BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 28/01/2002

MÖBIUS ORGANIZATION

GESTIRE L'AMBIGUITA' E IL CONFLITTO DI RUOLO

di Attilio Pagano

Generalmente si ritiene che un livello eccessivo di ambiguità e/o conflitto di ruolo generi disfunzioni organizzative e sofferenze individuali. Come giudicare quando il livello di ambiguità e/o conflitto di ruolo è eccessivo? Più che alla misurazione di fattori causali, conviene riferirsi proprio alla manifestazione degli effetti. Quando ci sono evidenze di disfunzioni organizzative o sofferenze individuali dovute al gioco tra i ruoli di un organizzazione, si può pensare che si sia superata la soglia di tolleranza.
Intuitivamente, la risposta manageriale è la riduzione, fino alla eliminazione, delle cause di ambiguità e conflitto di ruolo, ma ciò si scontra con alcune considerazioni:
- è impossibile eliminare completamente ambiguità e conflitto, dal gioco di ruolo;
- un certo tasso di ambiguità e conflitto di ruolo è desiderabile perché entrambi i fenomeni sono positivamente correlati alla capacità dell'organizzazione di favorire flussi di conoscenza e innovazione.
La risposta manageriale più accorta è, controintuitivamente, agire sul livello di tolleranza delle persone all'ambiguità e al conflitto di ruolo, in modo di conservarne le caratteristiche positive indotte (predisposizione alla innovazione) senza pagare il prezzo di disfunzioni organizzative e sofferenze individuali. In questa prospettiva, si impongono alcune scelte manageriali e un ripensamento della formazione (superamento della formazione a ruolo).
Così da una rappresentazione dell'organizzazione efficiente come di una realtà in cui non ci sono ambiguità e conflitto di ruolo, perveniamo a una rappresentazione opposta in cui questi fenomeni, peraltro inevitabili, diventano caratteristiche desiderabili e la sfida manageriale diventa imparare a gestirli.

1 - Inevitabilità e impredicibilità del gioco di ruolo
L'interpretazione di un ruolo presenta sempre aspetti imprevisti, cioè non visti prima, non anticipati da una 'intelligenza' organizzativa, ammesso che tale intelligenza possa esistere.
A proposito dei ruoli, si dice talvolta "giocare un ruolo" o anche "il gioco dei ruoli". Ecco che, una volta tanto, per comprendere il concetto di ruolo organizzativo, può tornare utile una metafora meccanica. Tra i vari significati della parola "gioco" vi è, infatti, anche quello meccanico. Il gioco è lo spazio che esiste tra le parti di un meccanismo. Perché la macchina funzioni è necessario che ci sia un certo gioco tra gli ingranaggi. La totale assenza di gioco porta il meccanismo a incepparsi, l'eccesso di gioco fa slittare gli ingranaggi.
Seguendo questa metafora, possiamo riconoscere che quando, per avere la maggiore efficienza che deriverebbe dalla totale ed esclusiva attribuzione dei compiti necessari e sufficienti, ovvero la più precisa definizione di ruoli definiti e distinti che occupino tutto lo spazio dell'agire organizzativo, si cerca di eliminare il "gioco" (cioè lo spazio lasco non occupato da alcun ingranaggio), non solo non si ottiene alcun aumento di efficienza, ma addirittura si compromette l'efficacia e persino la possibilità stessa di azione dell'organizzazione.
La pretesa di definire con precisione assoluta i ruoli organizzativi è illusoria anche perché il ruolo è il risultato di un incontro tra una posizione organizzativa e una persona. Inoltre, ogni ruolo non esiste da solo: è sempre immerso in un sistema di relazioni con altri ruoli, con un effetto moltiplicatore della imprevedibilità. Da qui l'importanza della consapevolezza di ogni persona: consapevolezza del gioco, dell'ineliminabilità del gioco.
Proprio la meccanica, si dirà, insegna che esiste un "gioco ideale", un ideale rapporto tra accostamento e allontanamento degli ingranaggi che rende massimamente efficiente la trasmissione del moto. Il fatto è che le persone, anche quando interpretano un ruolo organizzativo, sembrano restie ad adattarsi a un gioco ideale. Diversamente dagli ingranaggi, che non possono "decidere" quanto gioco concedersi l'un l'altro, le persone sembrano portate a fare come i "porcospini di Schopenhauer" che sono spinti dal freddo ad accostarsi l'un l'altro e dai loro stessi aculei ad allontanarsi, fino a che trovano una distanza che loro giudicano ottimale.
Sembra così emergere a fianco della ineliminabilità del gioco anche una sua impredicibilità.
Ciò nonostante, assistiamo frequentemente a tentativi di definire un ruolo organizzativo attraverso la descrizione di alcune caratteristiche, per così dire impersonali, tra le quali si possono rintracciare la finalità (a che cosa serve quel ruolo per l'organizzazione); i compiti (che cosa deve fare chi svolge quel ruolo: da qui muove la grande costruzione razionalistica dei mansionari); le competenze (che cosa deve sapere la persona che svolge quel ruolo, sia da un punto di vista cognitivo che da uno comportamentale); le responsabilità (a quali conseguenze vanno incontro l'organizzazione e la persona a seguito di una prestazione non corrispondente al progetto organizzativo).
Questa dimensione del ruolo si presenta come chiara, descrivibile e scrivibile nei manuali organizzativi e negli accordi sindacali.
È evidente l'eco taylorista di questa concezione del ruolo organizzativo. I conseguenti comportamenti manageriali per le politiche del personale (reclutamento, selezione, valutazione e ricompensa) restano centrati su una concezione presuntivamente oggettiva e impersonale del lavoro in cui il job prevale sulle skill, le prestazioni sulle potenzialità, la riproduzione sull'innovazione.
(Questa è la concezione di ruolo che determina un approccio alla formazione basato sull'analisi degli scostamenti tra le competenze richieste e quelle possedute dalla persona - formazione a ruolo).
È facile rendersi conto di come questa descrizione dei ruoli organizzativi sia in realtà poco utile nel prevedere lo svolgimento dei ruoli stessi da parte di persone concrete in situazioni concrete. Basta osservare che dallo stesso ruolo interpretato da persone diverse o dalla stessa persona in situazioni diverse si possano avere risultati molto diversi per efficacia e per efficienza.
Per giungere a una interpretazione più completa dei diversi modi con cui le persone possono interpretare ruoli organizzativi uguali è possibile fare un esercizio relativamente semplice: la rappresentazione di una mappa di ruolo (fig. 1).


Fig. 1 Mappa di ruolo e schematizzazione del sistema delle aspettative e degli scambi tra un ruolo focale (RF) e i suoi ruoli contigui.

Si tratta di disporre al centro di un foglio le definizione di un ruolo organizzativo che chiamiamo "focale" (a esempio, l'infermiere ospedaliero) e tutt'intorno le definizioni dei ruoli con cui il ruolo focale ha qualche forma di interazione e che chiameremo "contigui" (a esempio, i degenti, i visitatori, i medici, i colleghi, gli ausiliari, il primario, gli analisti di laboratorio, i tecnici della manutenzione, gli amministrativi ecc. ecc.).
Si può facilmente verificare che il comportamento di una persona che svolge il ruolo focale dell'infermiere (come di qualsiasi altro ruolo) è influenzato, oltre che dalla minore o maggiore conoscenza della dimensione "chiara" del ruolo, dalle aspettative che le persone che svolgono i diversi ruoli contigui hanno nei suoi confronti e da quello che effettivamente da queste ultime viene dato. Altrettanto, per la natura sistemica delle relazioni di ruolo, la persona che svolge il ruolo focale influenzerà con le sue aspettative e con le sue offerte il comportamento delle persone che svolgono i ruoli contigui.
Le persone, quando interpretano i ruoli organizzativi sono da questo punto di vista simili ai porcospini più che agli ingranaggi. In questo modo, grazie a quella che potremmo definire la 'soggettività del porcospino', la rappresentazione di un ruolo si arricchisce di un qualcosa che si accompagna alla parte chiara e che non è descrivibile a priori e in astratto: la risultante del sistema delle aspettative e degli scambi con i ruoli contigui.


2 - Ambiguità e conflitto di ruolo
La schematizzazione delle relazioni di aspettative e di scambio tra ruolo focale e ruoli contigui può aiutare a riconoscere le condizioni che generano soddisfazione o insoddisfazione di ruolo.
Con soddisfazione di ruolo possiamo intendere la situazione in cui le aspettative di un ruolo focale sono soddisfatte dalle cose che questo riceve dai ruoli contigui e, contestualmente, le aspettative dei ruoli contigui sono soddisfatte da quello che a essi viene offerto dal ruolo focale. È evidente che questa è una situazione ideale. Non irrealizzabile in linea di principio, ma certamente non pianificabile o prevedibile considerando che, in forza della 'soggettività del porcospino', ciascuno può stabilire quanto vicino o lontano stare dagli altri. Per di più queste soglie di gradimento possono
variare nel tempo anche per la stessa persona.
Più frequenti sono, dunque, le situazioni di insoddisfazione (anche solo parziale) di ruolo che possono derivare da ambiguità e conflitto di ruolo 1.
Chi riveste il ruolo focale si trova in una situazione di ambiguità quando i ruoli contigui non forniscono (perché non le hanno o perché le trattengono) tutte le informazioni sulle loro aspettative (fig. 2).


Fig. 2 Ambiguità di ruolo: il ruolo focale non conosce le aspettative del ruolo contiguo e non può valutare se le sta soddisfacendo.

La situazione di ambiguità di ruolo può accadere perché gli stessi ruoli contigui non hanno chiara consapevolezza delle loro aspettative verso il ruolo focale, e/o non sono in grado di comunicargliele efficacemente, e/o ritengono più conveniente (magari per una distorta concezione del potere e dell'autorità) non esplicitarle. A questa situazione può spingere lo stesso disegno strutturale dell'organizzazione. A esempio, nei modelli fortemente e rigidamente funzionali, chi occupa posizioni di maggiore rilievo è portato a trattenere conoscenza specialistica sul processo perché associa a questo possesso esclusivo il mantenimento delle posizioni di vantaggio che, magari, ha acquisito con lunghi anni di gavetta. Come testimonia Renato Di Gregorio: "nascondere le conoscenze risultava utile per conservare i privilegi propri dei ruoli di maggiore importanza, faticosamente conquistati" 2.
In queste situazioni organizzative, il capo, quindi, difficilmente farà richieste ai ruoli subordinati che siano chiare e dotate di senso. In questo modo, eventualmente interpretando anche in maniera gerarchica e autoritaria la relazione organizzativa con i collaboratori, potrà sempre riservarsi il potere di premiare o di sanzionare. Va da sé che i collaboratori potranno percepire queste decisioni del capo come arbitrarie e vivranno l'esperienza di una disorientante ambiguità di ruolo.
Chi riveste il ruolo focale si trova in una situazione di conflitto di ruolo quando:
1. le attese dei ruoli contigui sono contraddittorie (questa situazione può anche essere definita come incompatibilità di ruolo - fig. 3);
2. un individuo occupa simultaneamente due ruoli (sempre!) Che possono essere in contrasto (talvolta).



Fig. 3 Conflitto di ruolo (incompatibilità). Le aspettative di due o più ruoli contigui sono incompatibili: un comportamento del ruolo focale che soddisfa le aspettative di RC1 contrasta le aspettative di RC2.

A esempio, un operatore front line di un servizio può cogliere nella relazione con il cliente-utente una aspettativa la cui soddisfazione comporterebbe una contestuale non soddisfazione delle aspettative del suo diretto superiore. Ciò può succedere quando la esigenza di un cliente di avere una maggiore consapevolezza e conoscenza delle caratteristiche del servizio richiede un tempo eccedente quello pianificato per la erogazione della prestazione. A chi deve dare soddisfazione quell'operatore? Soddisferà la richiesta di quel cliente, o quella del capo preoccupato dell'efficienza dell'ufficio?
È stato osservato che il comportamento decisionale delle persone in queste situazioni di incompatibilità tra le richieste di ruoli contigui è determinato dalla propensione a considerare la legittimità delle richieste in confronto alla propensione a considerare le eventuali sanzioni.
Da un lato abbiamo l'atteggiamento moralista di chi si dispone a considerare le richieste per la loro legittimità. Queste persone sono disposte a soddisfare le aspettative che loro reputano legittime. Eventuali sanzioni per la mancata soddisfazione di aspettative non legittime non influenzano il loro comportamento.
All'estremo opposto, abbiamo l'atteggiamento opportunista di chi si dispone a dare peso solo alle conseguenze per i propri interessi, ovvero alle sanzioni previste dall'organizzazione. Queste persone danno maggiore importanza alle sanzioni in cui possono incorrere per non avere dato soddisfazione alle aspettative di un determinato ruolo contiguo indipendentemente dalla attribuzione di legittimità. Per loro, la legittimità delle aspettative entra in gioco solo se non percepiscono rischio di sanzioni.
In un caso e nell'altro è forte il rischio di lasciare insoddisfatte le aspettative di qualcuno. Da qui l'esperienza di una situazione di conflitto irrisolto, di una insoddisfazione di ruolo, di una perdita di senso del proprio lavoro.

3 - Conseguenze della insufficiente capacità di gestire ambiguità e conflitto di ruolo
Un livello di ambiguità e/o di conflitto di ruolo eccessivo rispetto alle capacità di gestione e di tenuta emotiva delle persone coinvolte, comporta l'insorgenza di diverse forme di sofferenza individuale e di disfunzioni organizzative.
Quando una persona percepisce un'ambiguità di ruolo (cioè non sa che cosa si aspetti almeno uno dei ruoli contigui) superiore alle sue capacità di gestione, può provare ansia, insicurezza; avere la sensazione di essere esposta a un mondo inaffidabile in cui le relazioni, soprattutto con chi occupa un differente livello gerarchico, possono essere caratterizzate da arbitrio. Ciò riduce il livello di fiducia negli altri con ripercussioni negative sulla dimensione di gruppo. In questi casi è facile verificare che i comportamenti difensivi o competitivi prevalgono su quelli di tipo cooperativo.
Ma un eccessivo livello di ambiguità nel gioco di ruolo può ridurre anche la fiducia in sé (self efficacy), con conseguenze negative sulla propensione ad affrontare problemi nuovi. In generale, per ridurre l'ansia, le persone si rifugeranno nel conforto della ripetizione o, quantomeno, nei loro processi decisionali, saranno meno attente a non cadere nella trappola della coazione a ripetere.
Quando il livello di ambiguità nella relazione con i ruoli contigui supera una soglia di tolleranza, è possibile che la persona che svolge il ruolo focale invece di concordare con l'interlocutore significati alle cose da fare, invochi l'intervento di una autorità organizzativa di regolazione.
In una situazione in cui il conflitto di ruolo sia superiore alla capacità delle persone coinvolte di gestirlo, queste possono elevare il livello della conflittualità interpersonale, assumendo comportamenti che disgregano la coesione del gruppo. Tali situazioni sono spesso caratterizzate da occasioni in cui viene imposta, o minacciata, l'applicazione letterale del mansionario o, comunque, della descrizione chiara dei compiti; si intensificano i richiami alle regole esplicite di interazione; si denunciano le violazioni dei canali di comunicazione formale; si intasa il flusso comunicativo di procedure, sistemi di garanzia.
Quando il livello di conflitto di ruolo supera una soglia di tolleranza, le persone possono accusare le conseguenze della situazione conflittuale sia sul piano comportamentale e psico-relazionale (irritabilità, comportamenti difensivi, depressione), che su quello fisico (disturbi del sonno della digestione, mal di testa).
È qui necessario precisare che il riferimento a soglie di tolleranza o a livelli eccessivi nelle situazioni di ambiguità o conflitto di ruolo non va inteso in senso assoluto, ma relativo alle specifiche capacità individuali e agli specifici contesti organizzativi (o gruppali). Ciò significa che non esiste un livello di soglia dell'ambiguità o del conflitto di ruolo valido per ogni contesto, al di sotto del quale tali fenomeni sono accettabili e oltre i quali generano le disfunzioni organizzative e le sofferenze personali qui richiamate. Si tratta di livelli di tolleranza variabili da situazione a situazione in ragione di caratteristiche individuali delle persone coinvolte, così come dei sistemi relazionali di cui queste persone fanno parte.

4 - La reazione ingenua: eliminare il gioco, per eliminare le cause di ambiguità e conflitto di ruolo.
Per i responsabili del buon funzionamento di un'organizzazione è evidente che si pone il problema di agire per eliminare queste disfunzioni.
La risposta più frequente è cercare di ridurre l'ambiguità e il conflitto di ruolo con una sempre maggiore definizione razionale del "chi fa che cosa" (e poi anche quando, come, con chi, con quali strumenti, per quanto tempo ecc.). In questo caso è inevitabile la crescita delle funzioni di pianificazione, regolazione e controllo. Idealmente, queste funzioni dovrebbero realizzare le condizioni in cui tutti sanno che cosa spetta e che cosa non spetta loro fare (chiarezza e completezza del sistema delle aspettative). In questo modo nessuno dovrebbe avere motivi per sperimentare le sensazioni dell'ambiguità o del conflitto. L'assunto alla base di questa idea è che sia sufficiente che ciascuno, preso di volta in volta come focale nella sua rete di relazioni con i ruoli contigui, sia a conoscenza del profilo necessario e sufficiente del sistema di aspettative di ruolo. Ma questa condizione non diviene mai sufficiente. La "soggettività del porcospino" tiene sempre lontana la realtà realizzata dal disegno pianificato. Ne consegue che, man mano che ci si accorge della insufficienza di questa condizione, aumenta il bisogno di ricorrere proprio a quelle funzioni di pianificazione, regolazione e controllo, il cui peso, paradossalmente, è destinato a crescere. Ma qui si pone un nuovo aspetto del problema: chi si occupa di pianificare regolare e controllare le relazioni tra i ruoli, non si occupa direttamente di generare valore, ma, se va bene, di disciplinare la generazione di valore. Ciò presume un disegno che, verosimilmente, potrebbe non avere successo nel soddisfare la multiforme platea dei portatori di interessi - stakeholders - (interni ed esterni), o non averlo in maniera duratura nel tempo. La rigidità del processo di pianificazione, regolazione e controllo del lavoro, anche se fosse sottoposta a revisione periodica, comporterebbe sempre un ritardo proprio per la non coincidenza personale tra chi è esposto nel processo ai "momenti della verità" (e può dunque rilevare una insoddisfazione, un difetto di qualità), e chi si deve preoccupare di correggere il difetto rilevato.
Alla fine, scopriamo che il progetto razionalista di una organizzazione in cui i ruoli siano definiti, distinti e complementari, in modo da annullare sovrapposizioni e spazi laschi nell'agire organizzativo, si scontra con l'osservazione che ambiguità e conflitto di ruolo sono ineliminabili.
Ambiguità e conflitto di ruolo sono ineliminabili perché

a) l'ambiguità è una caratteristica intrinseca del linguaggio umano. Le persone, nel comunicare, usano un linguaggio che, per quanto culturalmente condiviso, deve essere individualmente interpretato. Anche la manifestazione o espressione delle aspettative di ruolo avviene sempre attraverso discorsi o comportamenti "che preservano sempre la varietà e l'ambiguità delle interpretazioni date" 3 . La differenza tra persone "educate" alla consapevolezza di questo fenomeno e gli altri è che mentre le prime possono utilizzare il problema dell'ambiguità per motivarsi a costruire significati condivisi, i secondi convivono con l'ambiguità, il non detto e i malintesi, convinti di avere comunicato efficacemente, salvo, poi, scoprire che gli effetti della comunicazione non saranno quelli attesi;

b) le organizzazioni agiscono in sistemi composti da una verità di portatori di interessi anche opposti o confliggenti. In un recente contributo 4 , Gian Carlo Cainarca e Giuseppe Zollo riferiscono di diversi studi che mostrano come un'attività cruciale del manager è quella di "perseguire impegni non facilmente conciliabili", "obiettivi opposti", equilibrare "tensioni opposte". Da questa pluralità di studi emerge l'esigenza di una teoria che possa gestire sia la stabilità che il cambiamento. A me sembra che queste considerazioni siano convergenti con l'idea dell'inevitabilità del conflitto di ruolo. A esempio, stabilità e cambiamento possono essere considerati non solo come valori astratti, ma anche come elaborazioni superiori di comportamenti richiesti (aspettative) da ruoli contigui. Il capo che chiede all'operatore del servizio di stare negli standard, promuove il valore della stabilità. Il cliente utente che chiede all'operatore di dedicargli un'attenzione e, quindi, un tempo eccezionale, promuove il valore del cambiamento. Per quell'operatore queste richieste, proprio perché non riferite all'adesione concettuale a valori, ma all'assunzione di comportamenti operativi (scambi tra ruoli), sono causa di una incompatibilità, o conflitto di ruolo. Analoghe considerazioni possono essere fatte per ogni possibile ruolo che venga messo nella posizione focale della mappa, poiché ognuno interagisce con una pluralità di ruoli contigui, e una pluralità di interessi diversi, creando, quindi, le condizioni per l'espressione di posizioni non solo diverse, ma apparentemente incompatibili.

5 - Dall'inevitabilità alla desiderabilità di ambiguità e conflitto di ruolo
A questo punto, constatato che ambiguità e conflitto di ruolo sono inevitabilmente correlate al gioco di ruolo, ci si potrebbe chiedere se ambiguità e conflitto di ruolo debbano necessariamente essere associabili solo a disfunzioni organizzative.
L'attività di costruzione di significati condivisi coincide sostanzialmente con l'interpretazione che, "è la chiave del conoscere e dell'organizzare, e non un semplice succedaneo delle misure quantitative. Durante tutti i processi organizzativi la principale attività realizzata da ogni membro dell'organizzazione è l'interpretazione degli eventi che continuamente emergono dalle situazioni, e la contrattazione con quelle degli altri membri"5 .
La riduzione dei livelli di ambiguità, fino alla ideale perfetta trasparenza e completezza delle aspettative, toglierebbe stimoli alla ricerca di relazioni per condividere (se non costruire) significati con i ruoli contigui. Dice Angelo Fanelli: "perché un individuo scambi conoscenza, è necessario che questo sia motivato a ricercare significato (intenzione) , che sia in grado di ricercare nuovi significati (autonomia), e che affronti un certo livello di ambiguità che renda inadeguati gli schemi esistenti nel contesto della situazione attuale" 6.
La sottrazione drastica dell'ambiguità nel gioco di ruolo avrebbe così il risultato di creare un terreno di coltura per la riproduzione acritica dei comportamenti passati, tanto più se a quei comportamenti aveva corrisposto, nelle condizioni passate e, quindi, non più attuali, un successo.
Anche guardando all'aspetto del conflitto di ruolo e dell'incompatibilità tra le aspettative dei ruoli contigui, si può attribuire alla prospettiva di una sua eliminazione dal gioco di ruolo, un'idea di organizzazione virtuosa come di quella dove regna il consenso. Questa idea di organizzazione virtuosa sembra incatenata a quello di un mondo in cui la caratteristica dominate è la stabilità. Come noto, non è così nel mondo reale. Noi possiamo provare a definire virtuosa un'organizzazione che sviluppa la propria azione lungo un percorso a spirale che progressivamente allarghi, non restringa, lo spazio di soddisfazione dei suoi portatori di interesse e che dilati su un orizzonte sempre più ampio il tempo della propria durata vitale. Da questo punto di vista, un'organizzazione per essere virtuosa, non deve annullare il dissenso, i contrasti tra le aspettative, ma deve imparare a gestirli.

6 - L'azione consapevole: non agire per la eliminazione ma per la gestione di ambiguità e conflitto di ruolo.
Dunque sembra possibile e conveniente un cambiamento di rappresentazione mentale del problema e capovolgere l'assunto iniziale. Le conseguenze negative si accompagnano non tanto alla esistenza dei fenomeni di ambiguità e di conflitto di ruolo ma alla insufficiente capacità di gestirli da parte delle persone che ne sono coinvolte. Allora, invece che insistere nel tentativo (peraltro vano, come si è detto) di eliminarli, sembra più produttivo chiedersi che cosa può significare gestire ambiguità e conflitto di ruolo, e quali leve siano nelle mani dei manager.
Nella intricata matassa di percorsi possibili di ragionamento e di azione, potrebbero rientrare:

Ascolto
Qui l'aspetto decisivo non è tanto proporre un elenco di comportamenti che definiscono il buon ascoltatore quanto evidenziare l'ascolto come sospensione dell'azione. Man mano che l'ascolto, ci avvicina all'altro, esso ci espone a un ignoto che può essere ansiogeno. L'azione immediata (talvolta il rifiuto all'ascolto, talvolta la rapida espressione di giudizi) è la modalità per ridurre l'ansia.
Dal punto di vista psicologico, il cambiamento e lo sviluppo di ruolo possono essere letti come passaggio a una maggiore "tenuta" dell'ansia. L'azione è dunque in genere nemica dell'ascolto.
L'ascolto non è però assenza di azione (non è passività e nemmeno un lasciarsi agire). Al contrario esso si sostanzia con una specifica azione: la sospensione temporanea dell'azione e del giudizio.
Il ruolo focale deve disporsi a condividere e a costruire significati esplorando le aspettative già note al ruolo contiguo, ma da questo per i più vari motivi, non ancora esplicitate; oppure, ancor più significativamente, esplorando le aspettative non ancora note nemmeno al ruolo contiguo stesso. Qui la "sospensione dell'azione" diviene cruciale per evitare di attribuire al ruolo contiguo interessi, per così dire, "interessati" (a esempio, aspettative a cui il ruolo focale si senta già preparato a dare risposta). Si può anche dire che, con una matura capacità di ascolto e di sollecitazione di occasioni di ascolto, si dà una chance ai comportamenti permessi ai ruoli e, quindi, alla possibilità di creare innovazione.
Questo risultato dipende dal almeno due cose: la prima è l'esistenza di una certa quota d'ambiguità di ruolo (ecco perché non solo è desiderabile gestire quella che inevitabilmente si presenta nel gioco di ruolo, anziché tentare di eliminarla, ma addirittura diventa più conveniente aumentarla, riducendo progressivamente le definizioni 'ingegneristiche' dei ruoli); la seconda è una diffusa capacità di ascolto.

Negoziazione
Gestire il conflitto di ruolo attraverso l'esercizio di abilità negoziali significa negoziare una pluralità di significati che tutte le parti in conflitto possono dare al lavoro: al loro lavoro e al lavoro dell'organizzazione (o del gruppo). Significa anche passare dal piano della dichiarazione e del confronto delle posizioni a quello della esplorazione e interpretazione degli interessi.
L'operatore che si eleva dalla semplice antinomia di moralismo versus opportunismo, di legittimità di richieste versus conseguenze organizzative, si predispone a una soluzione negoziale dell'incompatibilità di ruolo che passa proprio per la capacità di non limitarsi a considerare le richieste dei ruoli contigui sulla base delle posizioni che essi esprimono, e di arrivare all'emersione dei loro interessi. Molto spesso, infatti, situazioni relazionali che appaiono caratterizzate da incompatibilità sul piano delle richieste dichiarate (le posizioni), possono risolversi con reciproca soddisfazione con uno sforzo, essenzialmente comunicativo, di arrivare al perché di una posizione.
Ecco che l'operatore può negoziare con i ruoli contigui un comportamento, o un sistema di comportamenti, che li soddisfi entrambi se, indagando il perché delle loro specifiche richieste e aspettative, individua possibili aree di sovrapposizione non evidenti al livello delle posizioni dichiarate. L'abilità da acquisire è quella della mamma che per affrontare il litigio delle due sorelline che si contendono l'unica arancia disponibile (posizioni incompatibili), chiede loro perché la vogliono e scopre che una desidera fare una spremuta e l'altra usare la buccia per un dolce (interessi compatibili).

7 - Ripensamento organizzativo
Se si accetta l'idea che il problema non è il gioco di ruolo con il suo portato inevitabile e impredicibile di ambiguità e di conflitto, ma è la capacità delle persone di gestire questi fenomeni, e se si orientano le politiche organizzative allo sviluppo e al sostegno di questa capacità, allora potrebbe essere possibile giungere a un capovolgimento del problema iniziale.
Per le imprese oggi, forse, la criticità non è nell'eccesso di ambiguità e di conflitto di ruolo, ma, al contrario, in un suo difetto. Non si deve agire per averne di meno ma per averne di più (a condizione di sostenere la capacità delle persone di gestirne il processo e gli effetti).
Ciò implica che nella concezione di ruolo organizzativo bisogna superare i concetti di confine, di adeguatezza, di giustapposizione, e bisogna cercare ridondanza.
Certo non la ridondanza di parti, che si collega all'idea di inefficienza globale, di spreco. Quella era una caratteristica dell'organizzazione meccanica in cui per trovare il "giusto gioco" si creavano uffici di pianificazione, regolazione e controllo. Questi sì, economicamente e umanamente intollerabili per il loro portato di inefficienza e di espropriazione del processo ai danni delle persone che, oggi si riconosce, ne dovrebbero essere attori quanto più possibile consapevoli.
La ridondanza di cui si ha bisogno oggi è la ridondanza di funzioni. Il modello da meccanico diventa connettivo, neuronale.
In sistemi generosi di suggestioni organizzative per le loro caratteristiche di plasticità, adattabilità, flessibilità e autorganizzazione, come a esempio il cervello e il sistema immunitario, possiamo ritrovare numerosi esempi di ridondanza funzionale. Se una parte si danneggia, per la sostituzione non è necessario ricorrere a magazzini con pezzi di ricambio egualmente specializzati. La riparazione può avere luogo perché altre parti, fino a quel momento già al lavoro, riducono o modificano la loro specializzazione, facendosi carico del lavoro che spettava alla parte danneggiata. Oppure, e il tema è di grande attualità scientifica, si può sì fare ricorso a un magazzino di scorte, ma non di parti già specializzate e fino a ora inutilizzate, bensì di parti a bassissima specializzazione o differenziazione (il riferimento d'attualità è, evidentemente, all'uso terapeutico delle cellule staminali).
Certo per organizzazioni complesse non si può sostenere la necessità che tutti sappiano tutto e sappiano fare il lavoro di qualsiasi altro.
Ma nemmeno si può più sostenere la necessità di una specializzazione e di una totale identificazione con il ruolo (quel ruolo concepito in modo rigidamente distintivo da ogni altro, per annullare spazi laschi e sovrapposizioni). Proviamo a pensare che sarebbe della nostra intelligenza e della nostra salute, se tra gli elementi dei sistemi neuronali o di quelli immunitari si imponesse una legge di riduzione dell'ambiguità e del conflitto di ruolo, attraverso la soppressione della ridondanza funzionale.
Per combattere i problemi organizzativi e personali che derivano da una insufficiente capacità di gestire l'ambiguità e il conflitto di ruolo, non ha senso elevare mura, rafforzare i confini di ruolo. La regolazione degli effetti della ridondanza funzionale nei sistemi neuronali e immunitari non viene affidata a una sorta di entità superiore ed esterna al gioco tra le parti, ma proprio alla varietà delle connessioni possibili e alle proprietà di autorganizzazione che tra di esse emergono. La sfida maneggiale diviene assecondare l'affermazione di modelli operativi autorganizzati, anche con il ripensamento dei confini di ruolo e organizzativi. Forse, scopriremo che conviene rappresentarci l'organizzazione, i gruppi e i ruoli (ma non le persone) come qualcosa i cui confini non sono che una convenzione, magari l'effetto di una mezza rotazione in un nastro di carta che può farli apparire o sparire, come accade con l'anello di Möbius 8.


Note:

1 Schein, Edgar H., Organizational Psychology, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, New Jersey, second edition.

2 Di Gregorio Renato, Progetti di cambiamento, Guerini e Associati, Milano 1996, pagg. 114, 115.

3 Cainarca Gian Carlo, Zollo Giuseppe, Organizzare l'ambiguità, Sviluppo & Organizzazione, 187, settembre/ottobre 2001.

4 Cainarca Gian Carlo, Zollo Giuseppe, ibidem.

5 Cainarca Gian Carlo, Zollo Giuseppe, ibidem.

6 Fanelli Angelo, Dinamiche conoscitive e innovazione, Sviluppo & Organizzazione, 184, marzo/aprile 2001

7 Questa interpretazione ha nel modello della mappa di ruolo e del sistema delle aspettative tra ruolo focale e ruoli contigui uno strumento operativo. È importante sapere che questo modello non è l'unico possibile e che, probabilmente, per il solo fatto di usarlo, 'modella' la nostra rappresentazione dei problemi. Tuttavia, esso appare molto potente nella capacità di generare interpretazioni e attribuzioni di senso condivise e nel suggerire strategie di intervento.

8 Su questo, rinvio al mio piccolo esercizio di bricolage manageriale: "Möbius Organization" pubblicato in www.bloom.it lo scorso 19 novembre 2001.

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