Ci sono due tipi di comunicazione, quella che si instaura nei gruppi, o comunità, di persone che si scambiano informazioni in modo continuativo e frequente e un’altra, che avviene in maniera più discontinua, ma non per questo è meno importante.
Se ci immaginiamo questo tipo di scambio in modo visuale, avremo tanti piccoli centri, all’interno dei quali le righe, che corrispondono alle interazioni, sono fittissime. Poi ogni tanto, vedremo che da uno di questi centri parte una scia luminosa, solitaria e coraggiosa, che va a cascare dentro un’altra comunità, oppure si collega con un puntino solitario, che sta in mezzo ai due gruppi.
Ecco, quel puntino è un legame debole.
La teoria
Karl Weick, psicologo, per la formulazione della sua teoria sui legami deboli – i loose coupling – ha osservato il sistema scolastico. Probabilmente lo prende in esame perché è un gran casino. Lo paragona a un campo da calcio rotondo, con una quantità non precisata di porte disposte ai suoi margini, con i giocatori che possono entrare e uscire quando vogliono e pretendere che una o più porte siano la loro, “and the game is played as if it makes sense”.
“It makes sense”, alla fine, perchè è autoregolato dai legami deboli che si vengono a creare fra le organizzazioni più rigide che fanno parte del sistema scuola. Nel suo articoloEducational Organizations as Loosely Coupled Systems, Weick dice che:
“It might seem that the word coupling is synonymous with words like
connection, link, or interdependence, yet each of these latter terms misses
a crucial nuance.”
La sfumatura è che le entità mantengono la loro identità e che le associazioni fra le due entità sono deboli, non programmate, infrequenti e intangibili.
Weick fa l’esempio del rapporto del preside con un insegnante. Entrambe le entità appartengono a sistemi più rigidi, come per esempio quello del preside-vicepreside-sovrintendente e insegnante-classe-studente-famiglia, ma fra queste due strutture si creano i loose couplings quando per esempio l’insegnante va a parlare con il preside e interagisce con lui. Queste associazioni differiscono da quelle che si creano all’interno delle strutture più rigide, perché le interazioni non sono prefissate né costanti, come invece accade per esempio fra il preside e il vicepreside, che hanno incontri schedulati per parlare dell’organizzazione della scuola, o fra l’insegnante e la classe in cui insegna tutti i giorni.
Però queste interazioni “deboli” sono importanti quanto e più di quelle forti, perché permettono all’intero sistema di reggersi in piedi. Spesso è parlando con un interlocutore che proviene da un’altra area di competenza che si risolvono i problemi o che si scopre qualcosa che poi risulta fondamentale.
Le persone
Come si trova lavoro? Se l’è chiesto Mark Granovetter per la sua tesi di dottorato. E’ più facile trovare un’occupazione rivolgendosi alla propria stretta cerchia di amici, oppure ricorrendo a quelle conoscenze che sentiamo una volta ogni tanto e sono lontane dalla nostra quotidianeità?
La risposta giusta è la seconda. Nel saggio “La forza dei legami deboli”, Granovetter analizza come sia più facile accedere alle informazioni – e trovare nuovi stimoli – non limitandosi all’interazione con i nostri amici più stretti.
I social network ci hanno portato a creare un’infinità di loose coupling senza che nemmeno sapessimo cosa fossero. Basta il nome di una persona per aggiungerla fra i nostri “amici” su Facebook, anche se ci abbiamo scambiato solo poche parole. E poi spesso quei contatti così deboli, appunto, si rivelano preziosi in svariati modi diversi. Chiedere degli appunti di una lezione, farsi consigliare qualcosa perché sai che lui/lei lo ha fatto e volevi tanto sapere se, eccetera. E naturalmente, come dice Granovetter – perdoniamogli l’ingenuità: non è italiano e ha scritto la cosa nel 1985 – trovare un posto di lavoro.
Le informazioni, la conoscenza, viaggiano prima e meglio fra le comunità attraverso i legami deboli, che fanno da ponte fra un’organizzazione e l’altra. Probabilmente sono questi loose coupling i veri influencer, nel senso di persone che riescono a raggiungere un grande numero di individui e a mettere in comunicazione diverse realtà.
Focalizzandosi sulle persone, che poi sono sempre il punto di partenza e il punto di arrivo, abbiamo translate sul Web le organizzazioni “gruppo di amici”, “famiglia”, “scuola” eccetera, che si sono formate nel mondo reale. Ne abbiamo anche alcune che si sono formate direttamente su internet e trovano vita solo su di esso – come per esempio un gruppo di lavoro online. All’interno di queste organizzazioni le relazioni sono frequenti e regolari.
Ora vi faccio una domanda: dove andate a cercare la nuova conoscenza?
Parlando con persone che hanno interessi comuni ai vostri è chiaro che potete alimentarli, però essi rimarrebbero come dei silos chiusi al mondo esterno se non esistessero i legami deboli.
I loose coupling nella comunicazione sono da intendersi come dei ponti, delle giunture di raccordo, fra le diverse organizzazioni, le diverse comunità, i diversi organismi. Sono rappresentati da quelle persone con cui parlate solo ogni tanto, ma che portano con sé tutta la conoscenza di cui si sono impregnate.
I social network e i legami deboli
I social network non solo ci aiutano a tenerci in contatto con i nostri legami deboli, ma ci hanno portato, spesso inconsapevolmente, a crearne una rete sempre più vasta e più fitta. È stato un cambiamento lento ma radicale.
Facebook è nato come un grande album di foto ricordo per i liceali americani. Si proponeva di aiutarli a rimanere in contatto con persone che conoscevano già, con le quali gli utenti potevano riallacciare i fili delle proprie conoscenze.
Come ho già scritto in questo articolo, quando Facebook è esploso anche in Italia se n’è cominciato a parlare anche durante le serate fra amici e ho sentito dire spesso: “Tizio mi ha aggiunto su Facebook, ma io nemmeno lo conosco. Forse l’ho visto una volta.” Ora non mi capita più di sentire discorsi del genere; l’approccio al social network è cambiato. Adesso è una pratica accettata aggiungere e venire aggiunti anche da persone che non sono realmente tuoi amici, che hai visto solo una volta o che magari non hai proprio mai visto. La persona in questione può essere connessa a te tramite un legame debole – seguite lo stesso corso, ha letto un articolo che hai scritto, sa che ti interessi di un certo campo – e Facebook stesso sembra incoraggiare questo cambiamento. Sto parlando dell’introduzione degli status sponsorizzati, cioè un modo per far salire un tuo status in cima alle notifiche dei tuoi amici. Sembra un controsenso, come uscire in gruppo in un pub e portarsi dietro un megafono per farsi sentire meglio. In realtà non è un controsenso, è semplicemente la conseguenza di un cambiamento. Chi utilizza normalmente Facebook ha solitamente centinaia di contatti – smetteranno anche di chiamarla “amicizia” – e chiunque, spulciandoli, potrà accorgersi che fra di essi i legami forti, cioè le persone con cui interagisce quasi quotidianamente, sono forse l’un percento. Tutti gli altri sono potenziali legami deboli. Potenziali, perché non è detto che ricontatteremo mai l’amico dell’amico di, aggiunto così per caso, una sera, ma forse sì. Forse lo ricontatteremo perché in noi è nato un bisogno che prima non c’era, per esempio la voglia di saperne di più su un argomento che ha iniziato ad appassionarci, e ci ricordiamo che lui ha studiato proprio quello, e conosce molto bene un professore che insegna nella nostra città, e potrebbe anche metterci in contatto con lui, e magari poi quel professore può metterci in contatto con altre persone che vogliono fare, che stanno cercando, eccetera eccetera. Lo scenario descritto probabilmente non si sarebbe verificato senza “il trigger” del legame debole aggiunto una sera per caso. È necessario comprendere l’importanza di questi legami, saperli riconoscere e accoglierli, e sfruttarli al massimo grazie alle potenzialità dei mezzi che oggi abbiamo a disposizione.
Fonte originale: sito Web di Marco Bruschi