BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 04/06/2007

MOLTO MANAGEMENT PER NULLA. STORIA DI UN'INTERVISTA ALLA PRESENTAZIONE DI UN LIBRO (1)

di Amalia Vetromile

Ho letto su Bloom le “cinque domande impertinenti” poste da Gaiarin a Varanini (28/5/2007) e mi sono tornate in mente alcune domande che mi ha posto un giovane giornalista, qualche giorno fa, alla presentazione del mio primo libro a Roma, in Campidoglio.
Un bel volto sincero, mi sorrideva mentre mi chiedeva, appunto, impertinente: «Chi è lo Spirito Amante a cui dedica il libro?». Ed io, con disinvoltura: «Stanislavskij, il grande innovatore teatrale del Novecento, ispiratore dell’Actors Studio di New York, che per me è affettuosamente solo Costantino!». Sorride ancora il giovane che mi intervista, e mentre coglie subito il rimando del titolo alla commedia di Shakespeare, comincia a pormi le sue domande. È strano, sembra quasi che abbia già letto il libro, che invece gli è stato appena consegnato con la cartellina stampa; evidentemente fa parte di quelli che sono curiosi del “non noto”: la curiosità del “non noto” libera i neuroni a connettersi in sinapsi estemporanee che generano le correlazioni tra informazioni e argomenti e spunti apparentemente distanti tra loro. Creano opportunità di invenzioni e di orizzonti che si schiudono come arcobaleni inattesi e liberatori.
Mi guarda con il sorriso negli occhi e: «Di questi tempi sembra anacronistico sottolineare l’importanza della cultura…». «La cultura è il desiderio di conoscere – gli rispondo – è una tensione, significa essere in transizione. Cito Eugenio Barba che teorizza il concetto per cui tutti i grandi innovatori sono stati in transizione: se io mi considero arrivata, se l’attore crede ormai di aver interpretato bene il personaggio e si ferma lì, è probabile che la sera dopo non lo interpreti più bene; al contrario, non deve smettere di offrire al pubblico ogni volta nuove sfumature, come accade quando osserviamo il quadro di un pittore».
La sala del Carroccio del Palazzo Senatorio di Roma si affaccia sui Fori Imperiali, è un luogo suggestivo, intriso di storia; basta da sola a rendere magico qualsiasi evento. Comincia ad affluire il pubblico, mentre parlo del lavoro dell’attore come via per la crescita personale e professionale, per osservare con sguardo diverso le organizzazioni aziendali e il mondo del management, di come la metafora teatrale trovi ampia giustificazione all’interno di organizzazioni complesse – in un mercato globalizzato e altamente competitivo che richiede a tutti gli attori creatività e professionalità – senza per questo essere ridotto a mero spazio ricreativo spacciato per formazione manageriale. Di questo sono profondamente convinta: Una così enorme potenzialità non può essere banalizzata nell’ambito di semplici workshop in cui il docente recita un po’ di battute, fa la sua piccola performance ad uso di un gruppo di dirigenti in pseudo-vacanza o inscena una minirappresentazione con il gruppo di discenti; non può essere ricondotta semplicemente a spazio ricreativo spacciato per formazione manageriale.
La sala comincia ad affollarsi, qualcuno mi saluta mentre continuo l’intervista illustrando l’idea base del collettivo artistico, inteso come luogo dove le diverse professionalità, nessuno meno delle altre, concorrono alla riuscita di uno spettacolo; questo è altrettanto vero nelle aziende, soprattutto in quelle che producono servizi ad alto valore aggiunto dove c’è bisogno di competenze diverse e di coniugare la creatività con l’efficienza: team multidisciplinari dove ci sono tecnici, esperti di architettura, grafici, ma anche storici dell’arte, piuttosto che giornalisti o medici. All’interno del complesso sistema cliente/fornitore, nel collettivo produttivo, ciascuno ha il suo ruolo, anche la segretaria, il giovane programmatore, al pari e talvolta forse più dei manager. Anche il macchinista che tira su il
sipario, il tecnico delle luci, hanno la loro importanza nella riuscita dello spettacolo.
Poi introduco l’importanza dell’attenzione a quello che ci accade intorno, come stimolo per andare verso nuove conoscenze – quello che è la “memoria affettiva”, la pereživanie,  nel metodo Stanislavskij, che a me piace sintetizzare con “scavà int’ ‘o cascione” – ovvero quelle informazioni utili “for future use”, e dell’importanza della capacità di tenere insieme la componente cognitiva con quella emozionale, tipica dell’attore che mentre interpreta con passione un personaggio ha contemporaneamente sotto controllo la sua voce, i movimenti del corpo, le luci in sala, la risposta del pubblico. Insomma quello che io sono solita sintetizzare con una espressione napoletana: “cu ‘n uocchie guarda ‘a jatta e cu n’ato frie ‘o pesce”. Molte persone, invece, colgono e memorizzano solo le informazioni che appaiono utili nell’immediato, limitando gli orizzonti cognitivi alla risoluzione dei soli problemi attuali, senza la consapevolezza di disporre di un capiente “cascione”, utile ripostiglio
per curiosità intellettuali, scenari futuribili che possono tornare utili in momenti futuri, in incontri politici o strategici…Insomma provate a pensare al lavoro dell’attore come via per imparare una buona gestione della conoscenza.

Ormai è quasi ora di dare inizio alla presentazione, manca solo uno dei relatori, sono impaziente e, forse, emozionata; è una nuova esperienza, non lo sono più, da tempo, quando vado in scena, né – tantomeno –nei convegni, ma, forse, qui sta accadendo qualcosa di nuovo. Ciononostante, continuo a parlare con il giovane dagli occhi sorridenti quando mi chiede delle “diverse abilità” di cui parlo nel libro. Gli rispondo: «Io parlo dei diversamente abili intendendo la diversità come un’abilità che può essere in più o in meno: a volte però si tende ad appiattire le competenze perché è difficile gestire la complessità. Cosa porta una giovane non vedente a diventare campionessa di sci? Quale coraggio, determinazione, a cimentarsi in uno sport senza il dono della vista – un casco con occhi di
gatto dipinti – a fidarsi di chi le apre la strada. La si vede sfrecciare sulle piste innevate, si può quasi sentire il palpito tumultuoso del suo cuore in fiamme, sembra quasi di intravedere il suo sorriso, sotto quel casco con gli occhi di gatto (…) Non la canzoncina fatta cantare con compassione nelle feste di Natale ai più sfortunati; nessuna pietà sociale in questo caso, la campionessa si è messa in gioco totalmente, ha sfoderato le sue arti, non si è addormentata sui cuscini dell’autocommiserazione, ha preteso per sé il suo diritto alla vita piena. Ma la diversa abilità si manifesta anche nella espressione delle proprie potenzialità creative, che talvolta sono persone difficili da “gestire”, troppo intelligenti o con troppe curiosità culturali, troppo creative o troppo sensibili; insomma hanno qualcosa di troppo, si direbbe quasi che sono considerate “diversamente abili” e a volte sono trattate proprio così. E allora un bel chador emozionale può essere utile a “velare” la creatività continuando tuttavia a farsi toccare dai fatti, scuotere dalle emozioni... Chador e tubino nero …Questo è vero anche nel teatro. Come attrice ho cominciato con ruoli forti, d’effetto, e gradualmente sono andata verso l’ironia, la pulizia del personaggio per asciugarlo mettendogli un bel chador e tutto diventa più intenso. In fondo questo è vero nella scrittura, come diceva Eduardo de Filippo, nella scultura e nella pittura; basti pensare al percorso artistico di Kandinskij.
Il giovane mi chiede ancora, mentre la sala si affolla: «È importante in un’azienda conoscere il ‘dietro le quinte’?». «Nel libro gioco a descrivere il dietro le quinte delle gare di appalto – gli rispondo –  quello che succede nelle aziende la notte prima della scadenza della presentazione del progetto-offerta. Immagino che in tanti palazzi della stessa città ci sono persone – che lavorano in aziende concorrenti tra loro – che stanno “tirando notte” per la stessa gara cui si partecipa in tanti. E allora questo palcoscenico si anima. È un palcoscenico globale: siamo tutti colleghi della diaspora in quel momento perché magari nella gara d’appalto precedente eravamo in raggruppamento d’impresa oppure siamo amici e la sera andiamo insieme a un concerto e il giorno dopo proviamo a fregarci nel rispetto della leale concorrenza. È una specie di adulterio: nella gara successiva si va con un altro; è come quando si cambia il collettivo artistico».
Lo saluto ribadendogli la mia convinzione che ognuno di noi ha dentro di sé potenzialità per essere artista o scienziato o letterato. Poi si scelgono inevitabilmente solo alcune delle possibili vite per problemi fisici o temporali che ci impediscono di viverle tutte.
Inizia la presentazione. Ripenso per un attimo al sorriso aperto del giovane, mi conforta, conferma quello che ho scritto: un modo di lavorare sorridente è possibile, e non inficia la produttività, anzi, la potenzia. Il gioco contribuisce alla creazione del clima necessario alla sopravvivenza del collettivo artistico.


1 -Amalia Vetromile, Molto management per nulla. L’Azienda come scena teatrale, Guerini e Associati, collana Virus, 2007. Il libro si divide in tre parti: la scelta del teatro come una possibile via per la crescita personale; un ciclo di lezioni di teatro tenute da Stanislavskij a un team tecnico-commerciale di una grande azienda; una raccolta di scritti che trattano la curiosità del “non noto”, la capacità di tenere insieme componente cognitiva ed emozionale, le organizzazioni maschili, la resilienza; collocati in diversi contesti aziendali, sempre visti attraverso la lente del lavoro dell’attore.
Per chi è Milano il 12 giugno 2007 segnaliamo una occasione di incontro. (Nota di Francesco Varanini).

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