Lasciamo che la paura del pericolo sia uno stimolo a prevenirlo;
colui che non ha paura, fornisce un vantaggio al pericolo
Francis Quarles
La salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro sono obiettivi che trovano le loro radici, ancor prima che nel D. Lgs. n. 81/08 (Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), nell’art. 2087 del Codice Civile e negli artt. 32, 35 e 41 della nostra Costituzione.
Con il D. Lgs. n. 81/08 e le sue successive modifiche e integrazioni vengono abrogate molte delle norme prima vigenti in materia (su tutte quelle di cui al D.P.R. n. 547 del 1955 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” e quelle di cui al D.P.R. n. 333 del 1956 “Norme generali per gli ambienti di lavoro”) e viene creato uno strumento unitario di riferimento, un Testo Unico appunto, per tutti i soggetti coinvolti nella gestione della sicurezza.
All’interno delle aziende diviene così necessario un distinto sottosistema organizzativo, composto dal Servizio di Prevenzione e Protezione, dalla sorveglianza sanitaria e dagli organi preposti alla gestione della crisi (es. addetti alle emergenze, squadre antincendio).
Le sanzioni, pecuniarie e penali, più pesanti e la maggiore efficienza dei controlli, introdotti dalla nuova normativa, impongono ai vertici aziendali la maturazione di una vera e propria cultura della prevenzione la quale sfocia nella formulazione di una politica della prevenzione e sicurezza che contemperi il requisito della “economicità” con quello del benessere fisico, mentale e sociale dei lavoratori.
Obiettivo del presente contributo è quello, dopo una breve disamina degli obiettivi e dei principali contenuti della nuova normativa in parola, di capire se la promozione della salute e del benessere dei lavoratori stimoli ritorni positivi sull’intera organizzazione aziendale, non fosse altro che per il riconoscimento, che dalla stessa deriva, del ruolo strategico che le risorse umane ricoprono nella creazione di valore prospettico.
Ambito e configurazione del Servizio Prevenzione e Protezione ed inquadramento del suo Responsabile
Su tutti questi soggetti coinvolti nella gestione della sicurezza un ruolo centrale, per certi versi, assume il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione, persona, interna o esterna all’azienda, che si relaziona con il Datore di Lavoro/i suoi eventuali Delegati, esercitando verso gli stessi funzione consultiva e propositiva per tutti gli adempimenti in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro. Interventi dei quali cura coordinamento e razionalizzazione.
La funzione dallo stesso svolta è di garanzia dell’azienda e della salute di tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo e per qualsiasi ragione, si trovino in luoghi dei quali la stessa azienda abbia la disponibilità giuridica.
Obbligo del Servizio e, in primis, del suo Responsabile è quello di segnalare al Datore di Lavoro/ai suoi eventuali Delegati (secondo le rispettive competenze) ogni rischio e/o carenza in materia di sicurezza, dovendo poi il Datore di Lavoro stesso/i suoi eventuali Delegati provvedere agli adempimenti del caso (laddove la situazione di pericolo sia inevitabile, si punta tutto sulla protezione; laddove, invece, la situazione di pericolo sia ipotizzabile anticipatamente, si privilegia la prevenzione).
Al Datore di lavoro ed ai suoi eventuali Delegati (secondo le rispettive competenze) il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione fornisce competenze tecniche ed organizzative.
Il ruolo che gli viene affidato dal legislatore è assimilabile a quello di una consulenza (tecnica) specializzata e, quindi, a quello di una prestazione di assistenza, tant’è che non ha una responsabilità in materia di applicazione dei presidi antinfortunistici.
Egli, infatti, è privo di quella “responsabilità” che il legislatore, seguendo una precisa linea di comando o gerarchica, ha invece incardinato espressamente, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, in capo al Datore di lavoro, ai Delegati/Dirigenti ed alle altre specifiche figure previste dal D. Lgs. n. 81/08.
Sebbene questo sia essenzialmente un’unità più o meno strutturata di “studio e consulenza”, e sebbene il suo Responsabile non abbia poteri decisionali, al Servizio, ed in primis, al suo Responsabile, spetta un “obbligo di attivazione automatica” nel settore della così detta “safety” (termine anglosassone nel quale viene ricompreso tutto quanto inerisce il corretto svolgimento, sotto sicurezza, delle attività lavorative).
Ed è per questo che il D. Lgs. n. 81/08, combinato con il D. Lgs. n. 231/01 sulla responsabilità amministrativa degli enti, tiene il Responsabile del Servizio al di fuori dell’organigramma e della struttura gerarchica aziendale, ritagliandogli un ruolo per certi versi “autonomo”.
Ritrovandosi spesso a svolgere un ruolo di mediatore tra le diverse componenti dell’azienda, al Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione vengono richieste delle buone capacità comunicative e relazionali.
Una buona conoscenza degli elementi psico-sociali e un giusto mix di competenze tecniche, comportamentali e organizzative dovrebbero completare le sue skills. Skills che tornano utili nel momento in cui occorre lavorare con i Vertici aziendali per una politica di prevenzione dei rischi di impresa, equilibrata e olistica; sfida non di poco conto considerato il fatto che si opera sempre in situazioni di incertezza.
La sicurezza parte integrante del sistema di gestione aziendale
Con il D.Lgs. n. 81/08 e le sue successive modifiche e integrazioni diviene, dunque, evidente l’avvio di una vera e propria evoluzione culturale: il salto di qualità spiccato porta all’abbandono della visione limitativa della sicurezza sul lavoro come “gestione di un infortunio”, fatale, fortuito e per certi versi da mettere in preventivo, a favore del concetto, più tondo, di sicurezza vista come “prevenzione”, “difesa della salute”, “salvaguardia del benessere” e “valore” da dichiarare convintamente nel proprio Codice etico e da perseguire scrupolosamente.
Introducendo il concetto, per certi versi nuovo, di “miglioramento continuo” delle sicurezza e della salute dei lavoratori, la nuova normativa rende ancora più stringente per il Datore di Lavoro l’obbligo di introdurre in azienda un modello organizzativo finalizzato alla “sistematica individuazione e rimozione o, laddove non possibile, diminuzione dei fattori di rischio presenti”.
In altre parole, la salute e la sicurezza diventano, come spiegheremo meglio più avanti, “parte integrante del processo produttivo”.
L’uomo ed il lavoro
Sigmund Freud, già agli inizi del secolo scorso, poneva alle basi dell’equilibrio psichico dell’uomo, accanto all’amore, il lavoro.
Il lavoro che è centrale, come abbiamo visto, nella Costituzione italiana, ma anche nella Bibbia.
Del resto anche Dio, come sappiamo, lavorò alacremente alla creazione dell’Universo e lo stesso Gesù non si sottrasse al lavoro, dedicandogli buona parte della sua vita terrena.
Il fondamento per determinare il valore del lavoro umano non è il genere di lavoro che si svolge, ma il fatto stesso che chi lo esegue sia una persona, da tutelare in quanto “soggetto debole” per via di una sua naturale subordinazione “socio- economica”.
E il più eloquente “Vangelo del lavoro” è, infatti, la descrizione di un Gesù che, per provvedere alle necessità della famiglia, di tanto in tanto è intento a lavorare come falegname, al pari di San Giuseppe, suo padre putativo.
Come peraltro metteva efficacemente in evidenza Papa Giovanni Paolo II nella sua nota Enciclica “Laborem exercens”, il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso. E a questa riflessione collegava subito una conclusione molto importante di natura etica: l’uomo, è vero, è destinato ed è chiamato al lavoro, ma è il lavoro che deve essere per l’uomo e non l’uomo per il lavoro.
Il senso cristiano del lavoro sta tutto qui e nei più recenti, continui riferimenti di Papa Francesco, che non manca di esaltarlo come espressione del potere dell’uomo, come spinta verso il progresso e lo sviluppo di un popolo.
Che sia anche la visione, molto più laica, del D. Lgs. n. 81/08?
La sicurezza come valore strategico a supporto del business
E veniamo al punto.
La promozione della salute e del benessere dei lavoratori stimola ritorni positivi sull’intera organizzazione aziendale? E se si, come e quali?
Nel tentativo di stabilire una relazione tra investimenti in prevenzione dei rischi e risultatati che dagli stessi ci si può attendere, si potrebbe partire da un assunto vero ed evidente, di intuibile derivazione anglosassone: un’oncia di prevenzione vale molto più di una long ton di rimedi e cure.
Poi, con un po’ più di rigore metodologico, per decidere se il ritorno potenzialmente ottenibile da un progetto garantisce o meno il successo di un investimento (completamente nuovo o consistente in esborsi minori per migliorie da apportare a quanto già esistente), basterebbe far ricorso alle diffuse tecniche di “value analysis” che considerano il tempo di completamento, calcolano il capitale da investire, stimano la remunerazione attesa.
O, se vogliamo, potremmo anche spingerci verso un’analisi SWOT, strumento di pianificazione usato per valutare i punti di forza (Strengths) e di debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) di un progetto, includendo, tra queste ultime, i costi della così detta “mancata prevenzione” (giornate perse, cure sanitarie, costi assicurativi, costi processuali, frequenza e gravità degli infortuni, sanzioni).
Tutti calcoli matematico-ragionieristici che hanno un loro fondamento.
Ma se andiamo un po’ indietro nella storia, tutti o quasi ricordiamo gli studi applicati dell’ingegner Taylor, il quale, erano gli inizi del ‘900, elaborò un metodo, ribattezzato “organizzazione scientifica del lavoro”, basato sulla scomposizione e parcellizzazione, nei singoli movimenti, dei processi di lavorazione, movimenti cui venivano assegnati tempi standard di esecuzione. Ottenne, così, sorprendenti risultati in termini di recupero di efficienza e maggiore produttività.
Il raggio d’azione di Taylor e dei suoi continuatori, con il passare degli anni, si allargò fino ad occuparsi non solo del “come” e “in quanto tempo” bisognava completare un’azione, ma anche delle condizioni generali (pulizia, illuminazione, aerazione, layout, ecc.) in cui un’attività doveva essere svolta.
Negli anni ’30, poi, delle ricerche compiute negli stabilimenti della Western Electric fornirono evidenza degli effetti positivi sulla produttività dei lavoratori derivanti dall’illuminazione. Non è, infatti, secondario l’effetto che esperimenti del genere possono avere all’interno di un’azienda.
Ed è dimostrato che dei lavoratori che si sentono concretamente considerati, che percepiscono un clima caratterizzato e qualificato da un’attenzione verso le loro esigenze, anche inespresse, hanno delle reazioni fortemente positive.
Ed allora un’efficace gestione del personale che punti al miglioramento delle condizioni di lavoro e, quindi, anche alla riduzione e/o alla prevenzione dei rischi, valorizzando pienamente il capitale umano, incentiva o non incentiva la motivazione?
Ricerche, svolte alla fine degli anni ’60, da Fred Herzberg in materia di progettazione delle mansioni e motivazione del personale, rilevano, tra gli elementi di frustrazione sul lavoro, oltre alla politica ed amministrazione aziendale, ai rapporti organizzativi capo-dipendente, le condizioni in cui si opera.
E sulla progettazione di processi efficaci in ottica di personale, il clima aziendale (rappresentato dalla percezione che i dipendenti hanno di molti segnali, fisici e psicologici, che provengono dall’azienda) è un’importante causa di motivazione.
Tra i segnali psicologici che costituiscono il “clima aziendale” rientra l’esistenza di traguardi ambiziosi da parte dell’azienda e la chiarezza con la quale il personale è messo al corrente delle strategie dell’azienda; tra i segnali fisici rientrano a pieno titolo gli orari di lavoro, gli ambienti gradevoli e l’ordine e la pulizia, ovvero tutti quegli elementi che, pur non essendo strettamente indispensabili, concorrono a rendere più “piacevole” il lavoro.
E pare che nulla riesca a creare un più forte spirito di gruppo!
Studi documentati, come quello del 2012 del Consiglio Nazionale delle Ricerche realizzato nell’ambito del progetto di ricerca-azione “Indagine sul benessere organizzativo nel CNR”, dimostrano come un’organizzazione che promuove salute e benessere ricavi effetti positivi sul coinvolgimento dei lavoratori, sulla loro soddisfazione e sulla loro salute e come questi aspetti, a loro volta, abbiano un impatto sulla produttività e, indirettamente, sull’efficacia dell’organizzazione anche in termini di “customer satisfaction”.
Fare sicurezza sul lavoro significa sostanzialmente eliminare o ridurre al minimo fattori di rischio strutturali.
Bene!
Una voluminosa letteratura spiega come, tra i criteri di valutazione usati dai clienti per giudicare la qualità di un servizio (che, quindi, influenzano la loro “customer satisfaction” rispetto ad una specifica offerta), un ruolo non certo trascurabile ricopra il giudizio sugli aspetti tangibili, ossia sull’aspetto delle strutture fisiche, delle attrezzature.
Ciò significa che i clienti elaborano le loro opinioni sulla qualità di un servizio offerto, opinioni dalle quali dipendono la soddisfazione o insoddisfazione ed i comportamenti successivi, sulla base della loro interazione con il personale di contatto e con le attrezzature fisiche, ivi compreso l’arredamento. Aspetti, questi ultimi, tangibili che accompagnano l’offerta di un prodotto o di servizio.
Ricerche condotte sul campo tese a misurare anche l’influenza del clima organizzativo sugli atteggiamenti dei lavoratori, hanno rilevato un aumento del coinvolgimento di questi con effetti positivi sulla “customer satisfaction” prossimi al 20%.
La spiegazione alla base di questo fenomeno è che un’azienda che cerca e ascolta le esigenze dei suoi dipendenti soddisfa il loro bisogno di riconoscimento, produce in loro autostima e li responsabilizza (va ad interessare, in altre parole, il vertice della piramide della gerarchia dei bisogni di Maslow).
E’ su questo fronte che occorre, dunque, che un management illuminato cerchi e trovi rinnovati impulsi e stimoli per una piena e convinta applicazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, se è vero, come sembra, che un ambiente di lavoro sicuro significhi qualità del lavoro, ottimizzazione di tempi e spazi, valorizzazione del capitale umano, serenità e tranquillità per tutti.
E non è, infine, irrilevante che il sistema di gestione della qualità secondo le norme UNI EN ISO 9001:2008, tra le azioni che un’azienda deve sviluppare per potersi certificare, preveda l’individuazione di tutti quegli elementi e fattori ambientali che hanno influenza sulla qualità di un servizio e la valutazione della loro criticità rispetto a norme di legge vigenti.
Si va dall’ergonomia a metodi di lavoro che favoriscono il coinvolgimento e la motivazione del personale e che scongiurano rischi psicosociali quali lo stress lavoro-correlato che, a partire dal 2011, le aziende italiane devono obbligatoriamente valutare al loro interno.
E’ di tuta evidenza, infatti, come una migliore organizzazione del lavoro, in senso lato, sviluppi una più forte e diffusa sensibilità, che porta non tanto a tardive azioni correttive, quanto a battere la ben più economica ed efficace strada delle azioni preventive.