MÖBIUS ORGANIZATION
GESTIRE L'AMBIGUITA' E IL CONFLITTO DI RUOLO
Generalmente si ritiene che un livello
eccessivo di ambiguità e/o conflitto di ruolo generi disfunzioni organizzative
e sofferenze individuali. Come giudicare quando il livello di ambiguità
e/o conflitto di ruolo è eccessivo? Più che alla misurazione di
fattori causali, conviene riferirsi proprio alla manifestazione degli effetti.
Quando ci sono evidenze di disfunzioni organizzative o sofferenze individuali
dovute al gioco tra i ruoli di un organizzazione, si può pensare che
si sia superata la soglia di tolleranza.
Intuitivamente, la risposta manageriale è la riduzione, fino alla eliminazione,
delle cause di ambiguità e conflitto di ruolo, ma ciò si scontra
con alcune considerazioni:
- è impossibile eliminare completamente ambiguità e conflitto,
dal gioco di ruolo;
- un certo tasso di ambiguità e conflitto di ruolo è desiderabile
perché entrambi i fenomeni sono positivamente correlati alla capacità
dell'organizzazione di favorire flussi di conoscenza e innovazione.
La risposta manageriale più accorta è, controintuitivamente, agire
sul livello di tolleranza delle persone all'ambiguità e al conflitto
di ruolo, in modo di conservarne le caratteristiche positive indotte (predisposizione
alla innovazione) senza pagare il prezzo di disfunzioni organizzative e sofferenze
individuali. In questa prospettiva, si impongono alcune scelte manageriali e
un ripensamento della formazione (superamento della formazione a ruolo).
Così da una rappresentazione dell'organizzazione efficiente come di una
realtà in cui non ci sono ambiguità e conflitto di ruolo, perveniamo
a una rappresentazione opposta in cui questi fenomeni, peraltro inevitabili,
diventano caratteristiche desiderabili e la sfida manageriale diventa imparare
a gestirli.
1 - Inevitabilità e impredicibilità
del gioco di ruolo
L'interpretazione di un ruolo presenta sempre aspetti imprevisti, cioè
non visti prima, non anticipati da una 'intelligenza' organizzativa, ammesso
che tale intelligenza possa esistere.
A proposito dei ruoli, si dice talvolta "giocare un ruolo" o anche
"il gioco dei ruoli". Ecco che, una volta tanto, per comprendere il
concetto di ruolo organizzativo, può tornare utile una metafora meccanica.
Tra i vari significati della parola "gioco" vi è, infatti,
anche quello meccanico. Il gioco è lo spazio che esiste tra le parti
di un meccanismo. Perché la macchina funzioni è necessario che
ci sia un certo gioco tra gli ingranaggi. La totale assenza di gioco porta il
meccanismo a incepparsi, l'eccesso di gioco fa slittare gli ingranaggi.
Seguendo questa metafora, possiamo riconoscere che quando, per avere la maggiore
efficienza che deriverebbe dalla totale ed esclusiva attribuzione dei compiti
necessari e sufficienti, ovvero la più precisa definizione di ruoli definiti
e distinti che occupino tutto lo spazio dell'agire organizzativo, si cerca di
eliminare il "gioco" (cioè lo spazio lasco non occupato da
alcun ingranaggio), non solo non si ottiene alcun aumento di efficienza, ma
addirittura si compromette l'efficacia e persino la possibilità stessa
di azione dell'organizzazione.
La pretesa di definire con precisione assoluta i ruoli organizzativi è
illusoria anche perché il ruolo è il risultato di un incontro
tra una posizione organizzativa e una persona. Inoltre, ogni ruolo non esiste
da solo: è sempre immerso in un sistema di relazioni con altri ruoli,
con un effetto moltiplicatore della imprevedibilità. Da qui l'importanza
della consapevolezza di ogni persona: consapevolezza del gioco, dell'ineliminabilità
del gioco.
Proprio la meccanica, si dirà, insegna che esiste un "gioco ideale",
un ideale rapporto tra accostamento e allontanamento degli ingranaggi che rende
massimamente efficiente la trasmissione del moto. Il fatto è che le persone,
anche quando interpretano un ruolo organizzativo, sembrano restie ad adattarsi
a un gioco ideale. Diversamente dagli ingranaggi, che non possono "decidere"
quanto gioco concedersi l'un l'altro, le persone sembrano portate a fare come
i "porcospini di Schopenhauer" che sono spinti dal freddo ad accostarsi
l'un l'altro e dai loro stessi aculei ad allontanarsi, fino a che trovano una
distanza che loro giudicano ottimale.
Sembra così emergere a fianco della ineliminabilità del gioco
anche una sua impredicibilità.
Ciò nonostante, assistiamo frequentemente a tentativi di definire un
ruolo organizzativo attraverso la descrizione di alcune caratteristiche, per
così dire impersonali, tra le quali si possono rintracciare la finalità
(a che cosa serve quel ruolo per l'organizzazione); i compiti (che cosa deve
fare chi svolge quel ruolo: da qui muove la grande costruzione razionalistica
dei mansionari); le competenze (che cosa deve sapere la persona che svolge quel
ruolo, sia da un punto di vista cognitivo che da uno comportamentale); le responsabilità
(a quali conseguenze vanno incontro l'organizzazione e la persona a seguito
di una prestazione non corrispondente al progetto organizzativo).
Questa dimensione del ruolo si presenta come chiara, descrivibile e scrivibile
nei manuali organizzativi e negli accordi sindacali.
È evidente l'eco taylorista di questa concezione del ruolo organizzativo.
I conseguenti comportamenti manageriali per le politiche del personale (reclutamento,
selezione, valutazione e ricompensa) restano centrati su una concezione presuntivamente
oggettiva e impersonale del lavoro in cui il job prevale sulle skill,
le prestazioni sulle potenzialità, la riproduzione sull'innovazione.
(Questa è la concezione di ruolo che determina un approccio alla formazione
basato sull'analisi degli scostamenti tra le competenze richieste e quelle possedute
dalla persona - formazione a ruolo).
È facile rendersi conto di come questa descrizione dei ruoli organizzativi
sia in realtà poco utile nel prevedere lo svolgimento dei ruoli stessi
da parte di persone concrete in situazioni concrete. Basta osservare che dallo
stesso ruolo interpretato da persone diverse o dalla stessa persona in situazioni
diverse si possano avere risultati molto diversi per efficacia e per efficienza.
Per giungere a una interpretazione più completa dei diversi modi con
cui le persone possono interpretare ruoli organizzativi uguali è possibile
fare un esercizio relativamente semplice: la rappresentazione di una mappa di
ruolo (fig. 1).
Fig. 1 Mappa di ruolo e schematizzazione del sistema delle aspettative e degli
scambi tra un ruolo focale (RF) e i suoi ruoli contigui.
Si tratta di disporre al centro di
un foglio le definizione di un ruolo organizzativo che chiamiamo "focale"
(a esempio, l'infermiere ospedaliero) e tutt'intorno le definizioni dei ruoli
con cui il ruolo focale ha qualche forma di interazione e che chiameremo "contigui"
(a esempio, i degenti, i visitatori, i medici, i colleghi, gli ausiliari, il
primario, gli analisti di laboratorio, i tecnici della manutenzione, gli amministrativi
ecc. ecc.).
Si può facilmente verificare che il comportamento di una persona che
svolge il ruolo focale dell'infermiere (come di qualsiasi altro ruolo) è
influenzato, oltre che dalla minore o maggiore conoscenza della dimensione "chiara"
del ruolo, dalle aspettative che le persone che svolgono i diversi ruoli contigui
hanno nei suoi confronti e da quello che effettivamente da queste ultime viene
dato. Altrettanto, per la natura sistemica delle relazioni di ruolo, la persona
che svolge il ruolo focale influenzerà con le sue aspettative e con le
sue offerte il comportamento delle persone che svolgono i ruoli contigui.
Le persone, quando interpretano i ruoli organizzativi sono da questo punto di
vista simili ai porcospini più che agli ingranaggi. In questo modo, grazie
a quella che potremmo definire la 'soggettività del porcospino', la rappresentazione
di un ruolo si arricchisce di un qualcosa che si accompagna alla parte chiara
e che non è descrivibile a priori e in astratto: la risultante del sistema
delle aspettative e degli scambi con i ruoli contigui.
2 - Ambiguità e conflitto di ruolo
La schematizzazione delle relazioni di aspettative e di scambio tra ruolo focale
e ruoli contigui può aiutare a riconoscere le condizioni che generano
soddisfazione o insoddisfazione di ruolo.
Con soddisfazione di ruolo possiamo intendere la situazione in cui le aspettative
di un ruolo focale sono soddisfatte dalle cose che questo riceve dai ruoli contigui
e, contestualmente, le aspettative dei ruoli contigui sono soddisfatte da quello
che a essi viene offerto dal ruolo focale. È evidente che questa è
una situazione ideale. Non irrealizzabile in linea di principio, ma certamente
non pianificabile o prevedibile considerando che, in forza della 'soggettività
del porcospino', ciascuno può stabilire quanto vicino o lontano stare
dagli altri. Per di più queste soglie di gradimento possono
variare nel tempo anche per la stessa persona.
Più frequenti sono, dunque, le situazioni di insoddisfazione (anche solo
parziale) di ruolo che possono derivare da ambiguità e conflitto di ruolo
1.
Chi riveste il ruolo focale si trova in una situazione di ambiguità quando
i ruoli contigui non forniscono (perché non le hanno o perché
le trattengono) tutte le informazioni sulle loro aspettative (fig. 2).
Fig. 2 Ambiguità di ruolo: il ruolo focale non conosce le aspettative
del ruolo contiguo e non può valutare se le sta soddisfacendo.
La situazione di ambiguità di
ruolo può accadere perché gli stessi ruoli contigui non hanno
chiara consapevolezza delle loro aspettative verso il ruolo focale, e/o non
sono in grado di comunicargliele efficacemente, e/o ritengono più conveniente
(magari per una distorta concezione del potere e dell'autorità) non esplicitarle.
A questa situazione può spingere lo stesso disegno strutturale dell'organizzazione.
A esempio, nei modelli fortemente e rigidamente funzionali, chi occupa posizioni
di maggiore rilievo è portato a trattenere conoscenza specialistica sul
processo perché associa a questo possesso esclusivo il mantenimento delle
posizioni di vantaggio che, magari, ha acquisito con lunghi anni di gavetta.
Come testimonia Renato Di Gregorio: "nascondere le conoscenze risultava
utile per conservare i privilegi propri dei ruoli di maggiore importanza, faticosamente
conquistati" 2.
In queste situazioni organizzative, il capo, quindi, difficilmente farà
richieste ai ruoli subordinati che siano chiare e dotate di senso. In questo
modo, eventualmente interpretando anche in maniera gerarchica e autoritaria
la relazione organizzativa con i collaboratori, potrà sempre riservarsi
il potere di premiare o di sanzionare. Va da sé che i collaboratori potranno
percepire queste decisioni del capo come arbitrarie e vivranno l'esperienza
di una disorientante ambiguità di ruolo.
Chi riveste il ruolo focale si trova in una situazione di conflitto di ruolo
quando:
1. le attese dei ruoli contigui sono contraddittorie (questa situazione può
anche essere definita come incompatibilità di ruolo - fig. 3);
2. un individuo occupa simultaneamente due ruoli (sempre!) Che possono essere
in contrasto (talvolta).
Fig. 3 Conflitto di ruolo (incompatibilità). Le aspettative di due o
più ruoli contigui sono incompatibili: un comportamento del ruolo focale
che soddisfa le aspettative di RC1 contrasta le aspettative di RC2.
A esempio, un operatore front line
di un servizio può cogliere nella relazione con il cliente-utente una
aspettativa la cui soddisfazione comporterebbe una contestuale non soddisfazione
delle aspettative del suo diretto superiore. Ciò può succedere
quando la esigenza di un cliente di avere una maggiore consapevolezza e conoscenza
delle caratteristiche del servizio richiede un tempo eccedente quello pianificato
per la erogazione della prestazione. A chi deve dare soddisfazione quell'operatore?
Soddisferà la richiesta di quel cliente, o quella del capo preoccupato
dell'efficienza dell'ufficio?
È stato osservato che il comportamento decisionale delle persone in queste
situazioni di incompatibilità tra le richieste di ruoli contigui è
determinato dalla propensione a considerare la legittimità delle richieste
in confronto alla propensione a considerare le eventuali sanzioni.
Da un lato abbiamo l'atteggiamento moralista di chi si dispone a considerare
le richieste per la loro legittimità. Queste persone sono disposte a
soddisfare le aspettative che loro reputano legittime. Eventuali sanzioni per
la mancata soddisfazione di aspettative non legittime non influenzano il loro
comportamento.
All'estremo opposto, abbiamo l'atteggiamento opportunista di chi si dispone
a dare peso solo alle conseguenze per i propri interessi, ovvero alle sanzioni
previste dall'organizzazione. Queste persone danno maggiore importanza alle
sanzioni in cui possono incorrere per non avere dato soddisfazione alle aspettative
di un determinato ruolo contiguo indipendentemente dalla attribuzione di legittimità.
Per loro, la legittimità delle aspettative entra in gioco solo se non
percepiscono rischio di sanzioni.
In un caso e nell'altro è forte il rischio di lasciare insoddisfatte
le aspettative di qualcuno. Da qui l'esperienza di una situazione di conflitto
irrisolto, di una insoddisfazione di ruolo, di una perdita di senso del proprio
lavoro.
3 - Conseguenze della insufficiente
capacità di gestire ambiguità e conflitto di ruolo
Un livello di ambiguità e/o di conflitto di ruolo eccessivo rispetto
alle capacità di gestione e di tenuta emotiva delle persone coinvolte,
comporta l'insorgenza di diverse forme di sofferenza individuale e di disfunzioni
organizzative.
Quando una persona percepisce un'ambiguità di ruolo (cioè non
sa che cosa si aspetti almeno uno dei ruoli contigui) superiore alle sue capacità
di gestione, può provare ansia, insicurezza; avere la sensazione di essere
esposta a un mondo inaffidabile in cui le relazioni, soprattutto con chi occupa
un differente livello gerarchico, possono essere caratterizzate da arbitrio.
Ciò riduce il livello di fiducia negli altri con ripercussioni negative
sulla dimensione di gruppo. In questi casi è facile verificare che i
comportamenti difensivi o competitivi prevalgono su quelli di tipo cooperativo.
Ma un eccessivo livello di ambiguità nel gioco di ruolo può ridurre
anche la fiducia in sé (self efficacy), con conseguenze
negative sulla propensione ad affrontare problemi nuovi. In generale, per ridurre
l'ansia, le persone si rifugeranno nel conforto della ripetizione o, quantomeno,
nei loro processi decisionali, saranno meno attente a non cadere nella trappola
della coazione a ripetere.
Quando il livello di ambiguità nella relazione con i ruoli contigui supera
una soglia di tolleranza, è possibile che la persona che svolge il ruolo
focale invece di concordare con l'interlocutore significati alle cose da fare,
invochi l'intervento di una autorità organizzativa di regolazione.
In una situazione in cui il conflitto di ruolo sia superiore alla capacità
delle persone coinvolte di gestirlo, queste possono elevare il livello della
conflittualità interpersonale, assumendo comportamenti che disgregano
la coesione del gruppo. Tali situazioni sono spesso caratterizzate da occasioni
in cui viene imposta, o minacciata, l'applicazione letterale del mansionario
o, comunque, della descrizione chiara dei compiti; si intensificano i richiami
alle regole esplicite di interazione; si denunciano le violazioni dei canali
di comunicazione formale; si intasa il flusso comunicativo di procedure, sistemi
di garanzia.
Quando il livello di conflitto di ruolo supera una soglia di tolleranza, le
persone possono accusare le conseguenze della situazione conflittuale sia sul
piano comportamentale e psico-relazionale (irritabilità, comportamenti
difensivi, depressione), che su quello fisico (disturbi del sonno della digestione,
mal di testa).
È qui necessario precisare che il riferimento a soglie di tolleranza
o a livelli eccessivi nelle situazioni di ambiguità o conflitto di ruolo
non va inteso in senso assoluto, ma relativo alle specifiche capacità
individuali e agli specifici contesti organizzativi (o gruppali). Ciò
significa che non esiste un livello di soglia dell'ambiguità o del conflitto
di ruolo valido per ogni contesto, al di sotto del quale tali fenomeni sono
accettabili e oltre i quali generano le disfunzioni organizzative e le sofferenze
personali qui richiamate. Si tratta di livelli di tolleranza variabili da situazione
a situazione in ragione di caratteristiche individuali delle persone coinvolte,
così come dei sistemi relazionali di cui queste persone fanno parte.
4 - La reazione ingenua: eliminare
il gioco, per eliminare le cause di ambiguità e conflitto di ruolo.
Per i responsabili del buon funzionamento di un'organizzazione è evidente
che si pone il problema di agire per eliminare queste disfunzioni.
La risposta più frequente è cercare di ridurre l'ambiguità
e il conflitto di ruolo con una sempre maggiore definizione razionale del "chi
fa che cosa" (e poi anche quando, come, con chi, con quali strumenti, per
quanto tempo ecc.). In questo caso è inevitabile la crescita delle funzioni
di pianificazione, regolazione e controllo. Idealmente, queste funzioni dovrebbero
realizzare le condizioni in cui tutti sanno che cosa spetta e che cosa non spetta
loro fare (chiarezza e completezza del sistema delle aspettative). In questo
modo nessuno dovrebbe avere motivi per sperimentare le sensazioni dell'ambiguità
o del conflitto. L'assunto alla base di questa idea è che sia sufficiente
che ciascuno, preso di volta in volta come focale nella sua rete di relazioni
con i ruoli contigui, sia a conoscenza del profilo necessario e sufficiente
del sistema di aspettative di ruolo. Ma questa condizione non diviene mai sufficiente.
La "soggettività del porcospino" tiene sempre lontana la realtà
realizzata dal disegno pianificato. Ne consegue che, man mano che ci si accorge
della insufficienza di questa condizione, aumenta il bisogno di ricorrere proprio
a quelle funzioni di pianificazione, regolazione e controllo, il cui peso, paradossalmente,
è destinato a crescere. Ma qui si pone un nuovo aspetto del problema:
chi si occupa di pianificare regolare e controllare le relazioni tra i ruoli,
non si occupa direttamente di generare valore, ma, se va bene, di disciplinare
la generazione di valore. Ciò presume un disegno che, verosimilmente,
potrebbe non avere successo nel soddisfare la multiforme platea dei portatori
di interessi - stakeholders - (interni ed esterni), o non averlo in maniera
duratura nel tempo. La rigidità del processo di pianificazione, regolazione
e controllo del lavoro, anche se fosse sottoposta a revisione periodica, comporterebbe
sempre un ritardo proprio per la non coincidenza personale tra chi è
esposto nel processo ai "momenti della verità" (e può
dunque rilevare una insoddisfazione, un difetto di qualità), e chi si
deve preoccupare di correggere il difetto rilevato.
Alla fine, scopriamo che il progetto razionalista di una organizzazione in cui
i ruoli siano definiti, distinti e complementari, in modo da annullare sovrapposizioni
e spazi laschi nell'agire organizzativo, si scontra con l'osservazione che ambiguità
e conflitto di ruolo sono ineliminabili.
Ambiguità e conflitto di ruolo sono ineliminabili perché
a) l'ambiguità è una caratteristica intrinseca del linguaggio umano. Le persone, nel comunicare, usano un linguaggio che, per quanto culturalmente condiviso, deve essere individualmente interpretato. Anche la manifestazione o espressione delle aspettative di ruolo avviene sempre attraverso discorsi o comportamenti "che preservano sempre la varietà e l'ambiguità delle interpretazioni date" 3 . La differenza tra persone "educate" alla consapevolezza di questo fenomeno e gli altri è che mentre le prime possono utilizzare il problema dell'ambiguità per motivarsi a costruire significati condivisi, i secondi convivono con l'ambiguità, il non detto e i malintesi, convinti di avere comunicato efficacemente, salvo, poi, scoprire che gli effetti della comunicazione non saranno quelli attesi;
b) le organizzazioni agiscono in sistemi composti da una verità di portatori di interessi anche opposti o confliggenti. In un recente contributo 4 , Gian Carlo Cainarca e Giuseppe Zollo riferiscono di diversi studi che mostrano come un'attività cruciale del manager è quella di "perseguire impegni non facilmente conciliabili", "obiettivi opposti", equilibrare "tensioni opposte". Da questa pluralità di studi emerge l'esigenza di una teoria che possa gestire sia la stabilità che il cambiamento. A me sembra che queste considerazioni siano convergenti con l'idea dell'inevitabilità del conflitto di ruolo. A esempio, stabilità e cambiamento possono essere considerati non solo come valori astratti, ma anche come elaborazioni superiori di comportamenti richiesti (aspettative) da ruoli contigui. Il capo che chiede all'operatore del servizio di stare negli standard, promuove il valore della stabilità. Il cliente utente che chiede all'operatore di dedicargli un'attenzione e, quindi, un tempo eccezionale, promuove il valore del cambiamento. Per quell'operatore queste richieste, proprio perché non riferite all'adesione concettuale a valori, ma all'assunzione di comportamenti operativi (scambi tra ruoli), sono causa di una incompatibilità, o conflitto di ruolo. Analoghe considerazioni possono essere fatte per ogni possibile ruolo che venga messo nella posizione focale della mappa, poiché ognuno interagisce con una pluralità di ruoli contigui, e una pluralità di interessi diversi, creando, quindi, le condizioni per l'espressione di posizioni non solo diverse, ma apparentemente incompatibili.
5 - Dall'inevitabilità alla
desiderabilità di ambiguità e conflitto di ruolo
A questo punto, constatato che ambiguità e conflitto di ruolo sono inevitabilmente
correlate al gioco di ruolo, ci si potrebbe chiedere se ambiguità e conflitto
di ruolo debbano necessariamente essere associabili solo a disfunzioni organizzative.
L'attività di costruzione di significati condivisi coincide sostanzialmente
con l'interpretazione che, "è la chiave del conoscere e dell'organizzare,
e non un semplice succedaneo delle misure quantitative. Durante tutti i processi
organizzativi la principale attività realizzata da ogni membro dell'organizzazione
è l'interpretazione degli eventi che continuamente emergono dalle situazioni,
e la contrattazione con quelle degli altri membri"5
.
La riduzione dei livelli di ambiguità, fino alla ideale perfetta trasparenza
e completezza delle aspettative, toglierebbe stimoli alla ricerca di relazioni
per condividere (se non costruire) significati con i ruoli contigui. Dice Angelo
Fanelli: "perché un individuo scambi conoscenza, è necessario
che questo sia motivato a ricercare significato (intenzione) , che sia in grado
di ricercare nuovi significati (autonomia), e che affronti un certo livello
di ambiguità che renda inadeguati gli schemi esistenti nel contesto della
situazione attuale" 6.
La sottrazione drastica dell'ambiguità nel gioco di ruolo avrebbe così
il risultato di creare un terreno di coltura per la riproduzione acritica dei
comportamenti passati, tanto più se a quei comportamenti aveva corrisposto,
nelle condizioni passate e, quindi, non più attuali, un successo.
Anche guardando all'aspetto del conflitto di ruolo e dell'incompatibilità
tra le aspettative dei ruoli contigui, si può attribuire alla prospettiva
di una sua eliminazione dal gioco di ruolo, un'idea di organizzazione virtuosa
come di quella dove regna il consenso. Questa idea di organizzazione virtuosa
sembra incatenata a quello di un mondo in cui la caratteristica dominate è
la stabilità. Come noto, non è così nel mondo reale. Noi
possiamo provare a definire virtuosa un'organizzazione che sviluppa la propria
azione lungo un percorso a spirale che progressivamente allarghi, non restringa,
lo spazio di soddisfazione dei suoi portatori di interesse e che dilati su un
orizzonte sempre più ampio il tempo della propria durata vitale. Da questo
punto di vista, un'organizzazione per essere virtuosa, non deve annullare il
dissenso, i contrasti tra le aspettative, ma deve imparare a gestirli.
6 - L'azione consapevole: non agire
per la eliminazione ma per la gestione di ambiguità e conflitto di ruolo.
Dunque sembra possibile e conveniente un cambiamento di rappresentazione mentale
del problema e capovolgere l'assunto iniziale. Le conseguenze negative si accompagnano
non tanto alla esistenza dei fenomeni di ambiguità e di conflitto di
ruolo ma alla insufficiente capacità di gestirli da parte delle persone
che ne sono coinvolte. Allora, invece che insistere nel tentativo (peraltro
vano, come si è detto) di eliminarli, sembra più produttivo chiedersi
che cosa può significare gestire ambiguità e conflitto
di ruolo, e quali leve siano nelle mani dei manager.
Nella intricata matassa di percorsi possibili di ragionamento e di azione, potrebbero
rientrare:
Ascolto
Qui l'aspetto decisivo non è tanto proporre un elenco di comportamenti
che definiscono il buon ascoltatore quanto evidenziare l'ascolto come sospensione
dell'azione. Man mano che l'ascolto, ci avvicina all'altro, esso ci espone a
un ignoto che può essere ansiogeno. L'azione immediata (talvolta il rifiuto
all'ascolto, talvolta la rapida espressione di giudizi) è la modalità
per ridurre l'ansia.
Dal punto di vista psicologico, il cambiamento e lo sviluppo di ruolo possono
essere letti come passaggio a una maggiore "tenuta" dell'ansia. L'azione
è dunque in genere nemica dell'ascolto.
L'ascolto non è però assenza di azione (non è passività
e nemmeno un lasciarsi agire). Al contrario esso si sostanzia con una specifica
azione: la sospensione temporanea dell'azione e del giudizio.
Il ruolo focale deve disporsi a condividere e a costruire significati esplorando
le aspettative già note al ruolo contiguo, ma da questo per i più
vari motivi, non ancora esplicitate; oppure, ancor più significativamente,
esplorando le aspettative non ancora note nemmeno al ruolo contiguo stesso.
Qui la "sospensione dell'azione" diviene cruciale per evitare di attribuire
al ruolo contiguo interessi, per così dire, "interessati" (a
esempio, aspettative a cui il ruolo focale si senta già preparato a dare
risposta). Si può anche dire che, con una matura capacità di ascolto
e di sollecitazione di occasioni di ascolto, si dà una chance
ai comportamenti permessi ai ruoli e, quindi, alla possibilità di creare
innovazione.
Questo risultato dipende dal almeno due cose: la prima è l'esistenza
di una certa quota d'ambiguità di ruolo (ecco perché non solo
è desiderabile gestire quella che inevitabilmente si presenta nel gioco
di ruolo, anziché tentare di eliminarla, ma addirittura diventa più
conveniente aumentarla, riducendo progressivamente le definizioni 'ingegneristiche'
dei ruoli); la seconda è una diffusa capacità di ascolto.
Negoziazione
Gestire il conflitto di ruolo attraverso l'esercizio di abilità negoziali
significa negoziare una pluralità di significati che tutte le parti in
conflitto possono dare al lavoro: al loro lavoro e al lavoro dell'organizzazione
(o del gruppo). Significa anche passare dal piano della dichiarazione e del
confronto delle posizioni a quello della esplorazione e interpretazione degli
interessi.
L'operatore che si eleva dalla semplice antinomia di moralismo versus
opportunismo, di legittimità di richieste versus conseguenze organizzative,
si predispone a una soluzione negoziale dell'incompatibilità di ruolo
che passa proprio per la capacità di non limitarsi a considerare le richieste
dei ruoli contigui sulla base delle posizioni che essi esprimono, e di arrivare
all'emersione dei loro interessi. Molto spesso, infatti, situazioni relazionali
che appaiono caratterizzate da incompatibilità sul piano delle richieste
dichiarate (le posizioni), possono risolversi con reciproca soddisfazione con
uno sforzo, essenzialmente comunicativo, di arrivare al perché di una
posizione.
Ecco che l'operatore può negoziare con i ruoli contigui un comportamento,
o un sistema di comportamenti, che li soddisfi entrambi se, indagando il perché
delle loro specifiche richieste e aspettative, individua possibili aree di sovrapposizione
non evidenti al livello delle posizioni dichiarate. L'abilità da acquisire
è quella della mamma che per affrontare il litigio delle due sorelline
che si contendono l'unica arancia disponibile (posizioni incompatibili), chiede
loro perché la vogliono e scopre che una desidera fare una spremuta e
l'altra usare la buccia per un dolce (interessi compatibili).
7 - Ripensamento organizzativo
Se si accetta l'idea che il problema non è il gioco di ruolo con il suo
portato inevitabile e impredicibile di ambiguità e di conflitto, ma è
la capacità delle persone di gestire questi fenomeni, e se si orientano
le politiche organizzative allo sviluppo e al sostegno di questa capacità,
allora potrebbe essere possibile giungere a un capovolgimento del problema iniziale.
Per le imprese oggi, forse, la criticità non è nell'eccesso di
ambiguità e di conflitto di ruolo, ma, al contrario, in un suo difetto.
Non si deve agire per averne di meno ma per averne di più (a condizione
di sostenere la capacità delle persone di gestirne il processo e gli
effetti).
Ciò implica che nella concezione di ruolo organizzativo bisogna superare
i concetti di confine, di adeguatezza, di giustapposizione, e bisogna cercare
ridondanza.
Certo non la ridondanza di parti, che si collega all'idea di inefficienza globale,
di spreco. Quella era una caratteristica dell'organizzazione meccanica in cui
per trovare il "giusto gioco" si creavano uffici di pianificazione,
regolazione e controllo. Questi sì, economicamente e umanamente intollerabili
per il loro portato di inefficienza e di espropriazione del processo ai danni
delle persone che, oggi si riconosce, ne dovrebbero essere attori quanto più
possibile consapevoli.
La ridondanza di cui si ha bisogno oggi è la ridondanza di funzioni.
Il modello da meccanico diventa connettivo, neuronale.
In sistemi generosi di suggestioni organizzative per le loro caratteristiche
di plasticità, adattabilità, flessibilità e autorganizzazione,
come a esempio il cervello e il sistema immunitario, possiamo ritrovare numerosi
esempi di ridondanza funzionale. Se una parte si danneggia, per la sostituzione
non è necessario ricorrere a magazzini con pezzi di ricambio egualmente
specializzati. La riparazione può avere luogo perché altre parti,
fino a quel momento già al lavoro, riducono o modificano la loro specializzazione,
facendosi carico del lavoro che spettava alla parte danneggiata. Oppure, e il
tema è di grande attualità scientifica, si può sì
fare ricorso a un magazzino di scorte, ma non di parti già specializzate
e fino a ora inutilizzate, bensì di parti a bassissima specializzazione
o differenziazione (il riferimento d'attualità è, evidentemente,
all'uso terapeutico delle cellule staminali).
Certo per organizzazioni complesse non si può sostenere la necessità
che tutti sappiano tutto e sappiano fare il lavoro di qualsiasi altro.
Ma nemmeno si può più sostenere la necessità di una specializzazione
e di una totale identificazione con il ruolo (quel ruolo concepito in modo rigidamente
distintivo da ogni altro, per annullare spazi laschi e sovrapposizioni). Proviamo
a pensare che sarebbe della nostra intelligenza e della nostra salute, se tra
gli elementi dei sistemi neuronali o di quelli immunitari si imponesse una legge
di riduzione dell'ambiguità e del conflitto di ruolo, attraverso la soppressione
della ridondanza funzionale.
Per combattere i problemi organizzativi e personali che derivano da una insufficiente
capacità di gestire l'ambiguità e il conflitto di ruolo, non ha
senso elevare mura, rafforzare i confini di ruolo. La regolazione degli effetti
della ridondanza funzionale nei sistemi neuronali e immunitari non viene affidata
a una sorta di entità superiore ed esterna al gioco tra le parti, ma
proprio alla varietà delle connessioni possibili e alle proprietà
di autorganizzazione che tra di esse emergono. La sfida maneggiale diviene assecondare
l'affermazione di modelli operativi autorganizzati, anche con il ripensamento
dei confini di ruolo e organizzativi. Forse, scopriremo che conviene rappresentarci
l'organizzazione, i gruppi e i ruoli (ma non le persone) come qualcosa i cui
confini non sono che una convenzione, magari l'effetto di una mezza rotazione
in un nastro di carta che può farli apparire o sparire, come accade con
l'anello di Möbius 8.
1 Schein, Edgar H., Organizational Psychology, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, New Jersey, second edition.
2 Di Gregorio Renato, Progetti di cambiamento, Guerini e Associati, Milano 1996, pagg. 114, 115.
3 Cainarca Gian Carlo, Zollo Giuseppe, Organizzare l'ambiguità, Sviluppo & Organizzazione, 187, settembre/ottobre 2001.
4 Cainarca Gian Carlo, Zollo Giuseppe, ibidem.
5 Cainarca Gian Carlo, Zollo Giuseppe, ibidem.
6 Fanelli Angelo, Dinamiche conoscitive e innovazione, Sviluppo & Organizzazione, 184, marzo/aprile 2001
7 Questa interpretazione ha nel modello della mappa di ruolo e del sistema delle aspettative tra ruolo focale e ruoli contigui uno strumento operativo. È importante sapere che questo modello non è l'unico possibile e che, probabilmente, per il solo fatto di usarlo, 'modella' la nostra rappresentazione dei problemi. Tuttavia, esso appare molto potente nella capacità di generare interpretazioni e attribuzioni di senso condivise e nel suggerire strategie di intervento.
8 Su questo, rinvio al mio piccolo
esercizio di bricolage manageriale: "Möbius Organization"
pubblicato in www.bloom.it lo scorso 19 novembre 2001.