BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 10/01/2011

 

DOPO POMIGLIANO, MIRAFIORI. OPERAI, STUDENTI E DIRETTORI DEL PERSONALE (1)

di Francesco Varanini

Questo Contributo si riconnette ad altri due, pubblicati di recente su Bloom!
Accordo di Pomigliano: i nuovi "Tempi Moderni" (www.bloom.it/storni45.htm)
Il Direttore del Personale ai tempi di Marchionne (http://www.bloom.it/vara183.htm)
Le automobili Fiat sono così brutte perché Marchionne guadagna troppo. ovvero: estetica e globalizzazione. luoghi, non luoghi e scelte di management (www.bloom.it/vara187.htm)
Ho ascoltato l'intervista di Marchionne (www.bloom.it/zano22.htm)

Dopo Pomigliano d’Arco, Mirafiori. Ci sono motivi per considerare positivamente l’accordo: i cancelli della fabbrica chiusi non fanno piacere a nessuno e non giovano a nessuno. Ma dobbiamo interrogarci sulle basi dell’accordo.
In special modo debbono interrogarsi su queste basi coloro che appartengono alla famiglia professionale che più di ogni altra ha costruito il proprio ruolo sul garantire un equo compenso al lavoro, ed un ragionevole quadro di garanzie al lavoratore. Penso, naturalmente, ai Direttori del Personale.
Qualche dibattito su social network e newsgroup e blog c’è stato. Ma nessuna presa di posizione in pubblico da parte delle associazioni, nessun invito o suggerimento a chi in sede governativa definisce la cornice ed è chiamata a favorire l’accordo; nessun suggerimento alle parti in causa: Associazioni Industriali, Fiat, sindacato.
Il silenzio è così assordante, credo, perché non siamo d’accordo tra di noi. Ma il fatto che non si sia d’accordo, e che non si provi a trovare un punto d’incontro, o almeno ad esprimere un ventaglio di opinioni, la dice lunga. Le nostre capacità di governo, la nostra capacità di leggere il futuro e di scoprire soluzioni, sembra, non sono all’altezza della sfida.
Così, plaudiamo alle gesta di Marchionne. Facciamo nostra la sua ridefinizione del campo. Eppure, dovremmo chiederci: che gloria c’è mai nel prendere per buoni i vincoli imposti dalla finanza globale, da lontani investitori istituzionali, e nel ridefinire in questo quadro il compenso che può essere riconosciuto al lavoro. E che stima dobbiamo provare per un manager che considera suo unico vero obiettivo il garantire nel breve termine un ritorno agli investitori, e che non si vergogna per l'incapacità di competere sul mercato di riferimento. Che stima dobbiamo concedere a un manager che non sa incrementare, né difendere le quote di mercato; che stima dobbiamo concedere a un manager che indirizza la produzione verso i segmenti a più basso margine, non sa migliorare la qualità e non investe nell’innovazione.
Ingannando noi stessi, fingiamo di non sapere che non ci può essere buon accordo se non attraverso una vera negoziazione, se non attraverso una trattativa che prenda in considerazione i diversi punti di vista.
Visto che, per semplice esperienza, o per più tecnica formazione di vario tipo, ci vantiamo di saper leggere sguardi e atteggiamenti, ci vantiamo di comprendere le altrui emozioni, gli schemi di comportamento, dovremmo ben sapere cosa si legge negli sguardi di coloro che hanno perso il lavoro. Basta osservare i volti degli operai - con qualcuno ci sarà pure capitato di parlare, o li abbiamo visti almeno durante qualche trasmissione televisiva. Quegli sguardi ci parlano di umiliazione, ma anche orgoglio. Troppo facile parlare di assenteismo e di produttività senza ascoltare l’altro. L’operaio conosce il suo lavoro, lo ama, vuole esprimere la sua opinione sull’organizzazione. Chiede fiducia. Un manager che non ascolta e che non vede e non sa concedere fiducia non può essere un buon manager.
Quello che vale per gli operai, vale per gli studenti che manifestano. E quello che vale per i manager vale per la classe politica. Che senso ha mai dire ‘ti ascolto solo se prima accetti le mie regole’. Questo non è ascolto.
La verità è che tutti noi, classe dirigente, dovremmo sotterrarci per la vergogna. Abbiamo ricevuto dai nostri padri un mondo che ci rendeva facile coltivare la speranza, credere nel futuro. Cosa lasciamo invece ai nostri figli: un mondo che ha il futuro alle spalle, un mondo senza speranza.
Apprezzare Marchionne o un qualche politico perché gli altri sono peggio di loro non basta.
Se siamo privi di speranza e incapaci di guardare al futuro noi, come possiamo aiutare gli altri a sperare, a credere nel futuro. E come possiamo pretendere che gli altri accettino la nostra guida.
Questa domanda riguarda una intera classe dirigente, ma riguarda in modo particolare i Direttori del Personale, che con ragione possono essere definiti maestri della classe dirigente. Per dare il nostro contributo in questo non facile momento, dovremmo riprenderci il nostro ruolo nella sua pienezza, anziché rintanarci nei confini di un ruolo ridefinito da Marchionne.


1 - Questo testo è apparso come Editoriale nel n. 64, novembre-dicembre 2010, della rivista Persone & Conoscenze.

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