BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 03/06/2002

LE NOSTRE FACCE

di Stefano Rosato

Caro Davide,
temo che il problema che tu sollevi in Quelle facce (Bloom!, 6 maggio 2002) non sia di semplice soluzione, forse nemmeno abbia una soluzione, e riguardi più il nostro strano sogno collettivo che non la realtà. Cambiare la dinamica interna alla vita aziendale significa rafforzare il processo di assunzione di responsabilità da parte delle persone che lavorano nell'organizzazione. Questo rafforzamento non può essere scisso da una nuova definizione della libertà, che ne ecceda gli stravolgimenti orientati alla ragion di stato, alla coscienza della necessità, verso una logica di libertà dell'agire e dell'interagire, di libertà del soggetto inserito in un contesto sociale che ne ha bisogno proprio per ciò che egli è. E del quale, egli stesso, ha per contro bisogno proprio per divenire ciò che è. George Bailey, magistralmente interpretato da James Stewart nel capolavoro di Frank Capra It's A Wonderful Life (1946), salva una comunità che lo salva, evitando così una doppia catastrofe: la sua personale e quella della città che diverrebbe Pottersville, la città del cattivo, se lui morisse. Quella città ha bisogno di lui proprio per come lui è; lui ha bisogno di quella città per divenire ciò che è. Se prescindiamo dall'ideologia dell'epoca del New Deal, la quale, peraltro, costituisce uno solo dei messaggi del film, siamo in presenza di una delle più forti affermazioni dell'American Way of Life, incentrata sul nesso libertà-responsabilità, come chiave interpretativa di quello invividuo-comunità. E' il concetto di una libertà decisamente connessa con la responsabilità che ha fatto dire a John Fitzgerald Kennedy nell'Inagural Address del 20 gennaio 1961: "ask not what your country can do for you--ask what you can do for your country". La libertà, peraltro, non si inventa dal nulla, ma ha bisogno di un tessuto favorevole per crescere e svilupparsi. Anzitutto ha bisogno che qualcuno la rivendichi, se la prenda, per così dire, e si assuma la responsabilità di essere, poi, in grado di gestirla. Jefferson volle l'obbligatorietà della scolarizzazione degli americani non per un suo sfizio personale, ma per garantire meglio l'esercizio della libertà politica. Ma quella libertà politica era stata voluta dagli americani, e ottenuta a caro prezzo con una rivoluzione. Come ricordava recentemente Ulrich Beck, la libertà non può essere un che di concesso da un sovrano generoso, ma deve essere conquistata.

Le nostre facce sono bifronti, come quella di Giano, volte sia a guardare un passato che dura a morire, sia a immaginare un futuro che non è chiaro quando verrà (come l'Enea di Giorgio Caproni, che, lasciando Troia, "in spalla/un passato che crolla tenta invano/di porre in salvo, e al rullo d' un tamburo/ch'è uno schianto di mura, per la mano/ha ancora così gracile un futuro/da non reggersi ritto"). Siamo diversi dal management della vecchia guardia, dall'establishment dei privilegiati che ha sempre come obiettivo quello di mantenere un grado di libertà senza assumersi alcuna responsabilità, o meglio attraverso il non assumersene alcuna. Ma siamo anche diversi da quelle forze che immaginiamo come lavoro vivo e creativo, e che però faticano, per un accomodante senso della gerarchia, a liberarne tutta la dirompente potenza. Da un lato siamo portatori di una cultura che cerca di pensare il futuro prima che questo accada, che tenta di determinare gli eventi e le scommesse che ne possono accelerare l'accadere; dall'altro siamo noi coloro che sono lasciati soli, abbandonati da quella comunità fatta da individui che rifiutano la liberazione e che, appunto, ci accusano di lasciarli soli perché hanno ancora bisogno del sovrano illuminato che li guidi e insegni loro la libertà. Il nostro rischio è infatti quello di divenire questo sovrano, come è implicito anche nel tuo dire "che l'azienda vuole investire su di loro", come se l'azienda fosse altro da loro, come se la Chiesa non fosse che "moltitudo fidelium". Il lavoro vivo stenta ancora ad entrare in una logica nella quale l'incertezza è centrale e produttiva. Lo scenario che noi immaginiamo ha così molto a che fare con lo statuto del sogno e con quello della visione, portandosi dietro tutta l'incertitude qui vient des rêves. Resta la speranza che il lavoro vivo la accolga, la faccia propria e accetti di giocare un nuovo ruolo in un nuovo contesto.

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