BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 11/04/2005

LA FORMAZIONE (E L'E-LEARNING, IL KNOWLEDGE MANAGEMENT E TUTTO IL RESTO): UNA PROPOSTA DI RIFONDAZIONE

di Francesco Zanotti

Una esigenza di rifondazione

Oggi la formazione sta vivendo unacrisi profonda. Di fronte a questa crisi la tentazione comune è quella di dare la colpa alla crisi complessiva che stanno vivendo la nostra società ed il nostro sistema economico. Essa costringe una classe dirigente un po’ ignava a scegliere, come risposta a questa crisi,una riduzione di costi che per prima cosa taglia i costi di formazione. Insomma tutti sembrano creder che la crisi della formazione sia una crisi di committenza.

Noi siamo convinti del contrario. Noi siamo convinti che la committenza non è ignava. Investirebbe volentieri in formazione se i formatori sapessero dimostrare come la formazione può generare uno sviluppo alto e forte. E i formatori non lo sanno fare.

Insomma noi crediamo che la crisi sia una crisi di offerta e non di committenza. E consista nel fatto che la formazione continua a immaginarsi un ruolo che ha perso di significato.

E questo accade perché hanno perso il senso dei fini.

Quattro segni dei tempi …

Per convincersi che la crisi della formazione non è causata da una committenza insensibile, ma da una proposta formativa inadeguata basta guardare a quattro indizi”, veri e propri segni dei tempi.

La dimensione retorica della formazione

Ma sì, la dimensione dei vizi privati e delle pubbliche virtù. La formazione è quella cosa della quale tutti parlano bene. Ma che poi si cerca di fare il meno possibile e di delegare il più possibile. Di fronte a questo fenomeno le interpretazioni possibili sono due. La prima è che il top management sia insensibile. La seconda è che la formazione sia nobile, ma inadeguata. Purtroppo la seconda interpretazione è quella che ci sembra più probabile

Il top management non fa formazione

Ecco detta così la frase può essere smentita. Ma basta correggerla un poco. Quando accetta di “fare formazione”, in realtà accettaincontri con personaggi noti o con “docenti” stranieri che non si ha il coraggio di confessare che non si conoscono.

Ma se si tratta di processi formativi più intensi (formazione attiva e simili) li rifiuta.

La ragione ufficiale è la mancanza di tempo. Le ragioni reali sulle quali i formatori sono chiamati a riflettere sono due.

La prima è che la formazione attiva costringe il top management in un ruolo subalterno rispetto al formatore. E questo è inaccettabile per ogni top manager.

La seconda èla banalità dei “contenuti”. Si propongono quasi esclusivamente temi di management minuto: dalla leadership fino a scivolare al time management. E non si affrontano i temi nei quali le scienze manageriali hanno fatto più progressi come: la strategia, la gestione degli attori politico sociali, l’etica, solo per fare qualche esempio.

Il risultato atteso è la gratificazione.

Sembra che non esista la possibilità di misurare in modo convincente l’utilità della formazione. Se si cercano misure estreme come il ROI si arriva a conclusioni assolutamente non convincenti (ci scappava di scrivere: ridicole). Se si dichiara che gli obiettivi formativi sono esprimibili in termini soft e verificabili a lungo termine si genera scetticismo. Se si cerca di misurare i risultati sulla soddisfazione degli utenti si rinuncia ad essere vero stimolo allo sviluppo. E’ una situazione che non aiuta a superare il complesso dei “vizi privati e delle pubbliche virtù”!

Il ruolo politico sociale dei formatori è banale.

In una società della conoscenza i formatori dovrebbero essere i professionisti chiave per costruire sviluppo: sono coloro che forniscono metodologie e tecnologie per “maneggiare” la conoscenza.

Dovrebbero essere i professionisti che affollano tutti i consigli di amministrazione delle organizzazioni orientate allo sviluppo. Tra di essi dovrebbe essere scelto il top management.

Dovrebbero essere i professionisti ai quali si affidano le grandi operazioni di salvataggio e di ristrutturazione che sono essenzialmente operazioni culturali.

Così non accade. Il fatto che si propongano “contenuti” piccolo manageriali, che anche a questo livello i formatori siano solo “ripetitori” e non produttori di innovazione, che non si riesca ad esibire risultati convincenti per il top management non aiuta certamente i formatori a fare un salto di qualità nel loro ruolo politico-sociale.

Il cammino per costruire una alternativa

I segni dei tempi convincono che la crisi della formazione è una crisi di proposta, ma non riescono a indicare come potrebbe essere una proposta alternativa.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario comprendere più a fondo quali sono le esigenze fondamentali di imprese ed organizzazioni in generale, confrontare questa esigenze con le prestazioni delle attuali proposte formative e dettagliare dove queste proposte falliscono.

L’esigenza delle organizzazioni: un cambiamento profondo

La sfida fondamentale a cui sono sottoposte le organizzazioni (economiche e non) è quella del cambiamento profondo. Esso si esprime in nuove strategie e nuove strutture organizzative, ma poi deve tradursi in nuovi comportamenti. La sfida dell’innovazione profonda è allora la sfida del cambiamento di comportamenti..

La formazione: uno strumento di trasferimento

Come collegare strategie e comportamenti?

La risposta pressoché unanime è che gli “intermediari” tra strategie e comportamenti sono nuovi valori condivisi, nuove competenze e nuove conoscenze. E la formazione è costituita da tutti quei processi che “trasferiscono” i nuovi valori, le nuove competenze e le nuove conoscenze.

Ma le attività formative non riescono a trasferire alcun che!

Partendo dall’esigenza di assolvere a questa funzione si discute di come rendere efficiente ed efficace il trasferimento. Si propongono “tecnologie” nuove che vanno dall’utilizzo di linguaggi del cervello destro (musica, cinema, teatro) all’utilizzo delle Web Technologies che permettono di organizzare processi di auto trasferimento. E si insiste sul docente (chissà perché non si usa il termine più chiaro di “insegnante”?) e sulle sue competenze.

Ma così facendo non si riesce a trasferire un bel nulla! E se anche ci si riuscisse sarebbe un risultato sterile. Vediamo di illustrare le ragioni di questa affermazione.

La prima è che si dimentica quella che è la scoperta fondamentale dell’antropologia: non vi è nulla da trasferire. Intendiamo dire che almeno valori e competenze sono proprietà emergenti. Che non esistono indipendentemente dal processo e dal contesto che le genera.

Questa scoperta mette in crisi radicalmente ogni processo di trasferimento, qualunque sia la metodologia e tecnologia di trasferimento utilizzata, perché gli sottrae la materia prima. E lancia una sfida: i valori e le competenze non possono essere l’input di un processo formativo: ne possono essere solo l’output.

Per confrontarsi con questa sfida si sono inventate le metodologie attive o metodologie come l’outdoor. Sostanzialmente si tratta di processi che permettono ad un gruppo sociale di sperimentare valori o competenze. Ora, queste metodologie rispettano il fatto che valori e competenze siano emergenti. Ma non rispettano il “principio del contesto”. Perché attivano processi di sperimentazione in situazioni artificiali. Nel senso che non sono le situazioni nelle quali si troverà a vivere il “discente”. Questo significa che sì il discente avrà sviluppato valori e competenze, ma non saprà trasferirle nel contesto della sua vita lavorativa. Cioè non saprà trasformarle in nuovi comportamenti nel suo contesto lavorativo.

Un diverso approccio ha utilizzato chi ha cercato di esplorare fino in fondo la strada dell’emergenza. I valori e le competenze sono emergenti nel senso che vengono create ex novo da colui che certamente non può più essere definito un discente.

Questo processo, sulla carta, valorizza appieno la personalità del non più discente, ma, nella realtà, esiste una prima possibile obiezione: quando si offre una occasione di espressione alle persone non è detto che queste producano nuovi valori, nuove competenze e nuove conoscenze. Normalmente fanno proprio il contrario: utilizzano ogni stimolo come occasione di conferma delle loro identità. Ma al di là di questa obiezione, ve ne è un’altra più importante.

Quando anche questo processo portasse a nuovi valori, nuove competenze e nuove conoscenze, queste sarebbero assolutamente astratte perché mancherebbero loro i collegamenti sia dall’alto che dal basso. Dall’alto non sarebbero collegati alle strategia. Dal basso rischierebbero di generare comportamenti “anarchici”, con obiettivi individuali e non finalizzati alla creazione di valore di quell’agglomerato sociale che è l’impresa.

Nonsi riesce a trasferire neanche se si usano le tecnologie avanzate

Se dalle metodologie tradizionali passiamo alle tecnologie avanzate (le diverse proposte di utilizzo delle Web Technologies) la situazione non migliora.

L’occasione persa dell’e-learning

Negli ultimi anni è tornata in auge la logica dell’auto formazione supportata da tecnologie sull’onda di internet. E si è chiamata e-learning. E’ stata una grande opportunità per rivoluzionare il fare formazione, ma fino ad oggi, è stata una opportunità sprecata. Per lo scetticismo di fondo dei formatori tradizionali che la vedevano come un pericoloso concorrente per quell’aula che dava loro da campare. Per la scarsa capacità progettuale di fornitori che si limitavano a proporre singole tecnologie spacciandole per la “soluzione finale”.

Per l’approccio “parrocchiale” di troppi responsabili di e-learning che badavano a non rendere l’e-learning troppo importante in modo che non sfuggisse loro di mano. Per mille altre ragioni che, tutte insieme, hanno generato investimenti persi dietro chimere (ad esempio: la piattaforma fatta in casa che poi verrà venduta sul mercato) insensate e rifiuto di investimenti in aree decisive come la sperimentazione di nuovi processi di apprendimento.

L’esperienza dell’e-learning è fallita perché si è cercato di rilanciare la formazione o di aprire nuovi spazi di mercato attraverso una etichetta. Senza affrontare quel processo di cambiamento culturale d operativo a cui ogni innovazione profonda costringe.

L’occasione di fuga del knowledge management

Con il knowledge management si è cercato di ripetere la strategia dell’etichetta. Fallita l’etichetta dell’e-learning si è sposata l’etichetta al knowledge management. Non riflettendo sul fatto che essa, per non essere solo etichetta, richiede lo stesso cambiamento culturale ed operativo dell’e-learning. Senza riflettere sul fatto che non vi è alcuna differenza sostanziale tra e-learning e knowledge management: sono ambedue proposte di gestione della conoscenza. La prima è più orientata alla creazione e distribuzione di conoscenza. Il secondo è più orientato a problemi di stoccaggio e accesso alla conoscenza. Sono evidentemente due proposte complementari.

Ma quella del knowledge management rischia di essere una etichetta più duratura perché le imprese si guardano bene dal provare a metterla in pratica.

La soluzione blended come tentativo di tregua

Tra tutti questi strumenti vi è stato un tentativo di conflitto: suggerito dal calare dei budget per la formazione. E’ evidente che, calando i budget, se si spende nell’e-learning si spende meno nell’aula. Ma questa battaglia è rimasta molto in sordina perché si è scoperta la strategia del “blending”. Se non vogliamo che la battaglia delle metodologie e delle tecnologie diventi cruenta, allora diciamo che occorre usarle tutte: la formazione blended appunto.

Ma questo mischiare è oggi assolutamente strumentale, non è fondato su di una nuova (necessariamente nuova) visionerei processi formativi e dei processi di apprendimento che specifichi il ruolo delle diverse metodologie e tecnologie. E’ quasi una distribuzione del mercato: un tanto a questa tecnologia, un tanto a quell’altra. Con alcuni miti incrollabili come quello dell’aula come strumento principe del dialogo umano. Anche se in quell’aula parla uno stanco formatore che presenta da anni gli stessi lucidi a persone altrettanto stanche di sentirli l’ennesima volta.

Una proposta di rivoluzione

Le esigenze di cambiamento profondo delle imprese e delle organizzazioni non sono eludibili. E’ necessario trovare il modo attraverso il quale le imprese e le organizzazioni trasformino i loro progetti di cambiamento strategico-organizzativo in comportamenti.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario tornare a chiedersi: a cosa serve la formazione? Detto diversamente: quale è la sua funzione nel supportare i processi di cambiamento strategico organizzativo?

Noi abbiamo costruito una risposta a questa domanda. Il nostro stimolo è stato uno spirito di servizio sociale profondo.

Un progetto di ricerca

La prima novità della nostra proposta è la sua origine. Essa non nasce dall’imitazione o dall’esperienza e dalla riflessione solitaria di qualcuno. Essa nasce da un preciso sforzo di ricerca originale che nessuno in Italia ha oggi l’ambizione di fare.

La ricerca è partita da una nuova formulazione della metafora della complessità che ci ha permesso di comprendere i segreti dei processi di sviluppo. Sia dei processi di sviluppo aziendali che dei processi di sviluppo politico-sociali. In particolare, ci ha permesso di comprendere la forma e i problemi di quei particolari processi di sviluppo che producono valori, competenze, conoscenze e comportamenti.

Una nuova visione: una formazione poietica, olistica ed olografica.

La soluzione di una formazione blended, nel senso dell’ammucchiata, non è funzionale alla trasformazione delle nuove strategie in comportamenti adatti a realizzare queste strategie.

Il nostro progetto di ricerca ci ha permesso disviluppare una nuova visione della formazione, un nuovo modello di processo formativo ed una nuova modalità di gestione della formazione.

La nuova visione della formazione: la formazione non è un processo di supporto al cambiamento organizzativo oppure allo sviluppo del business. Essa è il momento privilegiato di cambiamento organizzativo o di sviluppo del business. Cioè deve arrivare a generare comportamenti nuovi che vengono misurati dai risultati di business che producono. Per esser ancora più espliciti: significa abolire la vecchia formazione esterna ai processi di business che, pur nobile e pregevole, si fermava davanti alle porte della realtà. A noi sembra necessaria una formazione che costruisca la nuova realtà delle imprese e delle organizzazioni.

Questa visione si concretizza in un nuovo processo formativo e in una nuova modalità digestione della funzione formazione.

Il nuovo modello di processo formativo:

Una formazione che genera sviluppo nel modo precedentemente descritto è poietica, olistica ed olografica web based.

La nuova modalità di gestione della formazione:


Chi vuole partecipare al dibattito su ‘dove vala formazione’ può scrivere come al solito a Bloom. Chi invece vuole partecipare in un modo qualsiasi al progetto proposto da Francesco Zanotti, può scrivergli all’indirizzo francesco.zanotti@atmanproject.it

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