BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 16/02/1999

Tesi su globalizzazione, identità multiple, geopolitica della complessità.

di Gianluca Bocchi

1. Il fatto che le modalità di funzionamento dei sistemi sociali oggi prevalenti si basino non sulla valorizzazione della diversità ma, al contrario, su una forte spinta verso l’omologazione non dovrebbe essere tranquillamente archiviato come "ovvio" e "naturale". È invece un’anomalia, il segno di un profondo disagio della civiltà umana che nel corso della storia, e forse con particolare intensità negli ultimi secoli, ha espresso una violenta carica distruttiva. Gli scenari della storia planetaria, particolarmente dopo l’approdo europeo sul continente americano nel 1492, sono stati dominati da questa spinta, che il più delle volte ha perversamente regolato le relazioni fra le molte collettività del pianeta: pochi modi di vita espansivi, con le loro economie, le loro religioni, le loro culture, le loro lingue hanno soggiogato, assorbito, estirpato la gran parte degli altri modi di vita. Ciò ha segnato non solo l’espansione europea in molte altre parti del mondo, ma anche le relazioni fra i cinesi e i loro vicini, fra giapponesi e Ainu, fra il mondo arabo-islamico e il mondo africano.

Per di più, la riduzione forzosa della diversità si è imposta quale sorta di principio organizzativo trasversale all’interno di molte collettività umane: dallo stato nazionale, in cui le maggioranze hanno attivamente operato per assimilare o per espellere le minoranze etnico-religiose, alle istituzioni educative, che ancor oggi si fondano su programmi e curricula identici per tutti gli individui, su criteri di valutazione lineari e gerarchici, su verifiche basate sulla presunta acquisizione di un denominatore comune di un corpus di conoscenze.

Laddove l’omologazione non ha portato a conseguenze estreme (pulizia etnica), perché un gioco di spinte e controspinte ha prodotto una situazione di stallo, è sorta una fascia ambigua e fluida, segnata dalla separazione e dalla coesistenza armata. Esemplare al proposito è il modo di scioglimento delle guerre di religione che insanguinarono il continente europeo per più di un secolo, nel Cinquecento e nel Seicento, dopo la riforma protestante. Il principio regolatore che allora prevalse fu: cuius regio, eius religio. L’affermazione di fatto di un pluralismo confessionale sulla scala complessiva del continente europeo si coniugava con l’omologazione confessionale su base territoriale, in cui le unità omogenee o da omogeneizzare coincidevano in genere con i confini degli stati ed erano guidate dalla volontà dei governanti. Così la diversità veniva programmaticamente collocata altrove, poteva essere percepita e vissuta solo al di là di una frontiera.

2. Questo scenario, a grandi linee, ha dominato gli ultimi tre secoli dell’età moderna, presentando riproposizioni e sfumature anche nei micromondi delle relazioni fra gli individui e i gruppi e le collettività di cui fanno parte.

Oggi, tuttavia, si moltiplicano i segni che indicano come questi equilibri stiano venendo rapidamente meno. Fra questi segni, uno dei più importanti è un processo di deterritorializzazione che sta investendo molteplici realtà politiche, sociali, organizzative, economiche. È messo radicalmente in discussione il potere coesivo della contiguità spaziale. Gli stati nazionali sono indotti o costretti a problematici trasferimenti di una parte della loro effettiva autorità non solo a realtà territoriali più ampie (confederazioni continentali) o più ristrette (le realtà regionali emergenti), ma anche a reti di individui e di relazioni trasversali e, talvolta, diffuse e delocalizzate (le multinazionali, i centri finanziari, le lobby di interesse, le stesse diaspore etniche). Nell’immagine dell’azienda, spesso, vi è un conflitto fra i principi asseriti delle relazioni gerarchiche verticali e delle separazioni funzionali, e le prassi operanti delle integrazioni funzionali e delle rotazioni di ruoli e di compiti: gli stessi confini fra "interno" ed "esterno" diventano sfumati, laddove la figura univoca del dipendente lascia il posto a quella molto più polivalente del consulente. Il modo di vita di un individuo nelle città contemporanee è sempre più staccato dalla prossimità spaziale, in modo tale che ogni individuo si ritaglia una propria mappa di spostamenti e di condivisioni di relazione, e diventa spesso problematico far convergere tutte queste mappe nella figura tradizionale della cittadinanza.

3. Tutti questi processi, naturalmente, sono intensificati e moltiplicati dalla diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. L’individuo contemporaneo appartiene a molteplici reti di diversa portata ed estensione, è il nodo in cui molte di queste reti convergono, è un importante canale attraverso cui queste reti interagiscono ed evolvono insieme.

Le trasformazioni planetarie in atto impongono di ripensare le idee tradizionali di identità e di individuo. La figura chiave che sta emergendo è quella di un individuo dotato di identità multipla, costantemente declinata e rideclinata a seconda dei contesti e delle reti di relazioni di cui egli entra (spesso simultaneamente) a far parte. Al proposito, la sfida istituzionale più forte è quella di ripensare le tradizionali forme di autorità politica in maniera tale da rispettare (se non di favorire) la pluralità e la ricchezza di queste identità.

4. Emerge una nuova figura di individuo, non più definibile da un'appartenenza forte, non più definibile da un'appartenenza univoca a questo o a quel gruppo sociale, inteso come categoria fondante della sua identità. L'individuo tende ad apparire sempre più come il punto di intersezione di molteplici collettività e di molteplici categorie, con storie e portata assai differenti.

Nella maggior parte dei casi, i valori e le aspettative di queste molteplici collettività a cui appartiene uno stesso individuo sono divergenti; in taluni casi sono esplicitamente conflittuali. Questa scissione è sempre meno eliminabile dalla stessa vita quotidiana di ogni individuo: ciascuno deve sempre effettuare difficili scelte per stabilire un accettabile equilibrio e un'accettabile compatibilità fra i molteplici e diversi sistemi di valori e di aspettative a cui appartiene.

La nozione tradizionale di identità collettiva ha concepito i confini come una barriera che separa dall'altro (e non anche come una membrana che consente di filtrare le differenze e di comunicare grazie alle differenze).

Applicata agli organismi politici e statali, questa nozione di identità è semplificatrice e unilaterale. Questa nozione di identità è in particolare inadeguata per descrivere la storia e la cultura dei popoli europei. Sia la storia che la cultura dei popoli europei sono segnati da una molteplicità di dimensioni che diventa sempre più difficile e pericoloso ignorare.

5. Ogni nazione europea ha un'identità molteplice. Ogni Stato europeo ha un'identità molteplice.

Che cosè, infatti, il territorio di una nazione?

Una risposta monodimensionale ci direbbe che il territorio di una nazione è quello racchiuso nei confini di un determinato Stato nazionale, di quello Stato in cui la nazionalità in questione è predominante o addirittura unica. La disgregazione dell'Unione Sovietica, della Cecoslovacchia e della Iugoslavia sembrano avere esteso anche all'Europa centrale e centro-orientale un'equivalenza generica fra Stato e nazione: oggi, la quasi totalità degli Stati europei è centrata attorno a una nazionalità dominante, con una serie più o meno cospicua e localizzata di altre nazionalità che vengono dette "minoranze".

Ma un esame più dettagliato del popolamento delle stesse aree d'Europa ci dice che praticamente ogni Stato nazionale lascia al di fuori dei propri confini una frazione anche rilevante di individui della medesima nazionalità, e che tutti gli spostamenti dei confini del passato hanno mantenuto o incrementato situazioni di questo genere. In un certo senso, una nazionalità percepisce come inerente al proprio territorio tutte le zone abitate dagli individui che a tale nazionalità appartengono, siano dentro o fuori i confini dal proprio Stato. Naturalmente, le aree situate fuori dai confini del proprio Stato appartengono anche al territorio di un altro Stato nazionale. Nei numerosissimi casi di mescolanze etniche, i territori delle nazioni si sovrappongono inevitabilmente.

Il territorio di una nazione può essere però definito anche in un altro modo, più ampio, ma forse più significativo. Le nazionalità possono essere definite non soltanto (e non sempre) dalla condivisione di una medesima lingua, di una medesima religione, di medesimi usi: talvolta, alcune di queste condizioni non sono soddisfatte, e talvolta non è sufficiente nemmeno la loro congiunzione. Molto importante per l'individuo di una data nazionalità è, in ogni caso, la sensazione di condividere con altri individui una medesima comunità di destino, di far parte di una storia ininterrotta che lo connette con radici comuni nel passato prossimo e remoto.

Ogni nazione ha inoltre i propri miti, i propri eventi, i propri eroi fondatori: e, nella maggior parte dei casi, questi miti, questi eventi, questi eroi sono collocati in tempi e spazi particolari. Si dà il caso che, per alcune nazioni, molti di questi miti, di questi eventi, di questi eroi siano ora collocati in luoghi che stanno al di fuori del territorio della nazione nei sensi più ristretti del termine: sono collocati in luoghi che oggi non soltanto cadono al di fuori dei confini del proprio stato nazionale, ma che non sono nemmeno abitati da individui della propria nazionalità. Tuttavia, questi luoghi continuano a far parte del territorio della nazione in una terza accezione del termine, che coinvolge storia, cultura, radici e immaginario di un popolo.

Nel nostro secolo, la drammatica storia dell'Europa centrale e orientale ha prodotto e spesso imposto importanti spostamenti di popoli. I governanti che li hanno favoriti hanno creduto di poter ottenere una maggiore omogeneità nazionale, di ridurre le minoranze etniche, al limite di far sì che ogni individuo venisse collocato entro i confini del proprio Stato nazionale. In altre parole, si è cercato di far coincidere le due prime accezioni del "territorio di una nazione", di eliminare cioè la seconda accezione a tutto vantaggio della prima, di ridurre il più possibile le sovrapposizioni fra territori differenti. Ma questi spostamenti di popoli non sono stati completi: le mescolanze etniche non sono scomparse e, talvolta, nuovi spostamenti di confine hanno prodotto nuove minoranze, nuove forme di mescolanza etnica. Ma, soprattutto, qualunque modifica possa essere stata apportata ai territori delle nazioni interpretati nei primi due sensi ("ristretti") del termine, nessuna modifica ha agito conseguentemente sul legame di una nazionalità con il suo territorio interpretato nel (terzo) senso più ampio del termine. Gli individui di una data nazione possono essersi spostati, ma non hanno dimenticato le proprie radici e i propri miti fondatori. Al contrario, il legame con queste radici e con questi miti fondatori è diventato talvolta ancora più saldo quando il territorio più ampio è stato svuotato degli abitanti della nazionalità originaria, coartatamente o per accidente.

Appare in primo piano la multidimensionalità delle nazioni e dei loro territori, l'inevitabilità di sovrapposizioni a tutti i livelli, l'intrecciata coesistenza di differenze all'interno di organizzazioni e di collettività che ambiscono a definire una propria identità unitaria.

Gli attuali assetti politici europei hanno dato in gran parte per scontata la possibilità di comprimere su un unico piano i sensi e le dimensioni molteplici del "territorio di una nazione".

Oggi dobbiamo prendere sul serio l'inevitabilità e l'irriducibilità delle sovrapposizioni, e cercare di tradurre la comprensione culturale di tali sovrapposizioni in forme istituzionali e politiche.

6. Con questi nuovi occhiali, con questa nuova sensibilità per il carattere molteplice delle identità collettive, possiamo identificare nuovi processi e nuove opportunità, laddove altrimenti appaiono solo impasses e nuovi muri. La stessa idea di identità molteplice può essere uno strumento per contribuire a una maggiore integrazione fra gli attori europei. Un aspetto ulteriore dell'identità collettiva, che accomuna Stati, nazioni, regioni dell'Europa occidentale e dell'Europa centro - orientale concerne infatti la memoria, l'esperienza, le interazioni di Stati, nazioni e regioni. Un'analogia con quanto avviene per la definizione dell'identità di un individuo ci aiuterà a precisarlo. Oggi le scienze cognitive mostrano come l'identità (cognitiva ed emotiva) di un individuo dipenda in modo essenziale da tutta la storia di interazioni che l'individuo intrattiene o ha intrattenuto con altri individui del medesimo livello. Allo stesso modo, molti tratti dell'identità statale, nazionale e regionale dipendono in modo essenziale dall'insieme delle interazioni che ogni stato, nazione e regione intrattiene o ha intrattenuto con altri stati, nazioni e regioni. Tutta la storia europea ha definito costantemente relazioni e reti di relazioni fra Stati, nazioni e regioni, sulla base dell'appartenenza a una medesima istituzione politica, sulla base dell'appartenenza a una medesima comunità religiosa, sulla base di finalità condivise di tipo economico, culturale, progettuale, sulla base di relazioni etniche, di legami nell'immaginario, sottili ma ad ampio raggio. Queste relazioni e queste reti di relazioni si sono trasformate, si sono intrecciate, si sono unite, si sono scisse...

Alla fine del secondo millennio, ogni luogo d'Europa mantiene in sé una memoria stratificata di queste relazioni e di queste reti, presenti e passate, simboliche e materiali. Valorizzare questa dimensione della memoria e dell'esperienza dei luoghi europei deve essere una mossa decisiva per costruire un futuro culturale, politico ed economico per il nostro continente.

7. Dietro alle contrapposizioni ancora virulente (nazionalismo versus internazionalismo, stato nazionale versus federalismo europeo, rivincita degli Stati nazionali versus fine degli Stati nazionali e, ancora, regionalismo versus statalismo o localismo versus globalismo), scopriamo un processo già in atto, dalla cui buona riuscita può dipendere in gran parte la validità dei nuovi assetti europei: un processo definibile come una decentrazione funzionale dell'autorità politica e dei processi di decisione, a seconda degli obiettivi, dei problemi, dei contesti in gioco.

La scena europea del nostro secolo è stata dominata dal potere assoluto di Stati nazionali quasi tutti caratterizzati da un'etnia dominante. Questa sovranità assoluta oggi è messa in discussione almeno in tre direzioni.

Una direzione che va dal basso verso l'alto: i nuovi problemi ecologici impongono una decentrazione dell'autorità nazionale a contesti metanazionali, transnazionali e talvolta di portata planetaria.

Una direzione che va dall'alto verso il basso: maggiore responsabilizzazione delle regioni e delle unità amministrative locali e metropolitane può in molti casi migliorare i tempi e la qualità dei processi di decisione.

Una direzione per così dire ,laterale: molti contesti decisionali diventano oggi nuovi circuiti e nuove reti di stati, regioni, collettività, ottenute scomponendo e ricomponendo i contesti territoriali tradizionali.

Una lunga serie di ragioni rende indispensabile la costruzione di reti associative di portata sempre più ampia: rivoluzione delle comunicazioni; mondializzazione dell'economia; vastità e imprevedibilità dei flussi migratori; necessità di enormi investimenti per l'innovazione tecnologica e per lo sviluppo del Sud del mondo; una questione ambientale sempre più drammatica, che non conosce confini né di Stati né di continenti; la stessa progressiva costituzione di un immaginario planetario. In particolare, la mondializzazione dell'economia, con la decentrazione e la dispersione delle aree di produzione e con il passaggio dall'accento sul prodotto all'accento sui servizi, sembra essere direttamente connessa con il paesaggio tecnologico e simbolico dell'età post - industriale, con i processi di smaterializzazione e di miniaturizzazione, e con la sempre crescente importanza dei flussi di informazione rispetto ai flussi semplicemente energetici.

8. Gli stessi processi di costruzione di cittadini e di cittadinanze che gli Stati nazionali hanno innescato e compiuto negli ultimi secoli, hanno indubbiamente condotto a una standardizzazione verso l'alto della qualità della vita dei cittadini. Partendo da un'eguaglianza fondamentalmente giuridica dei diritti e dei doveri, questi processi hanno interessato progressivamente la sfera dei diritti politici ed economici, fino a investire ambiti culturali e tecnologici. La scolarizzazione di massa e la moltiplicazione delle reti di comunicazione nelle nostre società hanno radicalmente intensificato e trasformato la circolazione di persone, di idee, di punti di vista, di progetti, ma hanno messo in discussione la possibilità che questi processi potessero venire controllati, in modo più o meno diretto, da un centro organizzatore e direttivo.

Come spesso accade nei processi storici ed evolutivi, i processi di standardizzazione a un gradino della scala hanno innescato processi di diversificazione al gradino immediatamente più elevato. Se crediamo che l'identità degli individui o delle collettività non sia un'entità conchiusa in se stessa, ma dipenda in modo critico dalla qualità, dalla quantità e dall'orientamento delle relazioni che gli individui e le collettività intrattengono fra loro, ecco che il proliferare di queste relazioni trasforma radicalmente il rapporto fra gli individui e l'apparato statale (o, se vogliamo, anche fra individui e immaginario nazionale). Sempre di meno l'individuo o la collettività locale si attengono al copione e alla prescrizione di ruoli loro prescritti dall'autorità centrale, e sempre di più si sperimentano come nodi di connessione fra reti di relazioni spesso eterogenee e conflittuali. La stabilità tradizionale dei ruoli viene messa alla prova dai difficili problemi di compatibilità fra diverse appartenenze. Ciò mette in discussione la struttura stessa dei tempi delle decisioni e dei modi della rappresentazione, codificati negli ultimi secoli per collettività ampie e popolose. Sempre più spesso, l'inerzia di questi tempi e la semplificazione di questi modi non riescono a interagire con l'evoluzione in tempo reale dei bisogni degli individui e delle collettività locali, determinate in modo critico dall'interazione e dal riverberare di tutte le reti di relazione alle quali essi appartengono.

9. Dobbiamo comprendere che l'attuale riscoperta del locale fa parte del medesimo processo che tende a imporre vincoli globali alle comunità statali e alle forme tradizionali di autorità politica. Un progetto che voglia connettere insieme regionalismo e globalismo ha bisogno di una riflessione sulla natura delle attuali regioni europee, per molti versi eredi della polis antica e della città moderna, per cui oggi è forse più corretto parlare di città - regione europee, che mettono in primo piano nuovi valori, etici e tecnologici ad un tempo: l'incremento dell'accessibilità reciproca fra individui e collettività; la trasformazione degli spazi e dei tempi attraverso i quali individui e collettività interagiscono; l'emergenza dello spostamento e della trasportabilità quali tessuto fine dei rapporti sociali e delle esperienze professionali; il rimescolamento dei ritmi pubblici e privati attraverso i quali viene vissuto lo spazio urbano; la decentrazione dei modi di vita urbani sul territorio, che consente nuovi legami fra pubblico e privato, fra tecnologia ed estetica, fra città e ambiente. E' difficile pensare che i modi tradizionali di rappresentanza politica possano essere adeguati ai valori emergenti in queste nuove entità regionali e urbane. Siamo spinti a chiederci se molte delle crisi che caratterizzano oggi la vita e l'immagine stessa delle comunità locali non nascondano una necessità di elaborare, dietro alla moderna rappresentazione politica, nuove forme di partecipazione.

Un altro obiettivo praticabile in questo processo che connette insieme locale e globale è l'incremento di quelle forme di decentrazione dell'autorità e della decisione che abbiamo definito come laterale, che disegna cioè reti e associazioni di cooperazione fra regioni e collettività locali di tutte le aree Europee. Di queste reti oggi abbiamo già una vasta tipologia: regioni che si connettono perché condividono obiettivi economici simili; regioni che si rifanno a un passato storico comune; regioni che comunicano esperienze convergenti di sviluppo economico e tecnologico; circuiti fra le regioni di frontiera che, in quanto tali, condividono molti problemi culturali e sociali; regioni che vogliono condividere le risorse e le opportunità date da uno stesso mare (l'Adriatico), da uno stesso fiume (il Danubio), da una stessa catena montuosa (le Alpi). Ripensare questa tipologia; fare proliferare le reti; attribuire loro un nuovo valore progettuale e decisionale; valorizzare reti transnazionali anche su scala più modesta, fra individui e professionalità affini e differenti: tutti questi sono mezzi non certo trascurabili se vogliamo disinnescare i localismi e i nazionalismi e soprattutto, in modo più fecondo, se vogliamo contribuire a delineare un immaginario europeo comune che connetta unità e varietà.

10. Da queste esigenze, emerge la possibilità di una nuova ecologia della politica, nelle seguenti direzioni: messa in discussione delle idee di controllo centralizzato; consapevolezza della storicità delle regole di cooperazione e di integrazione; necessità della messa in atto di meccanismi per la loro periodica revisione; accento non tanto sulla riduzione quanto piuttosto sul mantenimento della varietà e della diversità delle esperienze individuali e collettive; revisione dell'idea stessa di progetto per valorizzare gli spazi e i tempi concreti delle esigenze individuali e collettive; rifiuto di grandi progetti basati su spazi, tempi, individui "medi" o "astratti"; tempestività dei meccanismi di decisione e di messa in atto dei progetti; nuovi contratti regionali, continentali e planetari volti ad esplicitare regole che valorizzino le potenzialità creative delle particolarità individuali, etniche e nazionali; rinuncia a ogni razionalità complessiva della storia, a ogni idea di tabula rasa, per prestare attenzione al tessuto fine, alle biforcazioni, agli eventi della storia...

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