BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 28/05/2001

La formazione come "luogo" di definizione della strategia 1

di Francesco Zanotti

Esiste uno sforzo diffuso e generalizzato per costruire una nuova formazione. Questo sforzo ha prodotto nuove metafore del fare formazione. Ad esempio, la formazione come gestione della conoscenza. Oppure la formazione che ricerca obiettivi etici ed estetici.

Ma io ritengo che siano metafore auto riferite. Che parlano più di desideri che dei modi di realizzarli.

Io credo che non si riescano a fare progressi decisivi a causa di due anelli mancanti.

Il primo anello è il seguente: si affrontano troppo superficialmente i processi cognitivi. Se si approfondisse un attimo di più si scoprirebbe che non esistono i processi di apprendimento. Almeno come sono generalmente intesi: processi attraverso i quali la conoscenza si trasferisce da un "emettitore" (chiamato "docente") a un ricevente (chiamato "discente"). Non esistono neanche i processi "speculari". Cioè i processi attraverso i quali un discente autoapprende una conoscenza che esiste fuori di lui.

Se si guarda ai recenti progressi del cognitivismo (anche fermandosi al connessionismo e senza arrivare alle ipotesi di Varela e alle conclusioni alle quali sono arrivato ragionando su quelle ipotesi) si scopre che il cervello umano, non apprende, ma crea conoscenza.

Non è nominalismo. Significa che non esiste un processo di trasferimento di conoscenza. Né nel senso "passivo" dell’insegnamento, né nel senso attivo dell’apprendimento. Come non esiste un processo di comunicazione (per questo si vedano i lavori di Luhmann).

Esistono processi di invio e di ricezione fisica. Ma non di invio e di ricezione cognitiva. Quando un elemento di conoscenza arriva al cervello, questo lo interpreta in modo che sostanzialmente dipende dal suo stato interno. Più che lo interpreta, lo metabolizza. Cioè lo trasforma profondamente. Per inciso, questo ragionare porta a concludere che la conoscenza non si può gestire (che è sinonimo di controllare). Perché essa è libertà in azione….

Il problema funzionale fondamentale allora cambia completamente. Non consiste nell’efficienza e nell’efficacia del processo di insegnamento/apprendimento. Consiste nel fatto che il processo che accade veramente (la creazione di nuova conoscenza) non percorra le dinamiche di un disco rotto. Il problema fondamentale, insomma, è che si riesca ad attivare un processo metabolico di tipo creativo. E non la banale omologazione della conoscenza, che viene ricevuta, alla conoscenza passata. Che ritorna come le eterne note di un disco rotto.

In qualche senso una forma di apprendimento esiste. Ma coincide proprio con la dinamica del disco rotto: che ripercorre sempre lo stesso solco!

Questo tipo di apprendimento è, in realtà, la manifestazione del legame di accoppiamento strutturale che lega un sistema complesso operazionalmente chiuso con il suo ambiente. Ed è un processo di riduzione della conoscenza alla conoscenza sopportabile dal sistema. E’, in sostanza, un processo di conservazione.

Mi si permetta una parentesi: tutti i processi di apprendimento sono processi di conservazione. E’, ad esempio, un fenomeno di conservazione il fenomeno dell’apprendimento organizzativo (la così detta learning organization).

Ecco il discorso ci porterebbe troppo lontano. Per gli scopi di questo articolo mi basta sia chiara la tesi che voglio sostenere: gli esseri umani non apprendono, ma creano costantemente nuova conoscenza.

Ora non posso non riconoscere che, dette così le cose, sembrano un dramma per le imprese. Infatti, se non esistono processi di apprendimento, tutti i processi di cambiamento sono destinati a generare anarchia strategica. Ogni persona crea la propria immagine del cambiamento. Quella immagine che, poi, lo porterà a scegliere i propri comportamenti. E poiché le immagini saranno inevitabilmente scoordinate, accadrà che lo saranno anche i comportamenti…

E qui veniamo al secondo anello mancante: la cultura e l’esperienza strategica. Purtroppo l’esperienza dei formatori si è formata troppo lontano dalla stanza dei bottoni! Non voglio dire che non ci vanno mai. Voglio dire che ci vanno solo per prendere ordini. E mai per giocare anche loro con i bottoni.

Anche la loro formazione culturale è lontana dalla strategia. Chi ha mai visto un formatore italiano proporre (e, poi, tenere, cioè farsi accettare) seminari di strategia d’impresa?

Mi si permette una seconda piccola parentesi? Riflettendo su questa carenza di esperienze e cultura strategica dei formatori, forse, si comincia a far luce sul perchè essi non riescano ad occuparsi intensivamente della formazione del top management.

Ma non è questa la sede per approfondire. Meglio tornare al discorso principale.

Per dare un’occhiata a cosa accade nella stanza dei bottoni. Detto diversamente: per dare un’occhiata alla cultura ed all’esperienza strategica.

Così guardando, si scopre che oggi, soprattutto nella grandi organizzazioni complesse, il processo di formulazione della strategia è sostanzialmente sterile. Si producono strategie imitative e generali. Lasciamo in sospeso il tema dell’imitazione ed affrontiamo quello della generalità. Forse sarebbe stato meglio parlare di genericità…

Intendo dire che le scelte strategiche non si declinano quasi mai fino ad indicare comportamenti specifici…. Mi immagino l’obiezione fatale: ma non è possibile declinare a questo modo le scelte strategiche! Certo che non è possibile. Ma, allora, riconosciamo le conseguenze di questa impossibilità. Se le scelte strategiche non arrivano a proceduralizzare i comportamenti, significa che questi sono liberi. Cioè che le singole persone devo declinare le strategie nel loro specifico organizzativo o di mercato! Ma questa declinazione non è definizione di dettagli. E’, guarda caso, una vera e propria riscrittura della strategia.

Ecco, ora posso tentare una sintesi dei contributi dei due anelli mancanti.

Il contributo "negativo": non solo non è possibile insegnare una strategia perché non è possibile apprenderla, ma anche perché una strategia da insegnare non esiste!

In contributo positivo. Utilizzando questi due anelli mancanti si può davvero costruire una nuova metafora del fare formazione. Nel modo seguente.

Il problema fondamentale di una organizzazione complessa è quello di essere in grado di sviluppare non solo una strategia articolata, ma anche una strategia nuova. Prima avevo parlato solo di strategia sterile. Poi avevo affrontato, per comodità di discorso, solo una delle due caratteristiche che ci avevano fatto parlare di strategia sterile: la genericità. Ora possiamo affrontare anche l’aspetto della "imitatività" che è l’altra faccia della medaglia della sterilità. Perchè dobbiamo costruire una soluzione che li risolve entrambi!

La scienze cognitive e l’esperienza e la cultura strategica (saldate in una stretta alleanza) rivelano che è possibile progettare una strategia che sia feconda (cioè articolata e nuova) solo coinvolgendo tutti coloro che abitano l’organizzazione.

Ma coloro che abitano l’organizzazione non possono partecipare a questo progettare con comportamenti cognitivi da disco rotto. Non darebbero un contributo, ma genererebbero solo resistenze. Coloro che abitano emotivamente e fisicamente l’organizzazione devono essere aiutati ad uscire da se stessi, dal loro passato (dalle loro gabbie cognitive) e costruire una nuova immagine del mercato e dell’organizzazione. Per essere aiutati devono essere forniti di materia prima cognitiva. Che non dovranno apprendere, ma usare come materia prima.

E, poi, occorrerà che siano coinvolti in un processo di sintesi delle diverse immagini in modo da costruire una immagine comune del futuro del mercato e dell’organizzazione che non solo contenga, ma valorizzi ogni singola immagine.

Solo la strategia che nasce da questo processo è una strategia che ha non solo elevate probabilità di essere realizzata. Ma anche di avere successo.

Se il processo di sviluppo della strategia non può che essere questo, allora si tratta di un processo di creazione sociale di conoscenza.

E qui, finalmente arrivo alla nuova metafora del fare formazione.

Chi all’interno dell’organizzazione si può candidare a guidare questo processo di creazione sociale di conoscenza?

Ma inevitabilmente il formatore. Che da anni si sta sforzando in questa direzione senza avere il coraggio di dirselo.

Egli deve, però, far evolvere le sue metodologie perché siano adatte al nuovo compito. Soprattutto deve decidersi ad un utilizzo massiccio delle Web Technologies che sono la uniche che gli possano permettere di organizzare quel processo di creazione sociale di conoscenza che è la formulazione della strategia.

Ecco, mi sembra di poter concludere. La mia convinzione è che utilizzando come materia prima una visione meno primitiva dei processi cognitivi e di formulazione della strategia si scopre quale possa essere una nuova metafora per la formazione del primo decennio del terzo millennio: la formazione è la funzione che presidia il processo di formulazione della strategia. Troppo audace?


Note:
1 -  L’autore ha pensato questo testo come ‘reazione’ al contributo di Davide Storni Oltre la formazione. Alla ricerca di un nuovo metodo per la gestione della conoscenza.

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