BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 09/01/2006

3:43:01. LA PRIMA VOLTA

di Fabrizio Badiali 

Pochi sport praticati sono metafore soggettivamente significative come la corsa -la maratona in particolare-. Metafore del lavoro su di sé, della conoscenza profonda non solo del proprio corpo, maancor più della propria mente. La maratona è innanzitutto un lavoro mentale. (F.V.)

Alla partenza eravamo in 5000 e più, suddivisi all’interno di gabbie in base al tempo stimato di percorrenza della maratona. Pochi secondi prima dello starter ho visto intorno a me ovunque centinaia di braccia lanciare in aria felpe, sacchetti di plastica, berrette e quanto altro fosse servito a riscaldarsi.

Alla mia sinistra un nonno simpaticissimo di 82 anni con un tempo personale di 6 ore e 30 minuti.

Siamo partiti…l’eco della gente attorno, tutti sgomitano e dopo 500 mt una decina di persone si scosta dal gruppo e fa subito la pipì nei giardini di porta Venezia, qualcuno dice “la prostata”.

A sinistra fino in piazza della Repubblica ad una andatura di 5:30 al km giusto per scaldarsi; è la mia prima maratona e sono emozionato. Voglio fare bene, ma non ho precedenti termini di confronto, infatti non ho mai corso più dei 32 km della Milano/Pavia dove ricordo che al 26 km mi vennero i crampi agli addominali e dovetti rallentare fino a camminare per alcuni tratti.

C’era il sole, siamo passati davanti al cimitero monumentale poi verso la stazione Garibaldi e lì ho vissuto un momento di sospensione estatica, nel mio campo visivo c’erano più o meno una cinquantina di persone, tutti vicini il gruppo non si era ancora diradato, il sole alto in viso e all’unisono nuvole di respiro in controluce che aleggiavano come tante locomotive lanciate.

Viale Tunisia all’altezza della piscina Cozzi…BIIIIP/BIIIIP i primi 5 km con il rilevatore del passaggio che suona: alla scarpa sinistra infatti ho un chip elettronico (nella maratona di Venezia, collegandosi a internet è possibile seguire un partecipante lungo il percorso).

E poi giù verso Buenos Aires, piazzale Piola, viale Emilia Romagna e siamo al decimo: mi ascolto, tutto va alla meraviglia, le braccia perfette cadenzano il movimento ed equilibrano la spinta in avanti; non ho il fiatone e converso tranquillamente con alcune persone accanto.

Poi cambia lo scenario, il pubblico dirada e siamo attorno a p.le Bologna ed entriamo nella tundra: la temperatura si abbassa, ai bordi della strada neve e davanti a te qualcuno urla “ghiacciooooo”.

Cittadini insofferenti che suonano il clacson, incubati nelle macchine accese in fila; qualcuno apostrofa un “…per ‘sti quattro stronzi che corrono”…avrei fiato per rispondergli e non solo, ma proseguo rimanendo concentrato.

Sono il pilota in pista e Jean Todt al muretto: mi telemetrizzo in tempo reale, alcuni parametri:

  • il respiro con il diaframma;
  • la postura delle braccia e delle mani;
  • la posizione del busto;
  • l’appoggio dei piedi e la falcata;
  • la spinta coordinata con il respiro…

Verso Abbiategrasso, superato il 15 km, siamo sul naviglio pavese…il fiume è ghiacciato e la nebbia consente una visibilità di 100 mt scarsi…casacche inghiottite da una prospettiva sfumatacome un color pastello che tutto avvolge e rende indefinito nei contorni: faccio la pipì anch’io nel retro di un’officina.

Superata la metà della gara è iniziata una fase di verifica: stavo tenendo bene senza alcun segno di abbandono fisico o tentennamento, certo sentivo la parte centrale di entrambi i piedi un po’ indolenzita e le gambe infreddolite, attorno a me occhiali con la brina, sopraciglia ghiacciate e nasi rossissimi.

Nessun crampo ed un personaggio da dietro che mi raggiunge ansimante: mi affianca, ha un passo pesantissimo e scoordinato, mi supera e respira sempre più in affanno.

Mi si mette proprio davanti a meno di un metro, ma io dico?

Allora per fastidio piuttosto che per agonismo, lo supero e senza accorgermene non sento più il suo respiro, mi volto e non c’era . Pensare che non mi ero neanche accorto di essere a ridosso del 25 km e andavo con della birra nelle gambe ad una andatura costante di 4 minuti e 50 al km; e quante persone prendevo, mi sentivo come Valentino Rossi quando Meda in una telecronaca dice “…ecco lo squalo ha tirato fuori la pinna…l’ha messo nel mirino e sta per colpire…”.

Arriviamo al 30 e qui come è scritto nei manuali di running…c’è il famigerato MURO, quasi una barriera fantozziana che ti aspetta, ma è solo un trucco della testa perché basta dire che ne mancano solo dodici alla fine. E così è stato, non ci credevo, andavo che era un piacere, eravamo dopo via Ludovico il Moro e continuavo a superare decine e decine di persone con un passo che mi sbalordiva. Al 35 km due miei grandissimi amici mi aspettavano, la mia fidanzata a riprendermi con la telecamera e loro con scarpette e tenuta da corsa mi hanno accompagnato fino all’arrivo.

Gente che camminava, chi faceva ai bordi della strada stretching, chi vomitava, chi si slacciava il pettorale e “gliela dava su”, chi ancora correva piegato a metà che non lo vedevi in viso.

Cittadini scatenati a suonare, vigili titubanti…ai ristori ogni 5 km campi di battaglia a terra di bottigliette d’acqua, bicchierini rossi e spugne azzurre e siamo in Buenos Aires, mancano 2 km all’arrivo sono carico, non ci credo, mi sto commuovendo, spingo e ce n’è ancora, le ultime centinaia di metri sono transennate e il pubblico ti incoraggia con entusiasmo, è li davanti a te poi gli ultimi passi, un sorriso le braccia alzate e arrivo al traguardo della mia prima maratona con un tempo personale di 3:43:01 e vomito tre volte un po’ di banana, malto destrina e integratore, ma mi riprendo subito e mi sento vivo come non mai e pronto per preparare la prossima gara.

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