Provo a mettermi nei panni di questo
responsabile dello sviluppo organizzativo di cui parla Francesco.
Il cambiamento organizzativo è stato deciso: bene questa è
un’ottima opportunità, in particolare se i capi e i colleghi
non sanno gestire la situazione. Dovrò anche trovarmi il necessario
sostegno da parte della direzione, ma anche quello delle persone che operano
nei settori coinvolti al cambiamento sarà indispensabile per la buona
riuscita del progetto. Anche questo fa parte del mio lavoro, cercarmi attivamente
sponsor e saper coinvolgere. E’ una parte molto delicata del processo
di cambiamento e se non gestita bene può portare ad un fallimento
totale. Dovrò dare particolare importanza al coinvolgimento delle
persone di linea, perché sono quelli che dovranno vivere il cambiamento,
dovranno sentirsi bene nei nuovi scenari e accettare di giocare questo nuovo
gioco. Altrimenti avranno mille occasioni di frenare e bloccare il cambiamento,
perché conoscono bene sia i processi che le cose che non vanno e
molto spesso sanno benissimo anche come risolvere i problemi, solamente
non attivano la loro energia in questa direzione.
Certo nel cambiamento vi è anche una dimensione di sofferenza, ma
vi sono anche delle opportunità (quasi sempre). Quando le persone
soffrono tendono a generare resistenza con l’obiettivo non tanto di
mettersi contro il cambiamento, quanto di ridurre il proprio livello di
sofferenza. Ma questa è solo una possibile dimensione di lettura
del cambiamento e delle resistenze al cambiamento. Più spesso la
resistenza al cambiamento è legata a giochi di potere, a logiche
di cordata. Altre volte è solo una questione di scarsa comprensione
delle dinamiche e della posta in palio. Infatti di fronte a cambiamenti
nelle regole del gioco, i giocatori tendono a non puntare fino a quando
hanno chiaramente capito le nuove regole e quindi sono in grado di fare
delle verosimili previsioni di vittoria o sconfitta. Altre volte infine
è solo un problema di mancanza di risorse o di cattiva allocazione
delle stesse o di scarsa o cattiva comunicazione. Certamente focalizzarsi
sulla sofferenza è un ulteriore motivo di possibile fallimento.
Ho sperimentato che la resistenza
la cambiamento a volte sparisce come per incanto e le persone si mettono
a giocare la propria partita usando le nuove regole. Se fosse legato alla
sofferenza, ad uno stato patologico, ad una carenza questo processo non
potrebbe che essere lungo e faticoso, mentre molte volte il passaggio da
una situazione di stand by o di conflitto ad una di accettazione delle nuove
regole avviene in un brevissimo lasso di tempo, magari dopo una lunga latenza.
Penso che i progetti non falliscano per “la sofferenza individuale,
per l’impossibilità soggettiva di fare di più”,
ma per incapacità a comprendere le dinamiche del cambiamento e a
gestirle. Come fenomeno complesso il cambiamento è multidimensionale
ed è difficilmente prevedibile e programmabile, almeno in logica
lineare.
Ma torniamo alla sofferenza del
responsabile dello sviluppo organizzativo. Penso che sia molto maggiore
in caso di mancanza di progetti di cambiamento. Se questa persona fa il
proprio lavoro per passione non potrà che essere contento della sfida,
leggerla come opportunità e convogliare su di essa il bagaglio di
competenze e la forza del desiderio di successo che ha in lui (qui non voglio
parlare di successo di carriera o finanziario, ma del puro piacere per un
lavoro ben fatto, la soddisfazione dell’artigiano nel vedere il manufatto
prendere forma e materializzarsi nelle sue mani).
Gestire contemporaneamente la dimensione tecnica, economica, politica, umana
del cambiamento può far tremare i polsi (per fortuna, e a volte per
sfortuna, molti fautori o generatori del cambiamento non se ne rendono conto
e partono con spavalda e cieca audacia). Ma è proprio la gestione
di questa complessità che crea l’adrenalina necessaria a sostenere
il responsabile dello sviluppo organizzativo, è da questa sfida che
si ottiene l’eccitamento necessario a far crescere il desiderio e
la tensione a partire.
Fra i responsabili dello sviluppo organizzativo che ho conosciuto i più
sofferenti erano senza dubbio quelli che non potevano gestire queste sfide,
perché inseriti in contesti immobili o/e eccessivamente burocratizzati.
L’incapacità di comprendere
le dinamiche della complessità, le emergenze, le connessioni genera
resistenza e cattiva gestione del cambiamento fino a bloccarlo. La paura
di perdere posizioni acquisite, l’esistenza di posizioni di rendita,
l’inabilità all’azione dovuta al lungo ozio sono killer
spietati. Ma il cambiamento mira a modificare proprio queste situazioni,
a ridurre l’inefficienza che queste generano, a rimuovere odiose barriere.
In questo modo si aprono nuove possibilità e opportunità,
la vita nasce al margine del caos.
Certo quando si valuta la dimensione sofferenza connessa al cambiamento non bisogna dimenticare che degli uomini/delle donne sono coinvolte e non bisogna sottostimare le posizioni individuali. Anche questa lettura è parte della gestione della complessità insita nei sistemi culturali. Ma a fronte di sofferenza generata vi è sofferenza rimossa, vi sono nuove opportunità, il sorgere di nuove idee, di nuova vita.
La difficoltà del ruolo ha “anche” a che fare con la gestione della sofferenza, ma soprattutto ha a che fare con la capacità di lettura di sistemi complessi, di strutturazione dei giochi, di generazione del consenso e con molte altre. Ma focalizzarsi sulla gestione della sofferenza è come rafforzare il killer, significa stimolare anziché ridurre la resistenza al cambiamento, molto probabilmente significa generare nuova sofferenza causata da un cambiamento mal gestito.
Focalizzarsi sulle possibilità,
sulle opportunità, sui desideri permette di liberare energie latenti
e canalizzarle verso mete comuni. Naturalmente ciò non significa
essere ciechi di fronte alla sofferenza, ma semplicemente evitare di farsi
riassorbire e disperdere preziose energie.
Il raggiungimento di risultati, specie se ottenuti in comunità con
altri, è uno straordinario elemento di motivazione e di soddisfazione
(si pensi ad esempio all’esaltazione dei team sportivi). Se si vuole
gestire con successo il cambiamento si deve lavorare sul desiderio di vittoria,
sui vantaggi per il gruppo oltre che per i singoli, sul trovare degli obiettivi
di valore condivisi. E non è detto che questo valga solamente in
momenti di crescita o di fronte a obiettivi esaltanti. A volte anche la
mera sopravvivenza dell’organizzazione può essere un obiettivo
condivisibile e motivante.
Naturalmente senza dimenticare le altre dimensioni (e la sofferenza fra
di esse).