “blended”.

Il teatro è stato sostituito dal cinema, dalla televisione, dove la comunicazione è unidirezionale, laddove nel teatro lo spettatore è invece parte integrante del collettivo artistico: senza pubblico uno spettacolo non va in scena, ci deve essere almeno uno spettatore.

Senza nulla voler togliere – ma anzi attingendone a piene mani - alle potenzialità che le tecnologie ci offrono ampliando a dismisurala nostra capacità di comunicare e di aprirci alla conoscenza, purtuttavia se è vero, come è vero, che gli scambi culturali, professionali e affettivi si avvarranno sempre più di strumenti telematici e della loro integrazione, è forse necessaria una riflessione su come non perdere la componente pre-espressiva della comunicazione stessa..

Sempre in “La canoa di carta: “All’estero avevo perso la lingua materna (…). Concentravo la mia attenzione per captare mosse, corrugamenti, sorrisi (…). Cercavo di orientarmi in questo labirinto di fisicità e suoni riconoscibili eppure sconosciuti per spiegarmi (…) quali intenzioni si annidassero dietro complimenti, convenevoli, discorsi banali o seri. (…) ho appreso a vedere, a individuare dove, nel corpo, nasce un impulso, come si muove, secondo quale dinamismo e tragitto.”

Riconoscere segni di approvazione, simpatia, ostilità, apertura, sul volto delle persone che si incontrano prima ancora di conoscerle, prima che si inizi a parlare. Come rintracciaresegni nel movimento delle mani, il rossore sulle guance, l’imbarazzo svelato del respiro che impercettibilmente si affanna, i piedi che si incrociano, in un semplice messaggio di posta elettronica? Come pervadere di ironia, o autoironia, - quasi a mitigarne l’effetto - un messaggio che altrimenti risulterebbe troppo forte per chi lo riceve?

In quale modo si destreggia in rete la popolazione dei resilienti - lo siamo un po’ tutti in diversa misura -, abituata a rintracciare i sentimenti delle persone negli impercettibili gesti prima ancora di entrare in contatto verbale, per prepararsi all’incontro e, perché no, mettere in azione le giuste difese prima di rischiare un dolore.A onor del vero c’è da dire che i resilienti sono anche capaci di autocura: hanno solidi e affidabili anticorpi che corrono in soccorso della parte lesa – solitamente un angolo nascosto del cuore – la isolano, se ne prendono cura e la proteggono da altri possibili attacchi finché la ferita non si è rimarginata. Ma quanta energia sottratta alle capacità creative nel tempo del recupero.

Il galateo telematico

Dal “galateo” di wikipedia “La gente non può vederti e sapere di che umore sei. L'ironia non è sempre ovvia, e un testo crudo e insensibile può facilmente risultare rude. Sii attento alle parole che scegli: ciò che intendi potrebbe non essere ciò che gli altri penseranno.”

Quale nuova/e“etichetta/e” devono essere rispettate nelle odierne modalità di comunicazione?.

Mi è capitato, di recente, di vivere un “misunderstanding” telematico.Tra e-mail e sms mi sono sentita offesa. Probabilmente non sarebbe accaduto se le parole fossero state dette di persona, potendo guardare il colore che assumeva la pelle, il movimento degli occhi o la posizione del corpo di chi le pronunciava. Forse l’interlocutore avrebbe avuto la possibilità di vedere nei miei occhi l’ombra che li scuriva e spiegarsi meglio. Forse di persona avrei potuto chiarire quale percezione, inspiegabile a parole, mi aveva ferita. D’altra parte, va riconosciuto, la comunicazione attraverso le sole parole consente anche di prendersi un tempo, respirare, fare un po’ di “grounding”e avere, magari, il tempo di leggere tra le altrui righe la totale assenza di malafede. Comprendere che l’interlocutore, dall’altro capo del telefono, o del picci, o del palmare, non ha avuto modo di capire, perché non ha visto, il nostro turbamento- ben lungi questo da poter essere espresso solo dalle parole.

Numeri interi o decimali

Le parole sono dei numeri interi, le emozioni hanno i decimali; sono paragonabili al risultato della misura di una grandezza fisica, preciso in ragione della precisione che lo strumento stesso di misura consente, con una approssimazione di +– 1 sull’ultima cifra decimale apprezzabile, in funzione della strumentazione che si usa. La necessità di strumentazione raffinata è, naturalmente, adeguata alla grandezza che si va a misurare. Nel calcolare i chili di acciaio che servono per un palazzo non serve una bilancia in grado di esprimere una misura accurata al microgrammo, in un laboratorio di chimica quantitativa è decisamente utile disporne di una.

Le emozioni sono come la nuvola intorno al nucleo di un atomo dove è altamente probabile trovare un elettrone. Le espressioni pre-verbali risentono della presenza di altre emozioni – proprie e altrui - si potenziano, innescano reazioni a catena,si influenzano a vicenda, in perfetta sintonia con il principio di indeterminazione di Heisenberg.

La poesia come la luce

Forse la poesia! La parola usata come i colori di un pittore, senza un necessario nesso evidente, - come una melodia, ad avvicinarci al mondo dell’immaginale – potrebbe aggiungere senso e dilatare i contorni della parola fino a riportarla al pre-espressivo. Esprimere un concetto sfumando i confini con pensieri paralleli e sovrapposti, che aggiungono colore a colori preesistenti, facendo assumere alla frase tonalità esclusive, a sopperire la mancanza di sguardi, sorrisi, imbarazzi.

Si potrebbe provare, perché no, a poetare in conference call, a inviare in “attach” una poesia per meglio descrivere il complesso mondo dei sentimenti che riempie l’abito vuoto di una frase, il sottotesto – per dirla in linguaggio teatrale.

La poesia come la luce, con la sua doppia natura corpuscolare e ondulatoria.

Pagina precedente

Indice dei contributi