Contributi

Linguaggi e simboli

di Giorgio Ortu 30 Luglio 2015

Il fondo della vita per Nietzsche, quel mondo primordiale per lui terrificante, e dal quale tentiamo di volgere lo sguardo altrove perché la vita ci sia consentita, si trova sotto il linguaggio astratto, che copre appunto illusoriamente quella realtà terribile. Anche Freud pensa che il linguaggio sia una copertura, ma dell’inconscio, che, seppure magmatico e tremendo, può essere tuttavia conosciuto e racchiuso entro categorie determinate, e quindi per certi aspetti “controllato” da un Io forte.
Ma io voglio rovesciare la questione: non perché il fondo della vita sia terribile esiste questo linguaggio astratto, che pure fa un’operazione di mistificazione e copertura della vera realtà, ma al contrario il fondo della vita può apparire, e appariva a Nietzsche, terribile proprio a causa dell’esistenza del linguaggio astratto. E ciò nel senso che l’oscura “consapevolezza”, presente in tutti gli uomini, che la realtà restituita dal linguaggio non è la vera realtà, produce l’angoscia per una realtà ignota e sottostante nella quale si è immersi e che non si può conoscere, si immagina, in nessun caso. Prima dell’invenzione del linguaggio astratto gli uomini vivevano immersi nell’immediatezza, la realtà che li circondava era un magma caotico che loro riuscivano a “controllare” con le emozioni prodotte da un linguaggio concretistico. E’ stato l’abbandono di questo mondo avvenuto nel Neolitico, a formazione di linguaggio astratto terminata, che ha scatenato sensi di colpa e di inferiorità micidiali che si sono agevolmente depositati nei geni, e che ancora oggi gli uomini si portano appresso. Questi complessi, insieme all’inganno operato dal linguaggio astratto, hanno devastato la mente umana -proprio quando si affacciava la razionalità nel mondo e nell’operare degli uomini- producendo fantasmi terrificanti che venivano proiettati sul mondo -anche in forma di religioni sia politeiste che monoteistiche-, fantasmi che tuttavia agivano ancora nell’inconscio perché coperti dall’ordine razionale che il linguaggio astratto aveva permesso di costruire nel mondo. Sicché gli uomini, dalla Civiltà in poi, hanno dovuto convivere con una terribile lacerazione della mente, prodotta appunto dalla doppia contraddizione di un ordine del mondo devastato dalle proiezioni fantasmatiche, e di una mente dove la razionalità espressa dal linguaggio astratto doveva venire a patti pesantemente con gli abissi dell’inconscio.
Quindi se questa è la “natura” umana non dobbiamo meravigliarci se la storia umana non è altro che una lunga lista di atroci violenze dell’uomo sull’uomo e di inaudite sofferenze.
Fenomenicamente allora Nietzsche e Freud avevano ragione a parlare dell’esistenza di un abisso al fondo della vita, e per il primo si giustificava così tutta la superficialità degli uomini come atto scaramantico per non guardare tale abisso, mentre per il secondo bisognava vedere dentro il magma dell’inconscio, così che “dove era Es diventasse Io”. Ma appunto, la prospettiva va rovesciata, perché la copertura del fondo caotico e terrificante della vita, non è qualcosa di ontologico, ma piuttosto storico, e quindi superabile.
Ora, tuttavia, se operare nel mondo significa proiettare degli schemi prelinguistici regolatori, e vuol dire anche proiettare, oltre che fantasmi in forma di complessi e di groviglio, anche dei simboli, allora la contraddizione tra ordine del mondo e proiezioni fantasmatiche detta sopra si complica proprio a causa dei simboli.
La caratteristica del simbolo autentico -questa “unità dinamica”- è che esso non deve essere visibile, ma che si comporti in modo da rivestire l’oggetto su cui viene proiettato, che così diventa “numinoso”, e perde per certi aspetti la sua individualità. Dico che non dev’essere visibile per la ragione che il simbolo è inconscio (sia quando viene acquisito che quando viene proiettato), e dunque tutte le operazioni di rivestimento, di acquisizione e di proiezione sono inconsce . E un simbolo visibile, pur restando in modo paradossale inconscio, produce disastri e guai. Così, quando la coscienza arriva a “scoprire” un simbolo visibile all’opera, questo è già depotenziato, destrutturato psichicamente, ed è soprattutto allora che si accentuano le proiezioni inconsce, in forme devastanti, perché il simbolo viene liberato dallo stretto legame col sostrato cerebrale ed è come se “fluttuasse”, di qui la facilità che venga proiettato. Prendiamo il preteso “simbolo” per eccellenza della civiltà occidentale: Gesù, detto il Cristo. E’, o sembra, un simbolo. E tuttavia non lo è, appunto perché è visibile: la persona fisica dell’uomo Gesù. Possiamo dire dire che è un simbolo visibile. Ma se è un simbolo visibile, allora la determinatezza perde la numinosità, e resta solo un’emozione. Dunque, per questo Gesù non può essere un dio, perché il dio vero non si manifesta, non si lascia definire né racchiudere in un oggetto determinato. Prendiamo invece il dio Dioniso: di lui si racconta una storia (o tante storie), agisce nella vita delle persone, viene proiettato, si fanno delle feste in suo onore, ma con tutto ciò non è visibile! E Dioniso resta fondamentalmente un mistero. Se Dioniso è un liberatore, come sosteneva Giorgio Colli, lo è perché spazza via ogni schema, fa ridiventare fanciullo l’essere umano. Anche qui il processo di proiezione è inconscio, perché soprattutto collettivo. Dioniso è quindi un simbolo non visibile. Ed è allora per aver voluto creare un simbolo visibile che il cristianesimo entra in contraddizione con se stesso e produce tutta la violenza e le storture che la storia ci ricorda. E la ragione di ciò è questa, che di un simbolo visibile si teme la sua scomparsa, e per evitarla si ricorre alla violenza per indurre a credere, si diventa fanatici, si diventa razzisti, e tutto ciò, si badi bene, nella totale incoscienza delle forze che agiscono.
Ma che accade ai simboli nel mondo contemporaneo? Dal nazismo in poi i simboli nel nostro mondo sono tutti visibili, ma ciò non impedisce né la loro proiezione, né l’identificazione all’oggetto simbolizzato, processi ambedue inconsci. Per questo sembra che i simboli siano pericolosi quanto gli schemi, o forse di più, poiché questi ultimi sono necessari alla sopravvivenza e al pensiero; e lo sono perché, similmente a quanto accaduto per Gesù, si ingenera una vera e propria angoscia che il simbolo scompaia, e lasci la mente vuota. Allora, dal simbolo della svastica a quello del giuoco del calcio, o di una bandiera nazionale, e così via, abbiamo tutta la visibilità di simboli che producono estrema violenza (il primo), o possono produrre violenza (il nazionalismo del terzo), o scatenano sempre più spesso masse intere a un “tifo” forsennato e devastante (il secondo).
Se sono nel giusto, il problema è molto grave, perché sembra che la tendenza a simbolizzare sia proprio naturale nell’essere umano. Una soluzione al simbolo visibile e perciò violento, potrebbe essere quella di renderlo non più visibile. Bisognerebbe cioè cercare la costruzione di simboli interiori, interni al soggetto, che facciano parte insomma della sua psiche, che non siano interamente incapsulati nelle profondità del cervello, e siano soprattutto mentali. E qui l’arte (cfr. art. su Bloom del 15 luglio 2015) può essere notevolmente utile. Nel simbolo interiore la produzione simbolica -con le relative proiezioni e identificazioni- potrebbe forse sfuggire in parte agli automatismi dell’inconscio, e dunque sarebbe maggiormente controllabile. Il massimo simbolo interiore, che è pure collettivo, e che vedo ora è quello della Pace, ovviamente mondiale, da costruire. Da costruire attraverso la creazione di un habitus, in una pratica collettiva di linguaggio. Perché il simbolo dà una notevole energia al soggetto portatore, è una potenza! I simboli interni-soggettivi si formano a partire dalle parole, oltre che con l’arte. E formandosi attraverso la discussione e il dialogo fanno scattare i simbolismi nella mente. Ma a differenza che nell’arte -dove in letteratura se è vero che l’acquisizione di un simbolo potrebbe essere talvolta inconscia, tuttavia il complesso delle “storie” lette attenuano l’aspetto inconscio-, un simbolo che si forma grazie alla parola è ancora inconscio -ma non pericoloso!-, mentre un simbolo visibile è più raro che si formi attraverso la parola, è più facile che nasca dopo esperienze socio-collettive.
Allora tutto può diventare simbolo visibile, non interiore: dalla tragedia che colpisce un bambino a un esame andato bene o male, dall’idea della “famiglia” a un simbolo potente come quello del gruppo… Nei quali casi appunto la “visibilità” dei simboli corrispondenti si manifesta sempre anche con l’emozionalità che investe le persone che li vivono.
Jung, dopo aver tessuto le lodi della grande intelligenza di Freud, raccontò che nelle discussioni con lui, Freud quando parlava della sua teoria della sessualità si accalorava, si emozionava moltissimo. Jung dedusse da questo fatto che per Freud la teoria della sessualità fosse un simbolo. Ora, secondo la distinzione di simbolo visibile e non visibile, questo di Freud era dell’una o dell’altra specie? Sembra ovvio che si trattasse di un simbolo della prima specie, cioè visibile; acquisito, o meglio costruito a formare una teoria da una sintesi di pensiero e pratica sociale analitica. Questo simbolo visibile era evidentemente in Freud depositato nelle profondità del suo cervello, perché, sebbene energetico, era molto emozionale.
Un esempio di simbolo non visibile può essere quello molto frequente di una persona che ritrova all’improvviso in sé una nuova energia -magari solo dopo aver ascoltato una singola parola!- e che la induce a intraprendere nuove strade nella vita. Dove l’emozionalità non si manifesta tanto in scariche emotivo-irrazionali, quanto nell’energia che un simbolo non visibile dà al soggetto portatore.
Quindi occorre studiare a fondo i processi attraverso i quali i simboli soggettivi-interiori si formano a partire dalle parole: quali i contesti, quali le storie personali dei soggetti interessati, quali le parole usate. Ma non è che studiando queste cose i simboli diventino visibili -e abbiamo visto che questi sono deleteri, o almeno, nel caso citato di Freud, turbano la mente con la loro emozionalità-, no, si tratta solo di comprenderne i processi di origine e di formazione: è una ricerca metodologica, che può essere utile nell’educazione dell’infanzia per far nascere simboli interiori positivi e benefici per l’umanità.

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