Contributi

Il terremoto, ovvero analisi di una crisi

di Claudio Baccarani 28 Febbraio 2013

Perché ho pensato di proporre al lettore una riflessione del tipo di quella richiamata nel titolo? Per due ragioni. La prima perché ho vissuto questa esperienza nel maggio del 2012 abitando a Concordia sulla Secchia, uno dei paesi colpiti dal sisma dell’Emilia e Romagna. La seconda , perché insegno management all’università di Verona e mi sono venuto convincendo che i pensieri che ho raccolto su questa esperienza possano essere di aiuto, quanto meno come spunti di riflessione, per chi vive in azienda in un’epoca nella quale la crisi bussa quotidianamente alla porta.
Ed eccoci qui a costruire questa narrazione a partire dalla cronaca di un evento catastrofico.

Scosse, buio e rumori assordanti

19 maggio, un sabato come tanti altri che chiude una settimana passata con la consueta velocità. Chissà perché con il passare degli anni sembra che il tempo passi sempre più in fretta? Eppure l’orologio mantiene il suo ritmo, quello di sempre, il tempo non accelera, né rallenta, passa sempre con lo stesso ritmo. Comunque è così, anche questa settimana è passata in un attimo.
20 maggio, ore 1 di notte, circa, mi sveglio perché avverto una piccola scossa di terremoto che scuote seppur lievemente il letto. Chiamo mia moglie e l’avverto, la dimensione della scossa ci porta a valutare che si tratti di un terremoto avvenuto lontano e a grande profondità, insomma data la dimensione del movimento avvertito, pensiamo si tratta di un semplice fenomeno di riflesso anche perché è risaputo che il nostro non è un territorio a rischio sismico.
20 maggio, ore 4 del mattino, circa, ci si sveglia di soprassalto, il letto sobbalza su di sé con una intensità da scaraventarti giù, si avvertono nella casa rumori assordanti, al buio si esce barcollando dalla camera per la difficoltà di mantenere l’equilibrio, non si riesce ad accendere le luci, per fortuna disponiamo di piccole spie alle pareti che ci consento di capire in che punto siamo, le pareti vibrano, il rumore assordante non ci fa capire se il tetto o le pareti stiano crollando, le nostre voci e quelle di nostro figlio e della fidanzata al piano sotto si rincorrono per far capire che si è svegli e si sta bene, dalle pareti tutto cade in terra con il pesante rumore delle cose che si fracassano. Non so tra i 20 e i 30 secondi, ma una eternità. In un attimo come era venuto si ferma. Si respira.

Assestamento e stima dei danni

Ci si incontra, ci si scambiano le prime opinioni, si pensa chissà come sarà stato grande là dove è avvenuto, perché la nostra è una terra asismica per la sua configurazione e non può essere accaduto da noi, si esce in strada sono tutti lì, si fanno le prime telefonate per sentire parenti e amici, si accende la televisione e si entra in internet cercando informazioni, dopo un quarto d’ora circa si ripete la scossa, arrivano voci allarmanti che avvertono che per la prossima ora può succedere di tutto, il terremoto sembra localizzato a Padova, pensiamo a chissà cosa deve essere successo laggiù se qui era così forte, le scosse si susseguono ma di minore intensità, si comincia a raccogliere e buttare quanto è caduto e si è rotto perché impossibile pensare di riprendere il sonno.
Dopo qualche ora si capisce che il terremoto era a Sant’Agostino un piccolo paese del ferrarese a 20 chilometri circa da noi, circolano voci su morti nelle fabbriche dove alcune persone si trovavano per i turni di notte. Nelle prime ore del mattino arrivano notizie dal centro del paese dove la chiesa, la caserma e parecchie abitazioni hanno subito lesioni, la chiesa era del tutto inagibile. La giornata prosegue con la massima attenzione a tutto ciò che avviene. L’abitazione dove viviamo non ha avuto danni, siamo un po’ fuori dal centro storico, la vecchia casa di famiglia in centro storico ha avuto lesioni, ma tutto sommato ha tenuto. Si recuperano e si leggono le istruzioni su come comportarsi in caso di terremoto, cosa fare e cosa non fare, nessuno di noi ne sapeva nulla perché, da che mondo è mondo era risaputo che la nostra era un’area sicura dal punto di vista sismico, avevamo sempre convissuto con il rischio di inondazioni perché a ridosso del fiume Secchia, ma per noi il fiume era un amico ed avevamo imparato a gestire questi suoi momenti di difficoltà a smaltire la grossa mole di acqua che doveva portare al Po in certi momenti dell’anno, ma di terremoti nulla sapevamo.
La settimana la passo a casa, le lezioni in università sono finite e dobbiamo cercare di riassettare il tutto, anche se le scosse non ci abbandonano mai. Sul tavolo c’è una bottiglia con metà acqua che ci avverte anche della minima scossa, si dorme vestiti, sempre pronti a uscire di corsa di casa l’auto lontana dal tetto e girata verso il cancello sempre aperto.
La domenica successiva, il 27 maggio, e il lunedì successivo, 28 maggio, sono giorni nei quali non avvertiamo più scosse.
Martedì 29 maggio, il fatto che per due giorni non avessimo avvertito scosse mi ridà il coraggio di partire per raggiungere l’università per una riunione che era programmata per quel giorno. Parlo di coraggio di partire per Verona per l’ansia che mi pervadeva al sol pensiero di lasciare la famiglia a casa con il rischio di terremoto. In realtà, l’assenza di scosse e le valutazioni fatte insieme in famiglia mi hanno spinto a prendere uno dei miei consueti treni per raggiungere la città dove lavoro, il treno delle 8.55 Poggio Rusco-Verona. Il treno sia avvia e guardo fuori dal finestrino insistentemente quasi a cercare segnali di tranquillità. Alla stazione di Nogara, 20 chilometri circa da Verona, sento una ragazzina a al finestrino opposto che parla al telefono con il suo ragazzo che a Bologna aveva sentito il terremoto poco prima. E lei, tra una serie di sorrisi che ho stampati nella mente come una fotografia, a divertirsi perché così anche lui aveva avuto l’esperienza del terremoto. Mi prende un’ansia incontrollabile. Raggiungo il ballatoio del treno e provo a telefonare a casa cercando mia moglie, nessuna risposta al cellulare, provo e riprovo, sono le 9 e 15 circa, niente da fare la linea non prende.
L’ansia diventa paura e sgomento, chiamo sul fisso di casa, suona regolarmente ma nessuno risponde. Il treno era ripartito per Verona. Dalla riunione mi chiamano con voce cupa e mi chiedono se avessi saputo del terremoto, dico di sì anche se indirettamente e senza informazioni puntuali. Chiedo se l’auto che usavamo un po’ tutti in caso di necessità di spostamento fosse disponibile, mi dicono di sì e che il terremoto è stato alle 9.04, chiedo se possono portarmi l’auto alla stazione in modo da poter rientrare subito e mi confermano questa opzione. Finalmente verso le 9 e 40 ricevo un sms da mia moglie, il messaggio dopo tanto era riuscito a passare, è scritto a frammenti ma era delle 9.15, capisco, che sono fuori casa. E’ come una boccata di ossigeno. Trovo in stazione a mia insaputa mia nipote che stava andando a Verona per lavoro, anche lei ha saputo del terremoto, insieme saliamo in macchina guardando la faccia quasi senza parole del collega che me l’aveva portata.
Il viaggio sembrava non finire mai tra notizie alla radio e telefonate, la scossa questa volta era stata a 7 chilometri da casa. Dalle scuole, dagli ospedali e dalle case di riposo tutti erano usciti senza danni. Più tardi sapremo che ci sono state delle vittime.
29 maggio, mezza mattina. Arriviamo a casa, la famiglia tutta in strada davanti alla casa, mi raccontano gli attimi terribili delle 9.04, niente era fermo in casa, non si riusciva a capire come poter uscire, mia moglie e mio figlio erano a fatica riusciti a raggiungere mia suocera con difficoltà di deambulazione e in qualche modo erano riusciti ad uscire da casa ed ora erano in macchina, le notizie parlano di una vittima davanti alla banca si tratta di un conoscente coetaneo colpito da una tegola mentre cercava di allontanarsi dai muri delle case.
Parlano di una signora salva per miracolo perché riparata dai bidoni dell’immondizia, parlano del crollo della chiesa e di parte della caserma ei carabinieri, parlano del crollo di tante abitazioni. Esploro furtivamente l’abitazione dove viviamo per vederne la condizione e sembra che anche questa volta non abbia subito danni. Ci spostiamo con l’auto all’ombra di un albero perché la giornata è di quelle pesantemente calde e afose. Intorno a mezzogiorno rientro speditamente in casa per prendere quello che era stato preparato per pranzo e si mangia un boccone in auto. Con la bicicletta mi dirigo verso il centro per vedere la casa di famiglia, siamo intorno alle 13. La posso vedere solo da lontano, non sembra avere lesioni ampie. La piazza del municipio sembra una bolgia infernale, il municipio è evacuato, tutti sono fuori, le vie del centro sono disseminate di pietre e cornicioni caduti dalle case, i primi soccorsi sono prestati dai vigili del fuoco che presidiavano il paese già dopo la prima scossa. Rientro intorno alle 13.15, grosso modo a 100 metri da casa la strada comincia ad ondulare spaventosamente, fatico a tenere la bici, le case a fianco della strada oscillano con spostamenti che mai e poi mai avrei potuto immaginare, chi era rientrato urla e si precipita fuori, raggiungo l’auto che ondeggia come una barca in un mare mosso. Si ferma, si riprende a respirare.
Si comincia a pensare a cosa fare. D’un tratto, circa mezz’ora dopo, un gatto schizza via velocissimo davanti a noi da sotto un cespuglio, una frazione di secondo dopo un’altra scossa della dimensione della prima è come rimettesse l’auto in mare, le facce sono spaventate non si sa più cosa pensare. Finita la scossa si riprendere a discutere, la decisione è di andare via, non possiamo stare ancora lì non sapendo più cosa possa accadere, mia suocera ha 88 anni, non può stare in quelle condizioni, entro in casa con l’aiuto di un vicino chiudo il gas e l’acqua, salutiamo le persone che decidono di stare lì è ci avviamo verso Verona dopo esserci scambiati tutti i numeri di cellulare anche se non avevano ancora ripreso a funzionare. All’uscita dal paese c’è una colonna di auto che cerca le strade libere per potersi muovere, mi ricorda tanto i film sulle catastrofi quando si avvia la fuga di massa. A fatica raggiungiamo l’autostrada diretti al nostro piccolo appartamento di Verona, siamo in tanti, a metà strada i telefoni riprendono a funzionare, un amico vicino di casa ci offre un suo appartamento per riparare tutti in città.
Scrivendo mi accorgo che tante altre sarebbero le cose da dire, soprattutto per i giorni a seguire con la decisione di rientrare io e mio figlio, perché lui riprendeva a lavorare proprio in quei giorni in una fabbrica di Concordia, gli sciacalli che con le auto camuffate da protezione civile annunciavano scosse invitando le persone ad uscire per entrare e rubare, le strade deserte, la confusione, la gente che si muoveva come un formicaio assalito da un nemico, i letti allestiti in garage dove si dormiva con la porta aperta, i vestiti e il piccolo sacchetto che conteneva i documenti, il telefono, quel po’ di soldi che c’era e le chiavi, tutto ciò che avremmo portato in una fuga precipitosa, il graduale riassetto della casa, il graduale rientro, l’identificazione della diversa natura delle scosse che sentivamo, dal primo attimo in cui le avvertivamo riuscivamo a capire se sarebbe stata piccola o grande, la solidarietà che si toccava con mano tra le gente, nessuno che più usava il Lei, i medici nelle tende, i negozi che vendevano all’aperto su bancarelle allestite fuori dalle strutture inagibili, i primi container che arrivavano per ospitare le attività, i soccorritori, i vigili del fuoco e la Croce Rossa con la tendopoli allestita in un batter d’occhio, i volontari che arrivavano da tante parti, gli interventi sempre pronti pur nella confusione più totale, le ore passate nel tempo libero a sorvegliare le entrate alla zona rossa ad accesso proibito, i pensieri che ho raccolto in vari momenti e trascritti velocemente su un computer, un documentario che abbiamo girato, il mutamento del concetto di normalità. Il valore di ogni istante. Il valore di poche cose essenziali e della sobrietà. Il valore della solidarietà e della fiducia.

Le parole del terremoto

Ma qui devo fermare il racconto per passare alla seconda parte di queste riflessioni, le parole del terremoto.
Per raccogliere queste parole ho provveduto a costruire una mappa mentale che ha preso forma a partire dai miei pensieri e dai concetti che la parola “terremoto” evocava nella mente di alcuni colleghi.
Ne è uscito lo schema che riporto nel seguito. Ad una lettura successiva l’avrei razionalizzato, in parte modificato, semplificato e intergrato. Decido però di lasciarlo inalterato. Non vorrei si perdesse l’eco delle emozioni che l’hanno generato.

Le parole che sono entrate in questa costruzione mentale sono nell’ordine in cui quei concetti sono stati avvertiti nell’esperienza diretta :

  1. Attimo
  2. Sgomento
  3. Improvvisazione
  4. Domande
  5. Solidarietà
  6. Silenzio
  7. Speranza
  8. Progetti

Cerco di spiegarle per il significato che possiedono nelle mie percezioni.

Attimo, il terremoto può essere rappresentato con questo concetto. Al riguardo ho anche raccolto alcuni pensieri scritti di getto la sera in cui avevamo raggiunto “il rifugio di Verona”. Forse sono utili a chiarire il significato che associo a questa parola e così li trascrivo qui nel seguito:
In un attimo
Quanto è lungo un attimo?
Niente, nulla, passa e va, impercettibile. Ma non sempre. Un attimo alle 9.04 di una mattina non termina mai, in un attimo la vita si trasforma, corre veloce, assieme a te che cerchi di correre fuori dalla casa o dalla fabbrica che ti hanno sempre protetto e che ora potrebbero diventare una trappola. In un attimo, questo è il terremoto.
Nulla è più come prima e non c’è tempo per prepararsi all’evento che arriva imprevedibile e catastrofico. Il tempo muta prospettiva, c’è un presente bruciato in un nonnulla che cancella anche parti di passato e allontana tutto quello che nel futuro avevamo progettato di costruire.
Il terremoto in un attimo mette a nudo tutta la nostra fragilità e rivela l’immenso valore di ogni istante che abbiamo a disposizione.

Sgomento, direi che di fronte al terremoto non c’è tempo per avere paura, si è sgomenti, ma la paura è un’altra cosa, perché è la difesa da qualcosa che si conosce. Ora, che conosco il terremoto potrebbe subentrare la paura allo sgomento anche se non è certo auspicabile perché potrebbe trasformarsi in ansia perenne, ma in quel momento ciò che prevale è proprio lo sgomento derivante dal senso di impotenza e smarrimento che si avverte per la confusione che annebbia il pensiero e fa crollare i punti di riferimento usuali.

Improvvisazione, il carattere fulmineo dell’evento esclude un tempo sia pur breve per pensare, occorre improvvisare, pensiero e azione sono contemporanei, sono uniti nel medesimo istante nel fare ciò che l’istinto, l’intuito e la conoscenza disponibile consentono di inventare. Essenziale risulta in proposito la capacità di autocontrollo che evita comportamenti isterici e consente di muovere nella direzione dell’uscita immediata dalla situazione che si è creata. In questo essenziale risultano la capacità di vedere e di sentire per cogliere dal ben che minimo particolare o rumore le scelte da produrre.
Domande, terminata la fase acuta dell’evento le domande cercano di trovare posto accanto allo sgomento. Eccone qui qualcuna.
Ci siamo tutti?
Gli altri familiari che abitano in un’altra parte del paese come stanno?
Per i vicini è tutto a posto?
Gli amici anche dei paesi limitrofi come stanno?
Cosa è accaduto al di là di ciò che è visibile dal posto in cui siamo?Come può essere accaduta una cosa simile in un territorio ritenuto sicuro dal punto di vista sismico?
Si tratta di cause naturali o anche indotte dall’azione dell’uomo che sta sondando se possibile stoccare gas naturale nel sottosuolo?
Possibile che un terremoto si muova lungo la linee delle vecchie perforazioni per il prelievo di gas?
Come possiamo fare di fronte ad una possibile nuova scossa? Quali sono i principali accorgimenti da adottare?
Quali sono le principali regole di sicurezza alle quali attenersi?
Ci sono le condizioni per continuare a stare qui o è necessario riparare almeno temporaneamente altrove?
Le domande del giorno dopo cominciano ad essere molto più concrete. Eccone ancora qui qualcuna.

  • Come posso riaprire provvisoriamente il mio negozio?
  • Come posso entrare nella zona rossa interdetta al pubblico?
  • Perché non posso rientrare nella mia casa?
  • Come si può verificare l’agibilità della casa?
  • Come si fa ad entrare nelle tendopoli?
  • Possiamo avere dei bagni chimici?
  • Come si fa ad avere delle docce?
  • Come posso fare con una persona anziana?
  • Come posso riscuotere la pensione?
  • Non ho più un documento, non posso dimostrare a nessuno chi io sia, ma esisto ancora?

Le domande sono il punto chiave del processo di riappropriazione del senso di sé come individui e componenti e di una comunità nella quale le scosse hanno riversato un profondo smarrimento. Le domande rappresentano il momento della rigenerazione del pensiero che si inoltra nel giacimento delle risposte che guideranno la ricerca di una nuova normalità costruita sulle macerie e ciò che dalle stesse potrà nascere.

Solidarietà, questa la manifestazione più evidente nei comportamenti delle persone successivamente al terremoto. La necessità di affrontare il disastro che ha colpito la comunità rende forte quel legame morale ed affettivo verso gli altri che la quotidianità aveva reso debole e forse anche cancellato dai tratti del vivere comune. L’aiuto reciproco è nei comportamenti di tutti, per quello che ognuno può fare. Da qui deriva la forza che consente ad una comunità di resistere e di affrontare e superare le avversità, il tempo dei distinguo non è questo, verrà, certo che verrà, ma nella fase della ricostruzione non dell’emergenza. Il paese è quasi distrutto le persone diventano il paese che vive in loro, nei loro ricordi e nel senso confuso del futuro.

Silenzio, questa è una condizione nuova che il terremoto crea. I suoni sono svaniti, le campane non fanno più sentire i loro rintocchi che segnalano diverse momenti della giornata, il suono dell’orologio del municipio non corre più nella notte ad avvertire l’avvicinarsi del giorno, il festosa chiasso delle scuole non c’è più, il fastidioso rumore del traffico si è sopito. Il silenzio sembra si sia impadronito del tempo. Prima viveva solo di notte, ora vive anche di giorno. Entrare nella zona rossa di giorno e non sentire un rumore che non sia quello del vento o del volo di un uccello ripropone lo sgomento iniziale, sembra che tutto sia finito e che nulla si possa fare. Si rischia di disperdere in questo modo il valore del silenzio, tanto cercato nella quotidianità per poter trovare momenti di pausa e riflessione, tanto temuto ora perché sembra avvolgere tutto quasi sotto un lenzuolo funebre.
Occorre avere il coraggio di affrontare questo silenzio, perché è quello che in sé nasconde i progetti del futuro. Se lo si sa guardare con occhi diversi da quelli della paura fa intravvedere come sia possibile reinventarsi a partire da ciò che si è accaduto.

Speranza, è la fonte del futuro, non tanto come attesa di un qualcosa che qualcuno saprà portare, ma come fiduciosa azione per ridefinire il modo d essere comunità. La speranza apre alla fiducia, al senso di affidamento negli altri, apre al dialogo, all’ottimismo, alla comprensione delle differenze, è il germe dei sogni e della progettualità.
Progetti, progettare significa pensare in avanti, significa pensare a ciò che verrà, significa esser consapevoli che il futuro si fa e non si prevede, si fa con le azioni che ognuno produce in ogni giorno, non con gli annunci. La comunità colpita dal terremoto si trova nella necessità di costruire un progetto di vita, non solo di vita per i singoli, di vita per la comunità stessa. Questo significa riprendere a pensare ad un orizzonte desiderato per la comunità ed è questo un passaggio estremamente critico perché la routine di una normalità ineffabile ha contribuito nel tempo a corrodere e deteriorare questa capacità, ora ulteriormente indebolita dall’assorbimento nell’emergenza.

Il paradosso del cambiamento

Così, paradossalmente, il terremoto riveste un lato positivo, perché obbliga tutti, individui e istituzioni, a interrogarsi sul senso delle cose che si fanno e del come le si fanno.
Ed è in questa capacità di interrogarsi e di rimettersi in discussione che risiede la principale risorsa a sostegno della rinascita.
Occorre capire che il mondo è cambiato drasticamente e non potrà più essere come prima. Occorre avere il coraggio di sognare un nuovo orizzonte futuro. Occorre sapersi porre le domande che consentono di immaginare il cammino verso il domani e l’avvenire desiderato. Occorre saper appassionare la comunità su questo percorso in modo da coinvolgere tutte le energie disponibili. Occorre mettersi in viaggio, consapevoli del fatto che la strada da percorrere è lunga e tortuosa, ma anche del fatto che “se lo puoi sognare, lo puoi fare”, Walt Disney.

Questo articolo è apparso anche sulla rivista Persone & Conoscenze

 

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Claudio Baccarani, Dipartimento di Economia Aziendale, Università degli Studi di Verona. claudio.baccarani@univr.it

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