Il magico non abbisogna di spiegazione: se spiegato, rinuncia al suo fascino; se indagato, perde la sacralità e la forza di condizionamento delle coscienze.
Il magico si traveste. Nella Profezia di Celestino, libro di testo del New age, vengono codificate le coincidenze occasionali, anche le più strampalate: sono un messaggio che può cambiare la nostra vita. Chi li spedisce, non si sa. Un dio nascosto parrebbe, che ci vuole come lui e che lo stesso Redfield, autore della Profezia, non identifica. Alla fine sembra essere l’energia cosmica.
Se appena fuori di casa vedo sul marciapiede un biglietto aereo scaduto, devo partire per la destinazione indicata. Colà troverò il mio compimento.
Sul suo libro Redfield ha creato un pazzesco merchandising che culmina in un corso personalizzato d’iniziazione. Furbamente il Nostro si cautela, precisando che il successo dipende da se stessi, precisamente dal credere nella propria possibilità di rinascita.
Lasciamo da parte Celestino e occupiamoci delle forme del magico travestito. S’impone anche con persone intellettualmente dotate; fa affidamento a una parola dalla concettualità incerta e dall’impatto emotivo forte. La più diffusa, da alcuni decenni, è “complessità”. I filosofi, ma anche i politici, vi fanno ricorso, quando sono in difficoltà nell’asserire o nel promettere. Gli uni e gli altri affermano, con aria pensosa, “la questione è complessa”. Un autoesonero dal significare i primi, dal decidere i secondi.
Scusa debole nella sua assoluta plausibilità. È complesso ciò di cui ci si occupa seriamente e che impone una riflessione e una scelta. Cerco nuove vie o continuo a rovistare nella tradizione? Tasso i ricchi e me li faccio arcinemici? – ma sono pochi – o i poveri e me li faccio nemici? – ma sono molti.
Il governo delle larghe intese – nelle intenzioni – è una formula politica complessa. Una complessità del secondo ordine rispetto a ciò di cui si deve occupare: economia, fisco, lavoro, Terra dei fuochi e smaltimento dei rifiuti ecc…
Cos’è allora la complessità?
Limitiamo il discorso alla politica. È un sistema caratterizzato, al suo interno, da centri di decisione indipendenti, e che rispondono a logiche e riferimenti sociali strutturalmente in conflitto. Fattori poco controllabili.
Da questo punto di vista la democrazia è complessa per definizione: tutti decidono e tentano sistematicamente di condizionare l’esercizio del potere. Accorgersene e dichiararlo è scoprire l’ovvio.
Ma anche l’opposto, il regime tirannico, è complesso e non per ragioni opposte, ma per il fatto che i centri di potere esistono e i fattori di condizionamento sono all’opera e agiscono perennemente. Nell’ombra. L’azione di governo è però ancora più difficile che in democrazia, a causa di quel fattore detto “la solitudine del tiranno”: isolato entro una bolla di consenso.
Diciamo allora che i regimi politici non sono in difficoltà perché complessi, ma perché ardua è la decisione. Un caso recente è il pasticcio dello scatto d’anzianità agli insegnanti, prima concesso e poi annullato. Il ministro dell’economia ha sparato il suo ukase: restituire! La ministra dell’istruzione si è prontamente opposta, l’opinione pubblica, amplificata dai media, si è pronunciata: è una farsa. Il ministro Saccomanni resiste meno di ventiquattrore, si rimangia l’ukase e dichiara; “sono stato un mero esecutore”. La ministra dell’istruzione precisa: “è stato un errore della burocrazia”. Ma il primo non dice esecutore di quali ordini e da chi emanati, la seconda non indica i burocrati o gli uffici responsabili. I centri di decisione occulti e i condizionanti nell’ombra non vengono stanati e neutralizzati e la complessità, come una coltre, ricopre il tutto.