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Il lobbista che gioca in proprio. Sette tipi di manager: 5

di Francesco Varanini 17 Marzo 2014

La sua carriera è anomala. Spesso è un ex Cocco-dell’analista, talvolta un Miracolato o un Complice. Più raramente un ex Manager-come-si deve. Non di rado proviene dalla consulenza, o professioni liberali, avvocato o commercialista; o da una Banca o dalla politica.
Non possiede quasi mai le skill che sulla carta –e secondo l’opinione di professori universitari, consulenti e coach– dovrebbero essere indispensabili al manager, pena l’incapacità di guidare un’azienda.
E questa circostanza dovrebbe farci riflettere: servono davvero al manager queste competenze ‘normali’? Il fatto che il Manager-come-si-deve le possegga, è prova della sua forza, o della sua debolezza? Non contano forse di più altre doti?
Il Lobbista-che-gioca-in-proprio sa che in realtà, di quelle competenze ‘normali’ se ne può fare benissimo a meno.
E’ indispensabile, invece, il pelo sullo stomaco. E’ importante non fermarsi di fronte a nulla, non temere nessuno. In questo il Lobbista-che-gioca-in-proprio è maestro. Lo stesso Complice non può competere con lui. Non c’è gara.
Il Lobbista-che-gioca-in proprio trae il proprio potere dall’appartenere a un sistema di influenze incrociate, a una rete di interessi che si sostengono a vicenda – interessi che ovviamente nulla hanno a che fare con l’interesse dell’azienda nella quale momentaneamente il manager si trova a lavorare: anche sotto questo punto di vista, il Complice ha molto da imparare.
Nel Lobbista-che-gioca-in-proprio la generale tendenza di ogni manager –‘fai innanzitutto il tuo interesse personale’– raggiunge le massime vette. Lui gioca per sé, la sua è una partita personale. Sfortunata l’azienda che si trova a subire in sorte il transito di questi personaggi. Se, in fondo, è vero che per ogni Manager-come-si-deve una azienda vale l’altra, questo è verissimo per per il Lobbista-che-gioca-in-proprio. Se per ogni Manager-come -si-deve è vero che l’azienda è sempre in secondo piano rispetto ai personali scopi ed obiettivi, questo è verissimo per per il Lobbista-che-gioca-in-proprio.
Il Lobbista-che-gioca-in-proprio, gioca a tutto campo. Si muove sul terreno della politica, sia sul versante governativo che parlamentare, sia sul piano nazionale sia sul piano locale. Conosce il funzionamento della macchina giudiziaria, e non ha paura a sfiorare il confine delle norme. Riesce non di rado ad influenzare la stessa produzione normativa. Sfiora anche, quasi con piacere, come per sfida, il confine della giusta aspettativa del Fisco.
Magari a parole si fa vanto di sostenere la libertà di mercato, ma vive nella totale opacità dei salotti e dei sottoscala: le pubbliche concessioni e le situazioni di oligopolio sono il suo pane.
Amara la situazione di una azienda che finisce nelle mani del Lobbista-che-gioca-in proprio. L’azienda, nelle sue mani, non è che una pedina o una fiche, un asset sempre sacrificabile, sempre subordinato a diversi –e personali– interessi. Mentre gli interessi di un qualsiasi altro stakeholder, ovviamente, restano in secondo piano.
Il Lobbista-che-gioca-in proprio gioca su un terreno dal quale l’Head Hunter è escluso. Perciò l’Head Hunter vede il Lobbista-che-gioca-in-proprio un mortale nemico: il Lobbista-che-gioca-in-proprio non non può essere preda dell’Head Hunter. Perché il Lobbista-che-gioca-in proprio si piazza da solo, è l’Head Hunter di se stesso. Dove si afferma una cordata di Lobbisti-che-giocano-in proprio, l’Head Hunter resta senza lavoro. Così come scarsissimo margine di trattativa resta ad ogni consiglio di Amministrazione, ad ogni Direttore del Personale e ad ogni Comitato Retribuzioni: il Lobbista-che-gioca-in-proprio decide da solo i propri compensi, ivi compreso, naturalmente, il ‘paracadute’.
Il Lobbista-che-gioca-in-proprio è dotato di un personale potere che rende forte nei confronti del mondo della finanza: è in grado di contrattare e di difendersi, perché è in grado di mettere in gioco altri poteri: la politica, le istituzioni. Ma alla fine i cordoni della borsa li tiene in mano il mercato finanziario, cosicché il Lobbista-che-gioca-in-proprio, che pure potrebbe opporsi e costituirsi in controparte, scende sempre a patti con gli operatori del mercato finanziario. Fino a che, quale che sia l’origine del Lobbista-che-gioca-in-proprio, finiamo per accorgerci che il Lobbista-che-gioca-in proprio non è che una delle maschere che il camaleontico speculatore finanziario assume quando serve.
Camaleontico e potente, personaggio temuto e riverito, può spostare equilibri consolidati. Facile per lui giocare senza remore la carta che è già nelle mani di ogni Cocco-dell’analista, ma che il Cocco-dell’analista -privo dell’ambizione e dell’istinto del killer che contraddistingue il Lobbista-che gioca-in-proprio- è nella pratica restio a giocare. Se il Cocco-dell’analista potrebbe comprare con denaro reperito sul mercato finanziario l’azienda per la quale lavora, ma raramente si mette su questa strada, il Lobbista-che-gioca-in-proprio perseguirà questa via ogni volta che se ne presenti la minima occasione.

Tratto da Francesco Varanini, Contro il manager. La vanità del controllo, gli inganni della finanza e la speranza di una costruzione comune, Guerini e Associati, 2010. 

 

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