Contributi

Mario Unnia. Un ricordo

di Francesco Varanini 16 Aprile 2016

Sentii parlare per la prima volta di Mario Unnia al termine degli Anni Settanta. Reduce dalla mia permanenza in America Latina, mi ritrovai giovane formatore alla Mondadori. Mario Unnia era un maestro lontano. Non si poteva immaginare un buon percorso formativo senza la sua partecipazione. Non avrei mai pensato allora di conoscerlo come un amico.

Lessi i suoi libri. Vent’anni dopo ero all’Istud. Entrai in relazioni con Mario Unnia. La relazione, al di là dei rapporti di lavoro, si strinse la curiosità di Mario, per la sua ampiezza di vedute. Lesse con attenzione, e volle commentare con me, il mio Viaggio letterario in America Latina.

Intrattenemmo poi rapporti saltuari, per lo più epistolari.

Poi nel gennaio di due anni fa ebbe luogo un incontro, qui alla Casa della Cultura, a proposito del mio libro Le vie della formazione, scritto assieme a Gianluca Bocchi. Mario Unnia era tra i presenti. Mi disse: “Sono venuto per incontrarti. Ho seguito le cose che hai fatto in questi anni. Dobbiamo vederci più spesso”. In quell’occasione, per dire in breve del mio modo di essere formatore, lessi una poesia. Mario mi scrisse qualche giorno dopo, chiedendomi la poesia, perché, mi diceva, “voglio discuterne con mio nipote”.

Di lì prendemmo a vederci di frequente. Mi riceveva dietro appuntamento in quello che scherzosamente definiva “il suo ufficio”: il caffè Savini, in Galleria.

Non si peritava a criticare severamente miei punti di vista che riteneva profondamente sbagliati. Un suo ricorrente argomento era questo: “Tu credi erroneamente che i manager possano essere intesi come missionari. Non è così: i manager sono, e debbono essere, mercenari”. E aggiungeva scherzosamente: “Sei troppo vicino in questo a Pino Varchetta. Pino è un rousseauiano convinto dell’intrinseca bontà dell’uomo. Io invece sono un hobbesiano senza speranze, che non crede in niente”.

Mario non defletteva, non dubitava. Le sue convinzioni erano ferree. Ma ascoltava interessato il mio punto di vista.

E poi teneva una capacità che mi riconosceva, e della quale si riteneva carente. La capacità di organizzare eventi, di tener vive reti di relazioni. Mi diceva: dobbiamo usare questa tua attitudine. Dicendo così anche, non troppo tra le righe, che senza il suo aiuto rischiavo di sprecarmi organizzando incontri di scarso rilievo.

Così, incontro dopo incontro, passavamo il tempo a progettare eventi.

A uno teneva in modo particolare. Mi diceva: “Devi aiutarmi a organizzare questa cosa”. Era uscito Mappa mundi, di Domenico De Masi. Mi spinse a leggere il libro. Poi mi disse che dovevamo soffermarci su una sola pagina del capitolo finale. Lì De Masi si chiede perché gli intellettuali umanisti, europei, mediterranei, non sono in grado di formulare proposte, progetti, di fronte ai cambiamenti culturali e sociali epocali avvenuti negli ultimi anni, cambiamenti che pur dovrebbero essere evidenti agli occhi di un pensatore avveduto. Mi diceva: “Insieme possiamo organizzarla questa cosa. Ce n’è bisogno”. E passavamo il tempo a immaginare l’incontro: un seminario chiuso, un convegno aperto al pubblico. E a immaginare chi invitare in rappresentanza delle diverse figure: filosofi, sociologi, economisti, psicologi, letterati, artisti.

Agli incontri seguivano e-mail secche e brevi. Mario salutava scrivendo: “Buona vita”.

Ogni tanto Mario appariva su Facebook. Una volta aggiunse un commento a un testo che pubblicai sulla pagina dell’Associazione Italiana Formatori. “Sono d’accordo. Ma se continui così sarai espulso”. Un’altra volta Mario, sempre sulla pagina dell’Aif Mario commentò un post dove si diceva scriveva non ricordo cosa a proposito di Adriano Olivetti. Il commento suonava così: “Ecco la conferma che voi dell’Aif non avete capito nulla di Olivetti”. Il commento fu ritenuto da qualcuno offensivo, e quindi cancellato.

Nonostante qualche opinione contraria, avevo invitato Mario a parlare al Convegno Nazionale dell’Aif , nel novembre scorso. Avevamo parlato a lungo del Convegno mentre lo stavo organizzando. Mario non era d’accordo sul tema che avevo proposto: Liberare la formazione. Ma accettò di venire a parlare. Non poté essere presente. Lo ricordai in apertura dei lavori, con qualche parola forse troppo emotiva, perché reagivo infastidito a chi considerava Mario, e a dire il vero anche Pino Varchetta, “vecchiume”, e non li avrebbe voluti tra i relatori del Convegno. Così mi infervorai cercando di dire che senza storia, senza maestri, non si va da nessuna parte. Una manager seduta in prima fila si alzò in piedi, si rivolse verso il pubblico, e disse: “Io questo Mario Unnia non so chi sia. Ma ascoltando queste parole penso fosse una bella persona”. Scoccò l’applauso.

Poco prima, in ottobre, dovevamo vederci. Avevamo da discutere ancora degli eventi da organizzare. Ora Mario pensava anche ad un ciclo di incontri attorno al suo libro L’arte della predizione. Ma si era aggiunto un tema. Mario mi aveva detto: “Se non ti offendi, vorrei insegnarti alcune cose”. In particolare mi propose un tema, di cui si considerava esperto, e che considerava importante per me: la cultura giapponese vista da un europeo. Per questo aveva comprato per me dei libri.

L’e-mail aveva per oggetto “Giappone”. Mario scriveva: “Ho pronti i libri sul Giappone per te, ti propongo di vederci il giorno…”. Ma il giorno precedente all’incontro Mario scrive: “Caro Francesco, ti scrivo per proporti di cancellare l’incontro di domani mattina”. La ragione, spiega, è il peggioramento dello stato di salute. In quello stesso pomeriggio mi scrive della diagnosi precisa. E saluta come lo saluto ora: “Ciao Mario”.

Questo testo  è stato scritto in vista dell’incontro in ricordo di Mario Unnia, promosso dai suoi editori. Copio qui il testo dell’invito.

Dal Metodo Delphi all’Etica degli Affari. Il contributo manageriale, politico, e etico di Marco Unnia, intellettuale d’impresa. Martedì 12 aprile, ore 18, Casa della Cultura, via Borgogna 3, Milano.
Introducono: Domenico De Masi e Giuseppe Varchetta. Immagini di Dario D’Incerti. Modera: Gianfranco Fabi. Intervengono: Piero Bassetti, Emilio D’Orazio, Nando Dalla Chiesa, Remo Danovi, Gianfranco Dioguardi, Enrico Finzi, Dario Forti, Paolo Iacci, Gilda Morelli, Raoul Nacamulli, Emanuela Salati, Giulio Sapelli, Francesco Varanini, Marco Vitale.
Non ho potuto essere presente, quindi ho scritto il mio saluto, che è stato letto durante l’incontro.

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