La formazione degli adulti, in particolare nelle organizzazioni, mi pare sia oggi ingabbiata dalla retorica manageriale, da un lato e dalla emergenza della crisi economica, dall’altro. Constatiamo che nella prassi organizzativa convivono e spesso confliggono progetti di autorealizzazione individuale, sostenuti anche da azioni formative all’iniziativa e alla flessibilità, e un crescente scadimento delle relazioni. Nonostante sia sempre più dichiarata a gran voce la centralità del capitale relazionale, un management, intento troppo spesso a ottenere risultati immediati, compromette irrimediabilmente i risultati del processo produttivo. Ne fanno le spese clima e motivazione. Il perdurare della crisi economica, poi, è la facile giustificazione per ridurre i programmi formativi, lasciando sopravvivere nelle aule e sul lavoro brandelli di apprendimento che dipendono quasi esclusivamente da finanziamenti europei e di categoria. O, forse peggio, talvolta la formazione è un orpello, un menzognero biglietto da visita.
Chi si occupa di formazione e sviluppo delle persone oscilla, frequentemente, tra due poli. Il primo è un inossidabile paradigma fordista, ossia una formazione come antefatto all’ingresso della vita organizzativa o a un cambio di ruolo. Il secondo, è una sconcertante pratica new age: come se bastasse qualche improbabile citazione a effetto per dotare l’attore organizzativo di poteri magici. E’ una formazione che illude, delude e fa male. Le risorse personali sono limitate e i vincoli organizzativi tanti. Sono queste le coordinate entro cui trovare tempi e spazi per progettare e realizzare una buona formazione.
Non sfugge a nessuno che le forme attuali del lavoro sono caratterizzate da ambiguità, incertezza e discontinuità. Fare formazione sembra sempre più arduo. Eppure, l’organizzazione post fordista mette al lavoro la natura umana: l’insieme delle capacità potenziali, tra cui linguaggio ed emozioni, diventano forza produttiva centrale. La fabbrica fordista chiedeva un repertorio di atti standardizzati, nel lavoro postfordista invece è in gioco la potenzialità dell’attore organizzativo aperta a ogni genere di performance. La formazione non ha fine, accompagna tutte le tappe dell’attività produttiva: formazione ininterrotta.
Allora, la posta in gioco, liberare la formazione, è provare a connettere le identità, a volte malcerte, dei soggetti con l’agire organizzativo (evitando pressioni e spinte adattive). Una formazione matura può restituire senso e significato alle comunità organizzative. E forse di più: può restituire ai soggetti dell’organizzazione un’identificazione nell’opera realizzata e riconosciuta.