Lo stato dell’arte sembra chiaro: l’accelerazione dei ‘tempi’ rende obsoleto l’esistente che trascina con sé coloro che si trovano a guidarlo; costoro faticano a ‘stare al passo’ e, allo stesso tempo, a ‘lasciare il passo’.
I sessantenni definitivamente superati; la carriera dei cinquantenni conclusa anzitempo; i quarantenni destinati a ‘saltare il giro’; i trentenni tenuti a debita distanza; i ventenni ‘fuori gioco’. La conseguenza è una situazione, politica, sociale ed economica, bloccata.
Urge rompere questo stallo.
Coloro che oggi occupano i ruoli di responsabilità non sono nelle condizioni di reagire: la loro storia si innesta più o meno profondamente in un’epoca che non c’è più, e ne sono inscindibilmente legati, quindi dipendenti (path dependence); bloccano altresì il ricambio generazionale in quanto, occupando le posizioni apicali, sono detentori degli strumenti di difesa dell’acquisito.
Spetta quindi ai più giovani, quelli della cosiddetta ‘generazione abbandonata‘, quelli lasciati ai margini se non ‘al palo’, prendere in mano la situazione. Solo i ventenni e i trentenni dispongono di libertà, energie e motivazione utili per reagire e incidere efficacemente: hanno la necessità di guardare avanti, l’urgenza di interrompere l’ingiustizia generazionale, insomma la necessità di provare a costruire il futuro. D’altro canto il rischio al quale sono sottoposti è alto: mancare la possibilità di realizzazione la propria vita. E non siamo di fronte ad un semplice atto evolutivo dell’esistente, bensì di una vera e propria ricostruzione che possiamo anche chiamare rivoluzione. L’auspicio è uno scatto d’orgoglio e conseguenti atti di coraggio; l’auspicio è che queste generazioni si prendano lo spazio dovuto, fino ad arrivare ad assumere il governo delle situazioni.
Le recenti parole di Françoise Gilot assumono un senso particolare in questa situazione: “Se si vuole vivere veramente, si deve rischiare clamorosamente, altrimenti la vita non vale la pena di essere vissuta. Se si rischia, si attraversano momenti terribili, ma si impara tanto, si vive di più e si capisce di più.”
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Foto: cosa inquina davvero?