IL RUOLO SOCIALE DELL'IMPRENDITORE: UN VALORE "CONSERVATORE"?
Mi permetto di proporre alcune considerazioni emotive. Cioè buttate giù come il cuore di “ditta dentro”. Forse troppo sintetiche, ma se sarà necessario si può approfondire…
Il parlare di responsabilità
sociale ha senso solo in una società industriale. E per piccole imprese
che operino in questo tipo di società.
Si tratta di un richiamo ad evitare eccessi di egoismo!
La dottrina sociale della Chiesa Cattolica, nel contesto di una società
industriale, parla della funzione sociale della proprietà!
Ma poiché non siamo più in una società industriale, cosa dire e pensare?
Naturalmente non spetta a me indicare dogmi, ma forse piccole proposte sì!
Per illustrare queste proposte, comincerei da una serie di fatti ..
Il primo. Molti business non industriali non hanno solo un impatto sociale, ma sono intrinsecamente sociali! Consideriamo ad esempio due aree di business fondamentali per le compagnie di assicurazione: la sanità e la previdenza. Ogni proposta di business (di servizio e di compenso per il servizio) è possibile solo all’interno di uno specifico modello di stato sociale. Cioè fare strategia significa contribuire a progettare una nuova società.
Il secondo. Consideriamo il sistema bancario. Le banche si trovano in un drammatico impasse strategico: strategie tutte uguali (crescita dimensionale) che non portano ai risultati ufficialmente attesi (aumento di efficienza). Per superare questi impasse occorre immaginare un nuovo ruolo per il sistema bancario. Ad esempio: invece di tentare di essere un fornitore sempre più sofisticato di denaro e servizi finanziari, diventare fornitori di sviluppo per il sistema delle piccole e medie imprese! Una strategia che funziona ha intrinsecamente un valore sociale.
Il terzo. Cambia il processo strategico. Che non può più essere una scelta razionale di vertice, ma un scelta sociale di tutta l’organizzazione. Le ragioni? Immaginate una banca. Ascoltate le sue strategie (dichiarate dal top management e approvate dai Consigli di Amministrazione). E, poi mettetevi nei panni di un Direttore di Dipendenza con l’obiettivo di applicare queste strategie. Vi troverete a doverle declinare così profondamente che è come riscriverle. E vi troverete soli a riscriverle. Con il risultato che ogni Direttore di Dipendenza le riscriverà a modo suo. Trasformando strategie apparentemente forti e precise in una Babele di implementazioni disordinate e scoordinate! Allora è necessario un processo strategico nuovo. Dove la strategia è il risultato di un processo di creazione sociale di conoscenza.
Non posso dettagliare. Devo tentare
una sintesi La mia tesi? Perché le imprese svolgano la loro funzione
sociale basta che abbiamo il coraggio di ricominciare a fare strategia!
Il vero problema è che oggi nessuno fa strategia. Ci si limita a vivacchiare
ricercando obiettivi conservatori ed egoistici come la competitività,
l’efficienza e la qualità.
Di fronte a queste strategie
egoistiche che possono portare a sfruttamento delle risorse sociali da parte
di pochi, occorre allora porre dei valori di contenimento come il significato
sociale dell’impresa e la necessita di un agire etico.
Ma, lo ripeto, siamo costretti a porre vincoli solo perché le imprese
hanno rinunciato a progettare e realizzare grandi strategie. Se ricominciassero
a pensare in grande, sarebbero “costrette” da questo stesso pensare
in grande a immaginare progetti che sono intrinsecamente sociale oppure hanno
nessuna probabilità di realizzarsi.
Tentando di allargare il discorso:
da tutto quello che ho detto nasce una curiosa tesi. La seguente: in una società
complessa, fare impresa, sviluppare sistemi sociale, riformare le istituzioni
sono compiti strutturalmente simili. Trattano oggetti diversi. Ma richiedono
lo stesso processo di progettualità strategica.
E questa a sua volta richiede una nuova cultura di gestione che mi sembra si
possa contrapporre alla cultura tradizionale nel modo seguente: dal mito del
controllo all’ecologia del progetto.