BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 05/02/2007

IL MANAGER IN TEMPO DI CRISI

di Rosanna Celestino

Se volete che le persone costruiscano barche

dovete, per prima cosa, fare in modo che sognino isole

E’ nei momenti difficili che il management è decisivo: quando l’incertezza domina il mercato e i segni della recessione si fanno evidenti; quando la scena mondiale è dominata da “venti di guerra”, da insicurezza sociale e paura degli investitori.

Cosa può o deve fare unmanager in un periodo di crisi generalizzata? Cosa ci si aspetta da Lui?

L’esperienza

Autunno 1998: mi trovo a Bologna per una serie di seminari sullo sviluppo manageriale. C’è la guerra nel Kossovo. Al mattino, prima di cominciare il lavoro, io, come i partecipanti, diamo un’occhiata alle notizie. Alcune mattine non è facile avviare il lavoro.

11 settembre 2001: sono a Nizza per l’avvio di un articolato progetto di sviluppo rivolto a manager francesi sul tema della comunicazione. I lavori sono interrotti da notizie disperate e confuse. A mano a mano che le notizie prendono forma ci sentiamo paralizzati. Interrompiamo i lavori per seguire i telegiornali e riprendiamo il giorno dopo. È difficile riuscire a concentrarsi sul lavoro.

21 settembre 2001: con un gruppo di manager chiudiamo un percorso avviato nel mese di febbraio sul tema “Nuovi modelli manageriali: dal manager/capo/controllore al manager/leader/facilitatore” Si è lavorato sulla leadership, sulla motivazione, sul teamworking; si è parlato di obiettivi, delega, problem solving, di creazione di valore. Ci siamo lasciati in luglio. Dall’ultimo incontro di luglio al 21 settembre, sembra passato un tempo infinito. C’è disorientamento. Paura. Decido di buttare all’aria il programma e, attraverso un film di Tavernier, molto duro e poco conosciuto, scelgo di parlare di coraggio.

Lo scenario: complessità e incertezza

Mai come in questi giorni abbiamo toccato con mano la complessità e l’incertezza che caratterizza questo piccolo “villaggio globale” che è il nostro mondo.

È importante, parlando di management, collocare l’attività di gestione di persone, idee, risorse economiche e tecnologiche in uno scenario globale perché una delle maggiori difficoltà è proprio quella di coniugare, nelle azioni quotidiane, la realtà locale/particolare con quella globale/generale.

Quando si affronta un progetto di sviluppo manageriale una delle parole d’ordine è “complessità”. A volte si tende anche a giustificare molte cose con la generalizzazione del concetto. Complesso non è sinonimo di difficile o opposto di facile. Quando parliamo di complessità facciamo riferimento al numero delle azioni che sono connesse tra loro all’interno di un sistema. Definiamo “sistema” un’insieme di parti che si influenzano reciprocamente. Quindi possiamo parlare di sistemi più o meno complessi facendo riferimento al numero di connessioni/influenze presenti nel sistema stesso. Più connessioni, più “influenze” reciproche, più complessità. Anche i singoli “sistemi” sono connessi tra loro e quindi si influenzano reciprocamente: più sistemi connessi tra loro, più complessità.

Ora, se guardiamo al nostro modo di vivere, ci rendiamo facilmente conto del concetto di complessità. Il nostro “sistema” di vita, comprendendo gli aspetti culturali ed economico-sociali, è un sistema che da semplice (con poche connessioni/influenze) è diventato sempre più complesso (con infinite connessioni/influenze) grazie alla tecnologia che ha permesso di sviluppare le connessioni, i collegamenti e quindi le reciproche influenze. Ciò che accadeva nell’altro emisfero poteva non influenzare l’altra parte del mondo o comunque poteva produrre delle influenze (quindi dei cambiamenti), in tempi piuttosto lunghi che permettevano una certa azione di assorbimento lento, di adeguamento, “metabolizzazione” naturale. Oggi la tecnologia ha creato una rete di connessioni infinite, ha “collegato” il mondo con in un’unica intricata rete in tempo reale. Oggi il mondo vive il così detto “effetto butterfly”: una farfalla sbatte le ali sul cielo di Pechino…un uragano si abbatte sul Golfo del Messico. Le culture locali, le economie locali, i sistemi sociali locali sono connessi tra loro e costituiscono sistemi culturali, economici e sociali globali. La “globalità” è difficile da interiorizzare: se è possibile pensare al “villaggio globale” perché possiamo metterci poche ore ad attraversarlo, possiamo vedere sullo schermo della nostra televisione di casa trasmissioni americane o turche, possiamo comunicare in tempo reale attraverso il pc e il telefono con qualsiasi angolo del mondo, possiamo trovare al supermercato cibi di altri continenti, possiamo investire i nostri soldi in qualsiasi parte del mondo ed usare oggetti progettati qui e prodotti chissà dove, più difficile è collegare le nostre azioni e reazioni contemporaneamente ai due livelli di realtà: quella locale e quella globale. L’azione scelta e agita, decisa, in base a ciò che osservo e sento vicino a me, nel mio “particolare”, concreto/fisico, che deve però collegarsi ed avere un senso anche in relazione a ciò che è lontano, “generale”, astratto.

Ci sono logiche globali che devono tenere conto delle infinite connessioni ed influenze dei mercati e dell’economia, che risultano contraddittorie a logiche di “benessere” e/o correttezza locale.

Il manager deve riuscire a coniugare i due livelli. Deve sviluppare la capacità di collocare il locale nel globale e declinare il globale nel locale.

Ma ancora: quando parliamo di organizzazioni complesse, di Aziende complesse, parliamo di una “formula” che possiamo rappresentare così

C = ƒ (Δ informazioni necessarie – informazioni disponibili) x P (pressione sui risultati)

La complessità è data dal delta, dalla differenza, tra le informazioni necessarie ad una azione e le informazioni disponibili. Il delta dipenda da alcuni fattori, come:

Il tutto moltiplicato per la pressione sui risultati.

Il manager deve essere, così, in grado di “cogliere” le informazioni disponibili, collegarle, connetterne e agire.

Questo è lo scenario normale di azione.

E quando, come oggi, alla complessità di aggiunge l’incertezza?

Un certo livello di incertezza è insito nei sistemi complessi nei quali la “previsione” si muove su più opzioni, ma quando l’incertezza è generalizzata e invade le dimensioni più intime di società e persone?

Quando è necessario fare uno sforzo mentale per concentrarsi su obiettivi, risultati, progetti, perché tutto è talmente in bilico da vanificare la volontà e far sembrare inutili le parole?

L’incertezza, nella teoria delle decisioni, è la situazione in cui le probabilità degli eventi futuri non sono note. È una situazioni che produce stress.

“adesso guardiamo questi budget, facciamo i nostri piani di sviluppo, ma se scoppia la guerra, cosa accadrà?”

“pensa che taglieranno dei posti?”

“ci sarà sempre qualcuno che ci guadagnerà anche dalla guerra. Siamo noi, poveri cristi, a pagare”

“riusciremo a chiudere secondo le previsioni? Cosa decideranno alla casa madre?”

“sarà un disastro. Hanno tutti paura e non comprano”

“cosa dovremo fare se qualcuno dei nostri Clienti si troverà in difficoltà? Gli toglieremo l’ossigeno o lo aiuteremo? Cosa decideranno i grandi capi?”

“beato te che vai in pensione”

Senso di inadeguatezza, paura, demotivazione: questi sono alcuni sentimenti che le persone possono provare in situazioni di crisi generalizzata come l’attuale.

Sentimenti ed atteggiamenti che provocano una caduta delle prestazioni individuali e collettive.

L’azione del manager

Nello scenario di “normale” complessità, il compito del manager è di coniugare e declinare i due livelli di realtà, globale e locale. Egli deve essere in grado di trasformare la “visione” aziendale in comportamenti e risultati.

Il manager è da vedere come il “ponte” tra le diverse parti del sistema azienda e tra questo e gli altri sistemi connessi: mercato, politica, economia, società.

Comunicare la “visione”, ampliare la “visione”, dare un senso alle azioni, e, attraverso ciò, motivare i collaboratori: questo il compito del manager.

“…la trasformazione dell’uomo non è affidata alla novità delle cose, ma alla novità del punto di vista da cui le cose sono guardate” (U. Galimberti “Parole Nomadi” ed. Feltrinelli)

Il manager deve guardare la realtà, contemporaneamente, da più livelli: lo abbiamo detto parlando della complessità. Ed è il suo modo di guardare che fa la differenza.

Sempre citando Galimberti: “ la tecnica, ognuno lo sa, non si limita a popolare il mondo di nuovi oggetti, ma anche di nuovi mezzi espressivi cambiando le modalità tradizionali di comunicare e, se mi è consentito, di percepire. Già Heidegger, nel 1927 avvertiva che, guardate da un punto di vista tecnico, le cose cambiano volto: una foresta diventa una riserva di legname, un fiume una riserva idroelettrica, un suolo diventa sottosuolo, il tutto inserito in quella catena di utilità di cui l’impiego tecnico del mondo si incarica di legare gli anelli. Percepire una riserva idroelettrica guardando un fiume significa avere a che fare con un tipo d’uomo profondamente e radicalmente diverso dall’uomo antico che, guardando un fiume, vedeva una mitologia che poeti e cantori sapevano dispiegare in tutto il suo incanto”. Noi potremmo forzare il pensiero del filosofo e dire che, guardate da un punto di vista manageriale, le cose cambiano ancora, si collegano ad altre possibilità: così la foresta è una riserva di legname e contemporaneamente una riserva d’ossigeno; è un’insieme di applicazioni, dalle costruzioni all’energia, dal turismo ai trasporti; è un’opportunità di lavoro; uno sviluppo del territorio…in una catena che al principio tecnico dell’utilità collega quello manageriale di bisogni, aspettative, sviluppo.

E quando lo scenario globale si presenta critico?

Quando, come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, il clima, dentro e fuori l’Azienda, è turbato da eventi drammatici che coinvolgono tutti i sistemi nei quali agiamo?

È in queste situazioni che il manager deve dispiegare tutte le sue capacità.

Egli deve essere in grado di:

Dei dieci punti sopra indicati, che richiederebbero ciascuno un lungo approfondimento, svilupperò, brevemente, solo i primi due.

L’idea di “assorbimento” è mutuata dalla filosofia orientale delle arti marziali: assorbire è diverso che “subire”. L’assorbimento è una capacità attiva, vigile, che possiamo analizzare partendo dal livello individuale di tolleranza all’attacco (fisico, verbale, psicologico) alla capacità di ascolto, inteso come capacità di percepire “l’attacco”, la sua intensità edirezione, fino alla capacità di “aderire”, cioè di seguire l’attacco, accompagnandolo, per usarne l’energia.

Sotto stress un fattore di rischio è l’istinto. L’istinto, molto sinteticamente, è una risposta psicofisiologica ad uno stimolo ambientale. Esso non dipende dall’esperienza, ma fa parte di un patrimonio filogenetico, rivolto alla conservazione dell’individuo e della specie. Se gli altri animali possono efficacemente contare sull’istinto per rispondere a situazioni ambientali pericolose, per l’uomo è diverso. L’uomo ha modificato sostanzialmente l’ambiente, tanto da rendere l’istinto, in alcune condizioni, inefficace se non pericoloso. L’istinto agisce attraverso l’apparato sensoriale. Ad esempio,il nostro sistema di equilibrio e di percezione dello spazio, che ha sede nel labirinto dell’orecchio interno, è strutturato in base alla forza di gravità terrestre. Se ci immergiamo nel mare o se pilotiamo un aeroplano il nostro istinto non funziona: la percezione dell’assetto del nostro corpo è sbagliata e possiamo andare in direzione completamente diversa inassenza di strumentazioni (è stato un problema di questo tipo a provocare l’incidente mortale di J.J. Kennedy). L’istinto può salvarci in molte situazioni, può darci molte informazioni, ma dobbiamo sapere che, a volte, dobbiamo controllarlo. Reagire d’istinto perché sotto pressione, può non essere la scelta più efficace.

Raccontavo in apertura dell’ultimo tema svolto: il coraggio.

Il coraggio lo possiamo definire come un atteggiamento positivo con cui si affronta una situazione di pericolo o con cui si tende a uno scopo dal raggiungimento difficoltoso ed incerto. Il coraggio è uno stato emotivo che, pur essendo opposto alla paura, non prescinde da questa, ma ne è consapevole.

Aristotele vede nel coraggio una delle più alte virtù umane e lo distingue nettamente dalla temerarietà: il coraggio tiene conto delle condizioni di realizzabilità. Comportarsi con coraggio significa essere pienamente consapevole delle condizioni e delle conseguenze, delle responsabilità e dei limiti.

Per parlare del coraggio necessario in questo momento ho proposto un film di Bertrand Tavernier (Francia 1998), intitolato “Ricomincia da oggi”. Si tratta di u film poco visto: è un film scomodo perché è una storia piccola, senza eroi, con le sue vittime innocenti. È una piccola storia dove emergono tante responsabilità non assunte, tante latenze, ma anche la capacità, la determinazione di cambiare le cose.

La vita è una continua battaglia nella cittadina di Hernaing, a Nord della Francia, dove la chiusura delle miniere ha lasciato la gente senza lavoro. E dove arrivare a sera è una fatica quotidiana. Ma nella piccola scuola materna, il direttore Daniel ha deciso di non arrendersi al destino e all'inerzia della disillusione.

Daniel è un “manager”: ha la gestione di persone, risorse economiche (poche), strutture e “Clienti”. Deve rispondere a Capi che non sono sul campo e che, a loro volta, rispondono a logiche “globali”; deve confrontarsi con la politica e la burocrazia…deve affrontare i problemi di tutti i giorni e la necessità di dare una speranza: le cose possono e devono “ricominciare da oggi”.

Il film si chiude con una frase del protagonista:

“dai nostri padri ereditiamo un mucchio di pietre e il coraggio di sollevarle”. 

Il lavoro di analisi del film ci ha permesso di andare a fondo del problema: cosa deve fare il manager in tempo di crisi e cosa ci si aspetta da lui?

Seguendo passo passo le azioni del protagonista è stato facile confrontarsi su un modello manageriale che propone il passaggio dal manager – capo – controllore al manager – leader – facilitatore. Un manager capace di convogliare le energie e dare una visione positiva anche quando ciò che si vede sono solo un cumulo di pietre.

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