BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 29/10/2007

PENSIERI SUL LAVORO E I LAVORATORI

di Gianfrancesco Prandato

Mi da molto da riflettere questo intervento sul lavoro, apparso la settimana  scorsa su Bloom! . Soprattutto la parte sul lavoro precario riesce a muovere l’emozione. Penso a tutti quelli che non ce la fanno e ne vedo ahimè tanti. Mi vergogno un po’ della mia età, del fatto che ho cominciato a lavorare prima che inventassero i contratto di formazione lavoro, tanti anni addietro.
L’incipit è una bella suggestione:
“Molti lettori di bloom! sono lavoratori precari; molti altri –altrettanti?– sono datori di lavoro precario. Altri ancora sono consulenti e/o liberi professionisti: imprenditori di sé stessi. Essi stessi, in larga misura, lavoratori precarizzati, se non dalla natura del rapporto di lavoro, da quella della attuale economia –quella, cioè, in transizione verso la globalità. Fin qui, i fatti. Passando alle ipotesi, è ragionevole supporre –ma qui, ripeto, sto inventando, o perlomeno inferendo- che molti fra noi frequentatori di bloom! siano stati –se non d’accordo- almeno simpatetici con le rivendicazioni andate in piazza a Roma il 20 ottobre. Altri –altrettanti?- non lo saranno stati affatto, anzi!, ma per tutti, credo, è importante domandarsi cosa possa fare la collettività per agire questo processo e non solo subirlo –che poi era la domanda posta dai manifestanti ieri. Poiché per tutti, se non a livello esistenziale o di visione del mondo, è comunque una realtà la precarizzazione della condizione di lavoratore, la sua imprenditorializzazione.”
La precarizzazione è il centro esistenziale, più ancora che economico di questa situazione. Una precarizzazione che diventa ancora più difficile da accettare quando si invecchia o quando si è in qualche caso gestito una posizione di comando.
Sul piano soggettivo non saprei che dire. Non ne ho le competenze e sono orfano per cui precario per definizione.
Sul piano economico e sociale, invece credo che sia giunto il momento di dire chiaramente la verità. I numeri lo impongono. Io penso che il “precariato” e la legge Biagi siano una grande ( e piccola) conquista del sistema Italia. Credo che la parola  debba trasformarsi da precariato in flessibilità. Siamo solo all’inizio dobbiamo rendere il mercato del lavoro più flessibile non solo per permettere  alle aziende di essere più libere, ma soprattutto per permetterlo anche alle singole persone.
Molti hanno scritto su questo tema; basti citare Tito Boeri o Francesco Giavazzi su lavoce.info
Io vorrei solo dire che mercato sogno  per le mie figlie e i miei nipoti.
Un mercato in cui:

Basta con frasi come “pensate ho una laurea in lettere e faccio la cameriera”. Pensate a quanti immigrati sono in situazioni peggiori.
Una società in cui di riconosca che il lavoro non è solo un diritto, ma è anche un dovere. E’ difficile non condividere la battaglia  e gli scritti di Pietro Ichino, odiato perché ex aderente alla CGIL e alla Fiom, che coerentemente con il suo passato da metalmeccanico attacca il parassitismo spesso tollerato nell’impiego pubblico.
Un mercato del lavoro in cui non si pensi solo a chi il lavoro ce l’ha, ma che consideri anche chi non ce l’ha e chi lo vuole avere solo in parte o solo per parte della sua vita.
Un mondo in cui le persone non debbano in definitiva essere costrette ad aggrapparsi a quello che hanno, come uno scoglio in cui stia per arrivare l’alta marea e spazzare tutto.
In fondo tutti gli altri paesi che hanno applicato riforme più radicali al mercato del lavoro hanno tassi di occupazione ben più alti del nostro, la Spagna insegna. Ci sarà un senso nei numeri.

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