C’e poco da fidarsi di un certo sindacalismo, su questo possiamo essere d’accordo. Penso agli apparati sindacali che tendono a imporre il proprio controllo alla contrattazione locale e aziendale. Penso al sindacato la cui componente più forte è composta da pensionati, quindi orientato più alla difesa di diritti acquisiti che alla promozione e alla rappresentanza del lavoro. Penso al sindacato che considera un vanto non chiudere accordi e rifugge da responsabilità di governo. Penso al sindacato che difende lavoratori che non meritano di essere difesi, e che chiede cassa integrazione in deroga, senza limiti di tempo, senza penalizzazioni per chi ritarda volontariamente il rientro nel mercato del lavoro, favorendo così tra l’altro il mercato del lavoro nero. Penso al sindacato che si ostina ad usare ritualmente vecchi strumenti, come lo sciopero.
Ma d’altronde, specularmente, c’è poco da fidarsi anche di un certo giuslavorismo.
Penso a giuslavoristi che, forse anche per trascorsi personali, continuano ad avere in mente quel sindacalismo, e combattono la Fiom anche dove non c’è, e con il proprio agire finiscono in fondo per rinforzare il sindacalismo che affermano di voler combattere. Penso ai giuslavoristi che hanno il culto della della prova di forza, della litigation. Penso ai giuslavoristi che consigliano l’atto unilaterale, si mostrano scettici di fronte alle possibilità di trovare un accordo tra le parti, e preferiscono appena possibile portare la vertenza di fronte ad un giudice
Vedo professionisti espertissimi -Direttori del Personale o altre figure operanti in azienda nell’area delle Risorse Umane, in Agenzie del lavoro, in aziende fornitrici di servizi per la Direzione del Personale- vedo professionisti espertissimi ascoltare la voce di giuslavoristi, talvolta quasi come fossero oracoli. Vorrei dire a questi professionisti: ma ne sapete più di loro! Avete le idee più chiare, sapete meglio voi come vanno le cose in realtà, e cosa andrebbe eventualmente mutato nel quadro normativo.
I giuslavoristi alla moda lavorano per cambiare alla radice i presupposti del Diritto del Lavoro. Ora, è vero che le norme debbono evolversi nel tempo. Ma questo non significa che le norme debbano essere figlie del tempo, del vento che tira, dell’effimera stagione.
Ricordo agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso l’inquadramento unico, l’appiattimento retributivo, gli eccessi di tutela. Le storture si sono protratte negli anni. Porre rimedio ad eccessi è cosa buona e giusta. Ma come spesso accade, la reazione agli eccessi è usata come arma per giustificare l’eccesso opposto. Od anzi, oggi, per minare le basi stesse che reggono l’istituto del Diritto del Lavoro.
Il Diritto del Lavoro ha un preciso fondamento giuridico: il diverso, sperequato rapporto di potere tra le parti. In origine, il datore di lavoro gode di una posizione di vantaggio. Siamo ben lontani dalla normale situazione di mercato nella quale, in parità di condizioni, un attore vende e l’altro compra.
Perciò il quadro di tutele, nel nostro paese, è sancito dall’articolo 35 della Costituzione: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”. Il successivo articolo 36 recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
Ora, sono auspicabili riforme orientate ad eliminare gradi immotivati di protezione, e a porre limiti all’invadenza di un sindacato burocratizzato, spesso in pratica incapace di difendere e promuovere il lavoro. Hanno la loro giustificazione anche le riforme tese a rendere più flessibili i contratti di lavoro in passato troppo rigidi. Ma tutto questo non è motivo sufficiente per mette in discussione il dettato costituzionale.
Il punto è che i giuslavoristi alla moda considerano fonte del diritto non un accordo tra cittadini -le Costituzioni-, ma invece il mercato libero da regole. Le Costituzioni sono la manifestazione esemplare di un modo intendere la giustizia, proprio quel modo che i giuslavoristi alla moda rifiutano. La Costituzione è un patto. La giustizia emerge da un patto, da un accordo che le parti si impegnano a rispettare. Il patto si fonda sul riconoscimento della legittima presenza sulla scena sociale ed economica di diversi di diversi interessi, tutti degni di attenzione giuridica. Il patto è sottoscritto dagli attori sociali. In base a questo approccio, conviene sempre, prima di ricorrere al tribunale, cercare il punto di incontro tra le parti, la mediazione e l’arbitrato. I giuslavoristi alla moda, invece, preferiscono la litagation, la prova di forza, la guerra.
Per fondare Relazioni Industriali adeguate ai tempi che viviamo, servirebbe prendere le distanze da questo giuslavorismo, e tornare invece a prendere spunto dal Diritto Costituzionale.
Questo testo è l’Editoriale della rivista Persone & Conoscenze, luglio-agosto 2013.