Contributi

Copia, copia

di Simonetta Pugnaghi 24 Dicembre 2013

La prova del cuoco, I menù di Benedetta, Il boss delle torte, Cucina con Ramsey, Cuochi e fiamme, Ricetta sprint di Benedetta, Il re del cioccolato, Kitchen nightmares, Cucine da incubo (versione italiana), Nigellissima, Chef XXL, In cucina con Vissani, Red il cuoco vagabondo, Cucina con Ale, Master Chef Italia, Master Chef Australia, Master Chef USA, Gamberetto, Ace of cakes, Torte in corso, Bake off Italia, Fuori menù, Cucina con Buddy, Finger food factory, I peggiori cuochi d’America, Il cibo si fa bello, Cake design, Dolci di casa, …!!

Quanti sono i programmi di cucina in tivù, presenti più o meno contemporaneamente o a veloce rotazione?

Oggi ho provato a contarli, poi mi sono stufata e ho lasciato perdere.

Se in tv non c’è niente che mi interessa spengo.

Ma mi piacerebbe ogni tanto trovare qualcosa che mi interessa.

E ogni tanto posso guardare anche una ricetta, ma insomma.

Poi ho cominciato a pensare a quando copiamo, quanto copiamo.

Nel mio mestiere cosa c’è di originale in verità, cosa ci metto di unicamente mio?

Più o meno niente. Nel senso che se guardo il mio menù, quello che offro è più o meno quello di tanti altri.

Idee veramente originali, in giro non ne vedo. Né vengono a me, così di frequente.

Sono più che altro un assemblatore di ingredienti, cerco di fare un mix dosato sull’esigenza dei miei clienti.

Mi tengo aggiornata, ricerco il dettaglio che può dare una sfumatura di sapore, curo il procedimento perché l’esito sia buono, se non proprio inedito.

E poi le ricette. Non so voi nel vostro mestiere, noi formatori e consulenti siamo altroché accusati di spacciare inutili ricette peggio dei tivùchef. Mi ricordo una volta un manager, che mi dichiarò con accentuato acido disprezzo “Voi formatori, portate alle aziende solo quello che sapete”. “Ma và?” non l’ho detto, a parole, ma il mio pensiero si sarà percepito nel retrogusto della mia espressione, “E come faccio a portarti quello che non so?”. Comunque, più o meno tutti quanti cavalchiamo più o meno delle mode, che più elegantemente (forse) chiamiamo bisogni o fabbisogni. Altrimenti, non si vende, e vendere dobbiamo, visto che più o meno tutti cerchiamo pane quotidiano per bocche da sfamare, con o senza manicaretti. E certe bocche, ad esempio quelle di figli all’incirca adolescenti, mangiano un bel po’.

Copiare. Fatte salve le regole di elementare correttezza, probabilmente non c’è nulla di male, probabilmente c’è un pregiudizio insito nella parola, che la copia sia una versione peggiore, più scadente dell’originale. Ma non è detto che sia così, non parliamo proprio di capolavori, non si tratta di arte. Perciò una copia può essere meglio dell’originale, perché su quello si basa, e lo migliora. Ed è più facile che partire di sana pianta.

Forse un po’ mi ci illudo e un po’ è vero. Il mio lavoro è come quello di tanti altri, il menù come ho detto è più o meno quello, ma mi piace illudermi che se lo faccio io quel lavoro avrà un tocco unico, o almeno distinto. Non necessariamente meglio, questo dipende anche da chi c’è di fronte a me, non necessariamente meglio ma buono, e non uguale.

E capisco bene che dopo un po’ un cliente ha bisogno di cambiare voce, di sentire altro, non ci tengo a inflazionarmi, non ci tengo a innescare un sentimento di annoiata irritazione, ancora un formatore, ancora tu. Un sentimento come quello che girando qualche volta i canali capita a me, ancora un arrosto, ancora un sugo…  non se ne può più.

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Lavoro da venticinque anni nel settore organizzazione e risorse umane, sono consulente, formatore e counselor. Il mio interesse per le persone viene da più lontano, è maturato nella adolescenza e nel periodo universitario, prima facendo parte degli scout e poi come capo scout.

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