BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 07/04/2003

PERCHE' IL TOP MANAGEMENT RIFIUTA LA FORMAZIONE?

di Francesco Zanotti

La mia idea di ‘consulenza di direzione’ è questa: una consulenza che diventi protagonista dello sviluppo del nostro sistema paese. E non una professione di ripiego quando mancano spazi aziendali.

Applico qui l’idea pensando a un mercato particolare: il sistema bancario, per il semplice motivo che esso è il sistema di distribuzione delle risorse in un moderno sistema economico. Quindi è il sistema centrale per costruire sviluppo. Una sua modernizzazione è una delle sfide fondamentali per lo sviluppo del sistema paese.
Guardando al sistema si possono formulare una serie di metafore, si possono immaginare servizi in quattro aree fondamentali:

·        lo sviluppo della strategia

·        lo sviluppo dell’organizzazione

·        lo sviluppo del mercato

·        lo sviluppo delle competenze

In particolare mi concentrerò qui su riflessioni su di un tema specifico, ma di portata generale: la formazione al top management delle banche.

Vorrei condividere queste riflessioni con i lettori di Bloom.

La tesi fondamentalmente è la seguente:

1

Il top management fino ad oggi ha giudicato inutile

sprecare tempo in aula

2

Ed ha avuto ragione!

·        Perché disponeva di tutte le competenze che gli servivano per governare lo sviluppo della banca

·        Perché i contenuti che venivano proposti dai formatori erano giudicati banali

·        Perché il processo di formazione che veniva proposto era relazionalmente inaccettabile

·        Perché i formatori avevano (e continuano ad avere) hanno scarso potere e scarsa immagine

Dopo la sintesi, ecco il dettaglio della nostra tesi

1

Il Top management ha giudicato inutile

sprecare tempo in aula

E’ un dato di fatto che la quantità di formazione che viene erogata ai top managers: è assolutamente ridotta. E tende ad essere sempre più ridotta.

Tendono a sparire gli interventi di formazione vera e propria, dove esiste, in qualunque forma, un gestore del processo di apprendimento.

.

Rimangono occasioni relazionali, come incontri con personaggi famosi (ma sempre meno accademici o consulenti. Sempre più solo managers famosi e celebrati), oppure forum, tavole rotonde. Insomma rimangono le occasioni di auto rappresentazione (attraverso la parola o un rito di appartenenza), non quelle dove i top managers sono chiamati a fare da pubblico all’auto rappresentazione del formatore. Tentando una sintesi con linguaggio moderno, i top managers accettano solo di partecipare a riti di celebrazione di Peer Communities. Oppure di iniziazione a Peer Communities che giudicano appetibili e alle quali non hanno ancora avuto accesso.

Ma le occasioni relazionali sono ristrette. Ed allora non sono momenti di crescita, ma di autoreferenzialità

Forse che il top management si dichiara immune dall’esigenza proclamata e celebrata della formazione continua?

Un po’ sì! A causa della percezione che ha delle sfide strategiche che deve affrontare. Ne parleremo più avanti.

E un po’ no! Un po’ ammette che anch’egli è partecipe ad un mondo dove è maggiore la conoscenza sconosciuta che quella padroneggiata.

Ma questa ammissione non riguarda le così dette competenze manageriali, ma conoscenze “strane”. Diciamo meglio: il Top Management sente il bisogno di “Cultura” (con la “C” maiuscola). Cioè di riflettere sulle idee che parlano dell’uomo e del suo destino. Ma, allora, si rivolge alla letteratura, all’arte, alla storia. Ed ai media (eventi, riviste, manufatti) che veicolano queste conoscenze. Ancora una volta non ad un corso di formazione.

2

Ed ha avuto ragione!

Noi pensiamo che questa scelta del top management sia stata fino ad oggi quasi obbligata per due ordini di motivi.

Il primo motivo è che al top management non servivano davvero nuove competenze manageriali.

Fino a ieri il sistema bancario era massicciamente impegnato in un processo di “concentrazione virtuosa”. Cioè in un processo di aggregazione tra banche giudicate troppo piccole per affrontare i nuovi mercati finanziari creati dalla deregulation e dalla globalizzazione.

Questo processo era progettato senza le persone. Infatti:

·        La scelta di quali aggregazioni effettuare era compiuta dal Vertice della banca, assistiti da Advisors autorevoli. Tutte le altre persone potevano solo stare a guardare. Continuare il loro lavoro chiedendosi ogni tanto quale sarebbe stato il loro destino.

·        Gli elementi per operare queste scelte erano: titoli, organizzazioni formali, bilanci.

·        Era realizzato senza le persone. Infatti si traduceva in atti “formali” che coinvolgevano professionisti esterni e i mercati azionari.

Per gestire un processo di “concentrazione virtuosa” di questo tipo al top management non servivano nuove competenze manageriali. Bastavano (anzi venivano valorizzate) le tradizionali competenze di un top manager. Che sono le competenze necessarie alla preservazione ed al funzionamento (mantenimento) della struttura burocratica della singola banca e del sistema bancario nel suo insieme. Esse sono sostanzialmente competenze relazionali. Più in specifico: competenze di gestione del potere.

Vi è da aggiungere che queste competenze manageriali non sono state acquisite attraverso processi di formazione. Perché nessuno ha mai tentato di formalizzarle ma sono poi formalizzabili?). Ma solo attraverso una lunga e diversificata esperienza che ha garantito al top management l’acquisizione praticamente di tutte le competenze necessarie all’interpretazione efficace ed efficiente del loro ruolo. Sia le competenze professionali che le competenze relazionali (politiche) senza le quali non avrebbero avuto accesso a quel ruolo.

Non vogliamo dire che il Top Management si sia disinteressato di formazione. Ma il suo ruolo è stato di stimolo e controllo all’avvio di processi di formazione della sua organizzazione. Con risultati, dal punto di vista della formazione manageriale, che, purtroppo, l’hanno deluso! I managers coinvolti nei processi di formazione hanno acquisito competenze “strane” (e questo forse era nei patti, perché l’obiettivo della formazione era quello di far acquisire nuove competenze. Che, essendo nuove, sembrano strane per forza). Ma queste competenze “strane” non hanno prodotto i risultati attesi. Facciamo un esempio: le competenze di marketing e vendite. I top managers più accorti .. hanno percepito che queste nuove competenze, da un lato, venivano giudicate banali (e non applicate) dai migliori venditori. E, dall’altro, non servivano a trasformare in buoni venditori i venditori mediocri.

Esiste una sorta di verifica della tesi che abbiamo appena presentato: i corsi di formazione manageriale non sono mai stati abilitanti per la carriera. E questo significa che, nella sostanza, la formazione non è mai stata giudicata una leva decisiva.

Il secondo è che i formatori hanno dato una grossa mano al formarsi di questo giudizio.

Infatti stanno proponendo da decenni (almeno due) competenze manageriali banali attraverso un processi formativi inaccettabili.

Competenze manageriali banali …

Abbiamo già anticipato il discorso parlando della delusione di fondo riguardo ai risultati della formazione manageriale.

Ora ne riveliamo la ragione. Quelle che vengono spacciate dai formatori come nuove competenze manageriali sono, in realtà, competenze micro-organizzative.

Proviamo a fare una lista dei “cavalli di battaglia” dei formatori:

·        Competenze “intimiste” che spingono ad affrontare il crescere dei conflitti con ricette di “buona creanza organizzativa”, come le tecniche di comunicazione interpersonale.

·        Strumenti per “sopire” i conflitti, come le tecniche di motivazione, negoziazione e leadership.

·        Tecniche di manipolazione di origine terapeutica come la programmazione neuro linguistica (PNL)

·        Tecniche di pianificazione e controllo, come il management by objectives o il project management. Che sono adatti a progetti di tipo ingegneristico, ma non a progetti strategici. Oggi servirebbero altre tecniche di project management che siano adatte a creare organizzazioni e non a costruire ponti.

·        Competenze di marketing e vendite riciclate dai beni di largo consumo.

Sono cavalli di battaglia un po’ bolsi. Per l’età, perché sono cavalli di battaglia che i formatori cavalcano da anni. Ma sono anche “intrinsecamente” bolsi, cioè sfasati rispetto alle sfide percepite dal top management.

Il top management ritiene necessarie competenze strategiche. Ma per quanto riguarda le competenze strategiche che si trovano sul mercato accade che:

·        esse non siano nel patrimonio conoscitivo dei formatori. Né a livello teorico, né a livello esperienziale. I formatori tendono, quindi, a non parlare mai di strategia. Applicando con grande coerenza lo stesso (lo diciamo ironicamente) orientamento al cliente che insegnano nei corsi di marketing.

·        Siano “sbagliate” perché permettono di progettare l’identità e il posizionamento della banca sul mercato. Ma accade che il top management ha fino ad oggi percepito che le sfide a cui si è trovato di fronte non siano state sfide di mercato, ma di potere E ritiene che, per affrontare queste sfide, trovi più efficiente ed efficace la sua esperienze ed il suo sistema relazionale.

Attraverso processi di formazione inaccettabili!

Non solo i contenuti sono banali (quando non controproducenti), ma accade che anche i processi attraverso i quali questi contenuti vengono veicolati siano sostanzialmente inaccettabili

Infatti si tratta di processi che nei casi migliori creano realtà virtuali che, poi, si scontrano con realtà reali così diverse da generare frustrazione perché tutto quanto si è imparato nelle situazioni virtuali sembra idealistico, se non manipolante.

Nella maggior parte dei casi sono veri e propri processi di clonazione perchè attivano una relazione di potere tra docente e discente. Il docente si propone l’obiettivo di “clonare” il discente facendo in modo che acquisisca le conoscenze di cui è detentore (è questo possesso che lo fa docente). Il discente deve diventare simile al maestro!

Non facciamoci trarre in inganno: le attività formative di tipo “attivo/partecipativo” accentuano questa sensazione di clonazione perché non solo pretendono di imporre “contenuti”, ma vogliono anche costruire un ambiente dove il discente diventa strumento del gioco manipolatorio del formatore.

Questo tipo di relazione genera resistenza da parte di chi non si può rifiutare di sottoporsi alle attività di “clonazione formativa”. E il rifiuto, tout court, da parte di chi a questo tentativo di clonazione ha il potere di sottrarsi (tipicamente gli alti livelli organizzativi). Soprattutto il top management. Che, in sostanza, è costretto da questo tipo di processo proposto dal formatore, a rinunciare, anche se nel fondo del cuore volesse partecipare, ad attività di formazione/aggiornamento perché non può accettare la relazione che essi propongono.

Vogliamo, in sintesi, dire che le attività di formazione attualmente proposte sono relazionalmente inaccettabili per il top management, oltre che a causa di contenuti banali, anche a causa della relazione che impongono. Dai, lo confessino i formatori: qual è il loro sogno fondamentale? Ma è quello di “avere tra le mani” i top managers. Per spiegare loro, finalmente, come devono gestire la banca. Più brutalmente: per crearsi un ambiente virtuale dove diventano amministratori delegati (con tutti i difetti del peggior stereotipo di amministratore delegato) per un giorno.

Ecco i formatori tengono nascosto questo sogno anche a loro stessi. Ma, per sfortuna loro e di tutti coloro che desidererebbero strumenti di accesso alla conoscenza meno relazionalmente penalizzanti, questo sogno traspare da ogni loro proposta. E si tratta di un sogno, giustamente, irrealizzabile.

In qualche caso i processi di formazione sono, in realtà, processi “cabarettistici” nei quali il docente si pone l’obiettivo di fare spettacolo, divertire o emozionare. Non intendiamo negare un ruolo allo spettacolo. Ma riteniamo che la via dello spettacolo sia aperta solo agli artisti. Che raramente albergano in formatori interessati solo a piazzare copioni oramai riconosciuti come banali.

La scarsa legittimazione sociale dei formatori.

I formatori sono improponibili come fornitori di formazione al top management anche per altri motivi di, diciamo, scarsa legittimazione “sociale”.

I formatori italiani (e anche i consulenti di direzione che, poi, finiscono per fare i formatori) non hanno uno standing internazionale. Non esiste, ad esempio, alcun formatore italiano autore di best sellers. Oppure docente da una prestigiosa Business School. In realtà hanno uno standing molto minuscolo: venditori di corsi, sempre uguali.

Vogliamo dire che, anche immaginando che un formatore abbia contenuti rilevanti e non sia così relazionalmente immaturo da usare la formazione per superare le proprie frustrazioni, siamo costretti ad ammettere che questo formatore sarebbe comunque oggi un “Signor Nessuno”.

E non è onestamente possibile proporre al top management di assistere ad una lezione di un Signore Nessuno.

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