BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 25/01/2001

Macchine oziose e tempo da perdere

di Nicola Gaiarin

Dagli automi arabi allo scacchista di Poe, le macchine hanno inscenato un teatrino per divertirci, per perdere tempo, per indurre all’ozio. Le macchine meravigliose del settecento, bambole meccaniche e gentiluomini imparruccati, sono state l’emblema giocoso del secolo dei lumi. Accanto all’armonia prestabilita di Leibniz marciava un esercito di meccanismi di precisione, orologi fiabeschi, fontane strabilianti. Il Giappone informatizzato e ordinato prospera sui proventi del pachinko, una sorta di rumorosissimo flipper ipnotico in cui una miriade di palline d’acciaio deve infilarsi in determinate scanalature. Ogni computer ha la sua piccola porzione di giochi preinstallati, e non è infrequente sorprendere impiegati intenti allo svolgimento di un solitario davanti al monitor. La macchina e l’ozio, a parte il fuligginoso intermezzo della rivoluzione industriale -con tutto il relativo bagaglio dickensiano- sembrano andare molto d’accordo. Ma forse le cose non sono così semplici.

La parabola di Borges sulla macchina costruita per essere assolutamente oziosa introduce una variabile ulteriore. L’ozio non appartiene alle macchine per loro essenza, e i meccanismi sorprendenti che ballano il minuetto sono solo delle eccezioni ad una regola ben diversa. È l’uomo a proiettare sulle macchine una porzione di oziosità che tenta in ogni modo di non riconoscere. L’homo otiosus vuole camuffarsi da opportunista sfortunato o da ragioniere mal supportato dai suoi strumenti. Ma le macchine inutilmente complesse e ridondanti che accusiamo di farci perdere tempo sono state progettate e costruite proprio da noi. Siamo barocchi senza saperlo, facciamo proliferare appendici (virtuali e reali) su macchine ben più sobrie dei loro costruttori. Non è la macchina ad indurre all’ozio, siamo noi che giochiamo con il nostro tempo accusando la macchina di bizzarre oziosità.

Borges, appunto, ribalta la questione. Il sognatore che progetta la macchina oziosa sa bene di compiere un attentato nei confronti della buona coscienza dell’uomo. Perché in questo modo, affidando alla macchina che dorme e gioca una porzione di oziosità autonoma, si lascia l’individuo di fronte alla cattiva coscienza del giocatore in incognito. Non c’è alcun moralismo in questa trappola borgesiana. Il gioco e l’ozio sono parte dell’uomo, e come tali vanno riconosciuti e assunti. La macchina oziosa perde tempo, riprende, paradossalmente, il proprio tempo, e così restituisce all’uomo un tempo per lavorare o per oziare in modo consapevole.

A distinguere l’uomo dalla macchina, a questo punto, non è una presunta anima o una possibile infallibilità matematica. La macchina può sbagliare e l’uomo può ridursi alle sue funzioni animali. Quello che resta, il residuo su cui si gioca tutta la questione dell’ozio, è proprio il tempo. Il tempo è una rimanenza, una giacenza, un residuo da impiegare. Solo che la macchina, letteralmente, ha tutto il tempo che vuole, ha tempo da perdere, perché non ha altro compito da svolgere oltre quello per cui è stata programmata. Ogni macchina, anche la più rudimentale, possiede un tempo puro, così come un linguaggio privo di ambiguità. Non a caso l’utopia rovesciata di 1984 passava anche per una riforma del linguaggio, il più possibile depurato e vicino ad un linguaggio-macchina. Impadronirsi del linguaggio permette di riprogrammare l’uso del tempo- e viceversa- alla ricerca di una produttività senza residui.

Il tempo umano, al contrario, è un tempo residuale. Ogni nostra azione, e non solo quelle dedicate al relax o alla cura di sé, si compie nei ritagli di tempo, collocandosi all’interno di un vasto patchwork cronologico. Questo accade perché il nostro tempo è limitato, siamo presi all’interno di un orologio sincronizzato sul conto alla rovescia. Non c’è niente di drammatico in questo, si tratta solo di riconoscere l’impossibilità di una trasparenza assoluta nelle nostre attività e nelle nostre disposizioni. La complessità gratuita di certe macchine viene ad intaccare proprio questa difficile attività di ricomposizione dei frammenti temporali. L’ozio, nella sua accezione negativa, appare come un indolente rifiuto di riappropriarsi delle rimanenze cronologiche che ci appartengono.

Preso atto della scarsità del tempo a sua disposizione -che proprio per questo diventa una risorsa decisiva della nostra epoca- all’individuo rimane la possibilità di decidere sull’impiego di questo residuo cronologico. Decidere per l’ozio piuttosto che per il lavoro, oppure, in modo più articolato, decidere per un ozio produttivo e pensoso contro il puro e semplice spreco di energie nell’inazione o in un lavoro inutilmente complicato. Decidere per il residuo di tempo contro il residuo di oziosità. Borges, e non solo in questo suo testo paradossale, c’invita a riflettere sulla responsabilità che grava su ogni scelta, sulle biforcazioni continue che possono circondare con un alone bizzarro il gesto più automatico. Una volta azzerati i residui di oziosità, nuovi tempi morti verranno a inframmezzare le azioni umane, perché ogni secondo riguadagnato può trasformarsi in un secondo da perdere. La macchina oziosa, meccanicamente ludica e sognatrice, veglia in modo inquietante sui nostri piccoli automatismi.


Nota:
Queste riflessioni prendono le mosse dal testo di Francesco Varanini su L’ozio delle macchine, apparso su Bloom.
Sugli automi e sulle macchine prodigiose dall’antica Grecia agli inizi del novecento, si veda il bel libro di Mario G. Losano, Storie di automi, Einaudi, Torino 1990. I riferimenti al tempo della macchina derivano dalle acute considerazioni svolte da Maurizio Ferraris nel suo articolo Perì mail, contenuto in aa. vv. La carne e il metallo, Il Castoro, Milano 1999.

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