Contributi

Assoetica: l’ambrogino e la direzione etica

di Francesco Varanini 09 Dicembre 2012

Il giorno di Sant’Ambrogio, 7 dicembre, ho partecipato con Bruno Bonsignore alla consegna degli Attestati di Civica Benemerenza del Comune di Milano. Tra i premiati, Assoetica, l’associazione con la quale, da dieci anni a questa parte, cerchiamo di fare qualcosa per la diffusione di atteggiamenti etici nelle organizzazioni.
Eravamo partiti guardando a modelli anglosassoni. Va ancora bene parlare di Business Ethics e va bene darsi daffare per promuovere la figura dell’Ethics Officer. Ma nel corso di questi dieci anni il capitalismo anglosassone -pur con le sue regole di Governance e con il suo dedicare risorse a politiche di Corporate Social Responsibility- ha mostrato tutte le sue crepe. Più che chiamare i manager al compito di creare valore, troppo spesso le regole di Governance e le strategie e i sistemi premianti chiamano i manager a estrarre valore dalle imprese dedite alla produzione. Estrarre valore per portarlo altrove, per farne risorsa disponibile per speculazione finanziaria.
Così, nel corso di questi dieci anni, noi di Assoetica abbiamo via via allargato lo sguardo, parliamo ancora di etica degli affari -lo si può ben dire anche nella nostra lingua-, ma parliamo ormai sempre al contempo di etica del lavoro. Alla fin fine, anche l’attività del manager è un lavoro, un lavoro come gli altri. L’etica del lavoro, in questo senso, comprende l’etica degli affari.
Abbiamo dunque, nel corso degli anni, consolidato l’atteggiamento di rispetto e di considerazione per i diversi punti di vista di coloro che contribuiscono alla creazione del valore: conta il punto di vista di chi lavora, dei clienti, dei fornitori, di chi procura le risorse finanziarie… Ognuno dei ‘portatori di interessi’, o per dirla all’anglosassone, stakeholeders’, è necessario: tutti sono importanti. Questo è stato non a caso è il tema centrale di Contro il management, libro in cui ho raccolto le riflessioni di questi anni. L’azienda è luogo di incontro incontro dei diversi punti di vista. L’organizzazione funziona, l’impresa produce, laddove gli interessi trovano un’area di convergenza.
Ripensavo a queste cose mentre procedeva la premiazione, quando Bruno mi ha interrotto per condividere con me una riflessione. “Mi sento quasi a disagio. Cosa ci facciamo noi tra questi premiati”. Bruno non faceva riferimento a certi premiati, magari anche immeritevoli, troppo tronfi al momento di ricevere l’onorificenza. Faceva riferimento, ne sono certo, ad associazioni di o gruppi ‘di base’ strettamente impegnati in attività di rilevo sociale: parrocchie, centri di accoglienza per immigrati, comitati inquilini, comitati dediti alla salvaguardia del territorio, associazione di volontari per la protezione civile, associazioni sportive…
Cosa ci facciamo noi qui? Giusto in ogni caso porsi la domanda. Giusto in ogni caso, sempre, sentirsi spaesati, chiedersi ‘dove siamo’, ‘cosa stiamo facendo’. L’utilità sociale di queste associazioni è immediatamente evidente. Il loro scopo chiaro. Ma noi?
In queste occasioni pubbliche non è mai bello estraniarsi parlando sottovoce alla persona che si ha accanto. Ma, dando valore alla domanda di Bruno, mi sono trovato a rispondergli subito.
Il percorso formativo che è attualmente l’ossatura della nostra attività ha per titolo: La direzione etica. Direzione etica in un doppio senso. Sguardo proteso in direzione etica, a scorgere il possibile cammino verso un luogo dove i diversi interessi in gioco possano trovare un accettabile terreno comune. E direzione etica come affermazione di un modo di dirigere l’impresa, andando oltre i limiti dell’attuale ‘management’ – di quel management che purtroppo sembra troppo spesso considerare proprio compito lavorare non per la produzione di valore, ma per l’estrazione del valore.
Qualcuno giustamente si occupa di indigenti, immigrati, disoccupati, di infanzia abbandonata. Occuparsi di tutto questo è un dovere civico. Noi, con tutti i nostri limiti, ci occupiamo di formare una classe dirigente più responsabile. Anche occuparsi di questo è un dovere civico.
C’è molto da fare. C’è da guardare C’è da lavorare insieme affinché ognuno possa prendere piena consapevolezza della propria etica, e possa trovare il modo di viverla e di metterla in pratica nel posto di lavoro che si trova ad occupare. C’è da guardare in luce critica gli strumenti e le metriche appartenenti al consueto bagaglio del manager: budget, contabilità, finanza e bilancio; politiche di gestione e sviluppo delle ‘Risorse Umane’; strategie di marketing; governo della comunicazione e delle informazioni.
Un’associazione non può che gettare un seme. Ma poi si trovano compagni di strada.

(Questo testo appare come Editoriale del numero 84 di Persone & Conoscenze, in uscita nel dicembre 2012).

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