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Donne nei Consigli di Amministrazione. Il senso della differenza

di Luisa Pogliana 03 Marzo 2013

Poco tempo fa parlavo con un amico, Amministratore Delegato di una multinazionale, che aveva già attuato in azienda politiche di inserimento delle donne nei livelli decisionali alti. Eppure, mi diceva, se non ci fosse questa legge noi adesso non ci staremmo chiedendo quali donne possiamo mettere nel Consiglio di Amministrazione.
Dico questo per sgomberare il campo: dove ci sono limiti alla libertà vanno abbattuti, dove la cultura non cambia servono anche le forzature di legge. Ma voglio anche dire che la legge non basta. Che una maggior presenza di donne nei luoghi decisionali non è di per sé sufficiente a cambiare, che il cambiamento passa piuttosto dalla differenza di visione che donne consapevoli possono portare in quei luoghi.
E penso che per arrivare a questo occorra cominciare dal fare chiarezza sul nostro rapporto con il potere in azienda.
Il libro a cui fa riferimento il mio intervento –Le donne il management la differenza– è proprio nato per affrontare questo nodo politico, e un evidente paradosso che ci troviamo spesso di fronte.
Quello che vediamo spesso succedere, infatti, non sono solo azioni di chiusura alle donne dei luoghi decisionali da parte di chi oggi detiene il potere. Ci sono anche fattori culturali che agiscono indirettamente in questa esclusione delle donne.
Succede infatti spesso che donne manager, pur capaci, con ruoli importanti e con idee innovative, tendono a tenersi fuori dai ruoli decisionali più alti, i posti di potere.
Le ragioni d i questa estraneità sono chiare: in azienda il potere è maschile, e si manifesta come dominio e controllo, spesso autoreferenziale, con concezioni, logiche e modalità in cui le donne non si ritrovano. Dunque questa presa di distanza è importante e per certi aspetti necessaria, perché fa vedere cose che altrimenti non si vedrebbero.
Ma in questo modo succede che chi ha il potere oggi -gli uomini- continua a riprodurre la propria concezione dell’azienda e delle regole per dirigerla. E le idee innovative di queste donne restano fuori.
Così, con altre donne manager, abbiamo sentito che l’estraneità non basta più, e che si tratta piuttosto di schivare questo aut aut tra adeguarsi a quelle modalità di esercizio del potere o escludersi da questi luoghi dove le politiche aziendali si fanno.
Partendo da noi, abbiamo pensato che quando le donne dicono che non ne vogliono sapere del potere, in realtà stanno dicendo che non lo vogliono così com’è, che questo non è il miglior modo di dirigere un’azienda.
Ed effettivamente abbiamo visto che le donne hanno una diversa concezione del potere, del modo di esercitarlo e dell’azienda stessa. A fronte del quadro oscuro e distruttivo di come oggi il potere agisce in azienda, le donne lo concepiscono piuttosto come una potenzialità, come possibilità di avre pù strumenti per influenzare le politiche aziendali, di agire liberamente nella direzione che si ritiene più costruttiva per tutti.
Nel confronto con altre donne manager, abbiamo così visto che non poche donne in questi luoghi non hanno fatto propria la cultura esistente, non si sono appiattite sui modelli di management dominanti. Hanno evitato l’inclusione a prezzo dell’assimilazione, e hanno invece costruito la loro autorevolezza fondandosi sulla propria differenza, portando consapevolmente una visione differente.
A partire da questa scelta di non tradirsi, emergeono nuovi pensieri e nuove pratiche, che mettono in discussione le regole consolidate del management.
Vediamo uno stile di direzione fondato sul rispetto e la valorizzazione delle persone, vediamo attuare politiche innovative che puntano non solo a buone soluzioni contingenti, a trovare una soluzione che, per quanto buona, rimane qualcosa di contingente, senza toccare le cause dei problemi e il quadro di riferimento.
Ma puntano a creare spostamenti che, pur limitati, modificano l’esistente, sono mirati a cambiare la cultura aziendale. Il cambiamento, anche se piccolo in sé, diventa importante se crea un cambiamento della cultura aziendale. Perché è quello che rende acquisite certe politiche e certi modi di pensare l’azienda e il lavoro.
Ragionando su queste pratiche, sui loro criteri, sugli aspetti conflittuali che comportano, abbiamo visto che questo punto di vista differente esprime un altro modo di intendere l’azienda.
L’azienda è vista come una costruzione di persone, non come una costruzione di potere.
E’ vista come luogo in cui convergono soggetti con interessi diversi, ma c’è la convinzione che è possibile -anzi, è necessario- trovare un punto di incontro, tenere conto di tutte le parti che costituiscono l’azienda. “Le persone non possono star bene se l’azienda va male, l’azienda non può andar bene se le persone stanno male”. Il ruolo manageriale è dunque concepito proprio come prendersi cura dell’interesse comune in azienda.
Questo ha una portata molto ampia, perché si oppone di fatto ad un management, oggi così diffuso, che lavora per l’interesse della sola parte finanziaria, senza preoccuparsi di chi in azienda lavora e quali conseguenze ciò avrà nel futuro dell’azienda stessa.
Per questo, partite dal potere, siamo arrivate a parlare di governo delle aziende.
Perché l’idea di governo esprime una cultura orientata alla guida, alla responsabilità, all’agire per il bene di tutti operando le mediazioni necessarie.
Ecco, per noi qui sta la differenza femminile nel management, non una serie di attitudini femminili complementari a quelle maschili, lasciando intatti i modelli di riferimento.
Ma, piuttosto, un pensiero che mette in discussione e cambia la visione dell’azienda e del lavoro.
Per le donne, allora, non si tratta di prendere qualche posto in più nei luoghi decisionali dell’azienda, comunque. Una maggiore presenza di donne non modifica di per sé la cultura. Quello che conta è portare lì il nostro modo diverso di intendere quei ruoli e le loro finalità.
Donne consapevoli che si pongono il problema di stare nei luoghi decisionali senza adeguarsi sono già causa di cambiamento: portare lì un pensiero differente non può avvenire senza trasgressione rispetto ai modelli pensati da uomini. Per questo non è una cosa facile, non sappiamo cosa succederà, e si pagano dei prezzi. Ma siamo convinte che è possibile, è possibile sostituire a una cultura di potere una cultura di governo. Soprattutto se non pensiamo di fare tutto da sole.
Perciò è importante dare voce a questo che le donne stanno facendo nelle aziende, a questa forza che si manifesta, e farla arrivare, speriamo, ad altre, per prendere più forza tutte.
Questo per me è il senso e la potenzialità di cambiamento di una nostra presenza anche nei luoghi decisionali più alti.

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