Contributi

Far emergere e ragionare sul vissuto diventa fondante di un pensiero politico

di Luisa Pogliana 01 Dicembre 2013

E’stato un bell’incontro, non lo diciamo solo noi, convinte che sia stato un passo avanti importante. L’hanno detto molte che hanno partecipato. E’stato un interessante scambio tra le manager che hanno raccontato la loro esperienza (“non primedonne, come talvolta capita a chi raggiunge posizioni importanti”) e le donne che le hanno ascoltate e poi fatto riflessioni insieme.
D’altra parte questo convegno è nato da un intenso lavoro che noi di Donnesenzaguscio abbiamo fatto in questi anni, sull’essere donna e manager, anche attraverso molti incontri con altre donne.
Soprattutto da quando abbiamo deciso di affrontare un evidente paradosso che avevamo sotto gli occhi: molte manager -anche quando si apre una possibilità- tendono a tenersi fuori dai ruoli decisionali più alti. La ragione è chiara: sostanzialmente, perché in azienda il potere che agisce in quei luoghi è storicamente maschile, e si manifesta con logiche in cui le donne non si ritrovano.
Ma noi abbiamo pensato che è necessario e possibile uscire da questo aut aut tra adattarsi a questa cultura dominante, o estraniarsi, ma lasciando così fuori le proprie idee dai luoghi dove le politiche aziendali si fanno.
Con questo obiettivo abbiamo sviluppato un progetto, coinvolgendo altre donne manager, che ha portato al libro Le donne il management la differenza. Lo stesso titolo del convegno, perché lì sta la nostra visione e la nostra proposta.
Effettivamente abbiamo visto che molte donne, entrate in quei luoghi, non hanno fatto propria la cultura esistente, ma hanno portato una loro visione differente. Da qui sono nati nuovi pensieri e nuove pratiche nel management.
Abbiamo guardato a queste politiche non come modelli da copiare (nessuna pratica può essere buona per tutte le situazioni) ma per coglierne i criteri che possono valere per tutte le situazioni.
Nella loro diversità, abbiamo visto soprattutto una cosa fondamentale che le accomuna: il punto di vista differente porta a un altro modo di intendere l’azienda e il ruolo di manager.
L’azienda è vista come luogo in cui convergono soggetti con interessi diversi, ma c’è la convinzione che è possibile e necessario trovare un punto di incontro, tenere conto di tutti i soggetti che costituiscono l’azienda, e dare a tutti un adeguato ritorno. Perché tutti contribuiscono a creare valore. L’azienda è una costruzione comune.
Siamo così arrivate a parlare di governo delle aziende. Perché l’idea di governo esprime una cultura orientata alla responsabilità e all’agire per il bene di tutte le parti in gioco.
Questa è per noi la differenza che molte donne portano nel management: non una serie di attitudini che si aggiungono al modello maschile, lasciando intatte le concezioni che stanno dietro a quel modello. La differenza, per noi, si manifesta in un punto di vista diverso, che mette in discussione proprio le regole consolidate del management. Non arbitrariamente, ma quando producono disvalore, difendendo solo interessi di parte o restando arroccate al controllo e alla conservazione.
Perciò non è solo una maggiore presenza di donne nei luoghi decisionali che può portare cambiamento. Quello che conta è portare lì il nostro modo diverso di intendere i ruoli e le finalità.
Noi, anche con questo incontro, abbiamo voluto mostrare che questo è possibile, guardando alle esperienze già realizzate da alcune manager. E abbiamo voluto affrontare anche un altro punto critico, che a questo si lega.
Sappiamo che di esperienze così ce ne sono tante, ma è difficile renderle visibili: le donne non ne parlano perché non ne vedono il valore, e allora è come se queste esperienze non esistessero. Questo succede perché spesso le donne si muovono con dei progetti in testa, ma non partono da teorie. Le loro politiche nascono da intuizioni fondate sulla propria esperienza della realtà, da quello che a loro sembra ‘ovvio’, dai loro criteri. Per questo vengono sminuite dagli uomini come semplice buonsenso. In realtà molte cose diverse che una donna può fare non vengono valorizzate perché non esistono nelle teorie e nei modelli. E questo, invece di essere un limite, dice che le donne stanno aprendo nuove prospettive, nuovi modi di agire nel management.
Un’altra ragione per cui le donne non danno valore a quello che fanno è perché spesso non si tratta di grandi progetti: soffocate dall’imperativo del ‘grande cambiamento organizzativo’, sottovalutano la portata delle cose che fanno quotidianamente. Invece sono importanti anche le risposte ai problemi contingenti, i modi di agire nella gestione corrente: il cambiamento, per quanto piccolo, è importante se punta a incidere sulla cultura aziendale, rendendo acquisiti nuovi modi di pensare. La contingenza è lo stimolo alla ricerca di soluzioni, ma le soluzioni non devono essere contingenti e riassorbibili.
Per questo bisogna imparare a leggere la nostra esperienza ‘politicamente’. Che non vuol dire formalizzarla in un modello, ma prendere consapevolezza del suo senso e dei suoi criteri, portarne alla luce il valore. Così si può conservare e trasmettere la conoscenza che se ne ricava, anche se quell’esperienza non si replica.
Scopo di questo incontro è stato dunque far conoscere e anche riflettere insieme sulle esperienze realizzate da alcune donne. Abbiamo chiesto a tutte queste manager di mettere a fuoco qual è stata la decisione chiave che ha segnato il punto di svolta nel loro agire. Come, davanti a diverse possibilità, si è scelta quella politicamente significativa. E i principi che l’hanno orientata.
Che cosa abbiamo raccolto?
Pina Grimaldi, Direttore Centrale Organizzazione e Sistemi di un gruppo ospedaliero, ha parlato di come stare in un ruolo decisionale alto, restando se stessa, e di come ragionare politicamente su questo crea strumenti che cambiano l’agire quotidiano. Rossella Bifero, Direttore del Personale FIREMA, di come è stato possibile ridare dignità al lavoro e salvare un’azienda. Patrizia di Pietro di come, nel momento in cui era HR Director GE Capital, ha cambiato il modo di pensare per portare donne in posizioni qualificate, perché il pensiero struttura la realtà Isabella Covili Faggioli, AD di IC management, Vicepresidente nazionale AIDP, ha parlato di microsoluzioni, di come è dall’agire quotidiano con certi criteri costanti che emerge un diverso stile di management. Alessandra Rizzi, nel momento in cui era HR Manager di Randstad Italia, ha cambiato le politiche aziendali mostrando quanto costa all’azienda non scegliere una donna. Anna Deambrosis, Direttore Tutela della Persona e Previdenza Reale Mutua, di come la differenza stimola l’innovazione: per accogliere la propria maternità senza blocchi nel percorso di lavoro, ha riorganizzato la sua struttura attraverso una responsabilizzazione diffusa. Di Pia Cittadini, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Cittadini SpA, abbiamo ascoltato la concezione dell’azienda come rete in cui tutti nodi contano.
Di questi interventi e di contributi emersi nella discussione proporremo successivamente qui il testo.

Nelle esperienze e nelle riflessioni che abbiamo ascoltato, abbiamo così visto che il punto di vista delle donne genera in azienda un cambiamento che rimane anche oltre la presenza della persona che l’ha realizzata. Sono storie di donne che – partendo dal loro punto di vista personale – si sono trovate a fare delle cose nuove che hanno avuto effetti positivi sull’organizzazione.
E sono state fatte con la fiducia in sé, sentendo che ci può essere un modo di essere manager non in contraddizione con se stesse. Non hanno pensato che per essere manager devi essere qualcosa di diverso da quello che sei. Hanno messo in campo la loro differenza soggettiva.
Per questo queste pratiche spesso sono fuori dalle regole abituali, e certi principi del management sono stati rovesciati.
Per esempio, abbiamo visto cambiare le politiche aziendali passando dalla maternità come problema e costo, alla valorizzazione della maternità e del lavoro delle donne, non solo per le donne stesse ma anche per l’azienda. Abbiamo visto passare da un’organizzazione tradizionalmente fondata sul controllo di chi lavora ad un’organizzazione che cresce costruendo una responsabilità diffusa. E passare dal profitto costruito sulla compressione del lavoro alla ripresa produttiva dell’azienda attraverso la valorizzazione e la responsabilizzazione di chi lavora. Si è cambiato il cardine della cultura organizzativa: la separazione, impossibile, tra tempo-luogo di lavoro e il resto della vita. Si è rovesciato il paradigma dell’agire manageriale: non è dal modello che discendono le politiche aziendali, ma è dall’agire con certi criteri che si definisce un diverso stile di management.
Con i loro comportamenti queste donne dicono che c’è un’altra possibilità. Dicono con autorevolezza: guardate, nelle aziende possono succedere queste cose, nelle aziende ci sono donne che le stanno facendo succedere. Mostrano che c’è un altro modo possibile e più proficuo di governare un’azienda.
Possibile non vuole dire facile. E a volte è anche rischioso, bisogna dirlo, ma è necessario che proviamo a prenderci questa responsabilità, se vogliamo che non vincano sempre le logiche distorsive del potere.
Tutto questo lo abbiamo potuto vedere ragionando insieme sulle storie vissute. Perché è difficile fare questo da sole: abbiamo necessità dello scambio tra di noi per diventare consapevoli della portata del nostro agire. Far emergere e ragionare sul vissuto in questo modo diventa fondante di un pensiero politico. Ovvero, capace di cambiamento. Questo è il passo che dobbiamo fare, e da qui costruire gli altri gradini.

Ecco cosa abbiamo raccolto dal convegno Le donne il management la differenza. Un altro modo di governare le aziende è possibile.
Il convegno si è tenuto a Milano il 28 novembre 2013.

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