Contributi

Il silenzio dell’ascoltare

di Francesco Varanini 27 Ottobre 2012

Ho pubblicato di recente sul Bloom un contributo a proposito di cosa è e cosa può essere oggi una associazione. Proseguo qui questo ragionamento. Anche in questo caso il testo esce, come mio Editoriale, su Persone & Conoscenze, novembre 2012.

Nei giorni scorsi mi è capitato di parlare con un Direttore del Personale che vive una situazione difficile. Difficile vivere, sia dal punto di vista della propria autostima, sia dal punto di vista di un complessivo criterio di giustizia, il ruolo di Direttore del Personale quando la necessaria e giusta autonomia nell’assumere e nel licenziare, nel premiare e nel punire, è gravemente limitata dalle pressioni di un Comitato Retributivo nominato dalla proprietà, il cui unico interesse è garantire il prelievo di valore. Il Comitato Retributivo impone questa legge: la quota di valore disponibile per chi lavora è ciò che resta dopo che noi abbiamo soddisfatto i nostri appetiti.
Questo Direttore del Personale non è l’unico a vivere la situazione, lo sappiamo bene. Ma quando possiamo parlare tra noi di questa sofferenza? Perché le nostre associazioni non si occupano di questo? E’ sufficiente organizzare incontri con guru del diritto del lavoro che partono dal presupposto che il prelievo è giusto?
Mi trovo quindi a tornare sul tema dell’Editoriale dello scorso numero. Cosa può essere associazione oggi per noi. Per non restare nel vago, preciso: parlo delle associazioni di chi occupa professionalmente di direzione del personale e di formazione.
Viviamo schiacciati da da istituzioni spesso incapaci di rispettare le persone, e di valorizzare il loro contributo, il loro desiderio di ‘lavorare bene’. Perciò ci servono associazioni capaci di essere luogo di incontro, come modo di stare insieme, come luogo dove scambiarci reciprocamente servizio. Associazioni come luoghi dove sperimentare qualcosa di diverso dalla solita struttura di ruoli predefiniti e di deleghe chiuse. Associazioni fondate sulla gratuità, sullo scambio reciproco di servizi. Chi ha detto che una associazione debba occuparsi innanzitutto della riscossione delle quote di iscrizione, della raccolta di fondi. Chi l’ha detto che si debba continuare a prendere per buoni processi elettivi opachi, modalità di funzionamento basati sulla consuetudine, ma di fatto fondate sull’esclusione?
Mi chiedo e vi chiedo se non si possa fare altrimenti. Ho quindi chiesto ad amici con i quali condivido esperienze di vita associativa una opinione a proposito di quanto avevo scritto. Altrettanto chiedo a ogni lettore di Persone & Conoscenze. Qualcuno mi ha scritto che gli era difficile condividere il mio punto di vista, perché apriva la strada al ‘democraticismo’. Qualcuno mi ha risposto che tutto questo è ‘pericolosamente demagogico’. Qualcuno mi ha detto che il lavoro di qualità non esiste se non è remunerato. Qualcuno mi ha detto: siamo stati appena eletti, lasciaci lavorare, ci sentiamo alla fine del nostro mandato.
Vorrei ricordare che per questa via si arriva a legittimare la posizione di chi ritiene che il miglior governo di una una organizzazione, di una azienda, è la dittatura. Credo, invece, che in questo momento sociale e politico sia importante recuperare la consapevolezza di come ognuno di noi può incidere e contribuire ad indirizzare l’azione, contribuire a dirigere la cosa pubblica. Le associazioni sono il luogo dove potremmo vivere questa libertà condivisa, questa discussione in pubblico. Le associazioni sono il luogo dove possiamo respirare quell’aria di libertà che è troppo spesso negata nelle organizzazioni nelle quali ci troviamo a vivere e lavorare. Attraverso la vita associativa potremmo ben allenarci a fare anche delle aziende una ‘costruzione comune’.
Credo di poter esprimere in sintesi questo ragionamento così: l’associazione è il luogo dove possiamo aiutarci reciprocamente a ‘non essere gregari’. Dico questo innanzitutto me stesso, a tutti gli amici con cui condivido esperienze associative, a tutti i lettori di Persone & Conoscenze. La tendenza ad atteggiamenti gregari è forte in tutti noi. C’una circolarità che rischia di diventare perversa tra la tendenza a sentirsi gregari e la tendenza a non accettare critiche e suggerimenti, a non ascoltare più, le volte che tocca a noi esercitare il potere. Esercitare il potere significa anche rispettare ciò che è stato fatto prima, dare valore a ciò che chi ha lasciato chi ha gestito in precedenza.
L’etimo delle parole, come spesso accade, ci illumina. Latino gregarius: ‘che fa parte del gregge’. Ora, credo che nessuno di noi si senta, e voglia sentisi, passivo membro di un gregge. Se anche dentro le associazioni ci comportiamo così perdiamo una occasione. Questo atteggiamento – ‘non comportarsi da gregari’- vale sempre, anche di fronte a leader che meritano rispetto e fiducia.
Ho ricevuto anche altre risposte. Risposte che confortano e danno speranza. “Grazie della tua lettera e delle belle cose che mi mandi”. “Il silenzio dell’ascoltare. Ascolto quello che mi hai scritto”. Ovviamente, non è importante ascoltare me: ciò che conta è ascoltarsi reciprocamente. Lo diciamo nelle aule di formazione. Ma si tratta di farlo davvero.

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