Contributi

Il libro degli oblii – memorie transoceaniche del contagio. n.8 n.9. n10

di Guido Tassinari 29 Maggio 2021

 

una giurisdizione universale

per quasi quattro lustri ormai sono scorsi tumultuosi e inarrestabili i proverbiali fiumi di inchiostro sul letto scavato dagli attentati terroristici a new york e washington e sul nuovo corso mondiale che essi avrebbero inaugurata ancora procede la ricostruzione del mondo post settembre 2001 ora interruptus ma riprenderà continuando a dare il peggio di sé nel postdelirius attuale, una delle sue opere cardine e potenzialmente fra le più gravide di conseguenze durature e globali è rimasta poco discussa come fosse stata sommersa dal cedimento di dighe dialettiche. all’indomani della tragedia non è un modismo sai che cerco di evitarli quanto la punteggiatura: letteralmente all’indomani, gli stati uniti uniti più o meno tutti tutti, istituzioni imprese cittadini iniziarono a interrogarsi su come risarcire le vittime degli attacchi; quattro anni di lunga seduta di autocoscienza per arrivare alla sua conclusione, che, come in tutti i drammi americani, è avvenuta in tribunale: per la prima volta nella storia, un’intera società anzi community comunità un’altra di quelle belle parole storpiate che quando la sento mi si rizzano i peli, si è fatta carico o comunità, iboh?, di stabilire, in maniera scientifica quanto valga una vita. e non una società qualsiasi, bensì la medesima che, autoassegnatasi una giurisdizione universale, ogni giorno decide il valore della vita nelle altre di società o comunità; globalmente appunto. il processo, lungo e doloroso, era iniziato appena crollate le torri gemelle, quando salpò da tutto il paese una regata di solidarietà fra cittadini e istituzioni per riempire fondi speciali di assistenza a chiunque avesse sofferto per gli attacchi. in teoria a parte la istintiva generosità che sempre si risveglia con simili avvenimenti e a parte l’oggettiva difficoltà di definire con certezza quel chiunque non ce ne sarebbe stato bisogno: le assicurazioni, da quelle dei pompieri a quelle delle aerolinee, avrebbero dovuto coprire automaticamente tutte le richieste di risarcimento. fu però subito chiaro che né gli argini delle compagnie assicurative, né quelli dei suoi principali assicurati, in primis proprio le aereolinee, avrebbero potuto reggerne l’urto da sole. il mio allora suocero e suo fratello in posizioni diverse avevano ruoli di consulenza in quell’industria e la raccontavano come traballante ai venti come mai, ancora più di adesso forse, e che vari settori industriali sarebbero annegati sotto la marea di cause attese. il parlamento varò d’urgenza lo air transportation safety and system stabilization act, cioè sussidi alle compagnie aeree, come oggi, con tre scopi: assistere i settori aereo e assicurativo; centralizzare tutti gli aiuti, pubblici e privati, in un unico fondo; evitare che ci fosse una piena di cause di risarcimento nei tribunali. a questi fini, a capo del victims compensation fund venne nominato uno special master, che bel nome, no? chi non vorrebbe nella vita essere una volta uno special master?, che avrebbe avuto voce definitiva e inappellabile sulla distribuzione dei risarcimenti, e chi avesse deciso di sfidare la ventura nella navigazione fra corti di tribunale, l’avrebbe potuto fare solo rinunciando preventivamente al riparo del fondo. lo special master, schivando ogni genere di periglio, infine giunse dopo quattro anni a una decisione, una di assoluta rilevanza, oltre che per i diretti interessati, per quello che rivela del nostro nuovo mondo, dal nuovo mondo arriva il nuovo verbo per il nuovo mondo, no?: a ogni vittima venne riconosciuto un uguale ammontare, un quarto di milione, per dolore e sofferenza, più una somma differenziata in proporzione al tenore di vita anteriore intaccato dagli attentati, che calcolata e ricalcolata, per questo ci volle tanto tempo per raggiungere un verdetto definitivo, variava da un terzo di milione a cinque milioni. ossia che l’intera società o comunità, non una compagnia assicurativa, non una corte, decise in definitiva, del valore di ogni vita e che questo valore sia proporzionale alla ricchezza accumulata e che quindi la vita di un americano ricco valga fino a tredici volte di più di quella di uno povero. e come dicevo all’inizio, questo principio potesse divenire timone e faro globale e universale; sicché un afgano o pakistano collateralmente danneggiato da un missile male mirato si possa risarcire con un centinaio di dollari, e non in quanto non americano, come si sente dire di solito ma in quanto povero. da quasi quattro lustri viviamo in questo mondo nuovo ma magari non ce n’eravamo accorti perché guerre carestie epidemie erano lontane. senza bisogno di ojalà quale pensiero cospirativo, quante volte in questi anni ho pianto e mi sono inferocito quando qualche amico italiano mi diceva eeeh ma gli americani eeeeh gli americani eeeh sai come sono ma quelle torri le hanno abbattute da sé, e io a dirgli guarda che i miei figli sono americani quindi sono americano anch’io se insulti loro insulti me, ma vabbè.

 

 

bambini! competete!

non sempre ci si è preoccupati molto di dare un’educazione o meglio un’istruzione competitiva ai propri figli o ancora meglio nel metterli nelle migliori condizioni per potere competere ossia primeggiare, attraverso l’accumulazione di titoli di studio. e di conseguenza, ah oddio che paura, temere che perdano il passo che rimanendo fuori anche solo per un tempo dal circuito scolastico ojalà cosa mai gli potrà capitare ojalà se riusciranno mai a recuperare, cioè a essere di nuovo competitivi come si sperava. sperava chi poi ojalà, i bambini direi di no. almeno non nella mia famiglia. certo, la madre di mia madre era orgogliosa prima femmina della nostra stirpe di non essere analfabeta, era persino arrivata alla seconda elementare anche se cresciuta fra francia, era nata a lione, calabria dove aveva studiato si fa per dire belgio e ciociaria dove si era sposata e parlava una lingua tutta sua spesso inintellegibile. ecco se le avessi detto inintellegibile probabilmente mi avrebbe preso a colpi del mattarello con cui stendeva delle sfoglie per fettuccine da sogno le rare volte che le veniva voglia. comunque tutti i giorni parlava con la madonna mica da tutti, no?, s’incontravano di solito ella e la vergine sulla via del cimitero e pareva si capissero almeno fra loro. anche il suo marito che andava a visitare al cimitero ojalà perché che da vivi non è che lo sopportasse molto era molto colto essendo arrivato durante la grande guerra per merito della grande guerra in un certo senso che aveva passato fra trincea e campo di prigionia, aveva pure una medaglia al valore a casa che mi mostrava ridendo essendo riuscito a scappare dalla reclusione in austria che poi forse era germania, iboh era talmente spaventato che manco lo sapeva dove fosse e non lo aveva fermato nulla, quando era in trincea sparava per aria che a lui di ammazzare qualcuno non è che sembrasse proprio una cosa ragionevole questo te l’ho già detto lo so, però non ho aggiunto un chiamiamolo dettaglio: al tempo l’infame cadorna scrisse anche per chi arresosi vigliaccamente vigliaccone che era lui, riuscisse a cadere vivo nelle mani del nemico seguirà immediatamente il processo in contumacia e pena di morte a guerra finita cui seguirono trecentotrentamila processi per crimini militari con quattromila condanne a morte e queste dopo da obbrobrio a obbrobrio la pratica della decimazione messa in atto all’ammutinamento di alcuni reparti cioè ne prendo uno su dieci a caso e l’ammazzo niente male gli italiani brava gente, no?, scampato fuggito a tutto ciò nonno biagio da persone colta riuscì a completare la sesta, pensa tu. poi, era molto orgoglioso che la sua ultima figlia, mia madre, fosse arrivata a finire il liceo scientifico, la prima di tutta la nostra gens, negli ultimi anni prima della maturità ogni mattina le portava il caffè a letto prima che andasse a scuola. e mia madre era molto contenta del caffè a letto, chi se lo sarebbe mai aspettato, durante la sua infanzia era stata tutto fuorché riempita di attenzioni, e meglio così, il periodo più bello della sua vita, ha sempre sostenuto, è stato quello del campo profughi, prima fuori cremona, poi fuori roma, quando non riuscivano a avere indietro la casa, ma di questo scriverò un’altra volta, quando non c’era la scuola, giusto qualche lezione di massa e i genitori erano tanto affaccendati nelle loro cose da risultare invisibili, mentre il periodo più brutto fu tornare a avere una casa, a nove anni, andare a scuola la mattina e per il resto del giorno essere confinati fra quattro mura con la madre, che faceva lavoro agile, cioè la sartina su commissione con la sua singer finalmente riappropriata, e le scassava le scatole da mane a sera. unica distrazione che per fare quadrare i conti affittavano sempre una stanza, che non è che air’b’nb si sia inventata ‘sta gran merda è pratica antica sempiterna e direi universale di condividere la propria abitazione di chi è fortunato di averne una. poco dopo essere rientrati a roma per esempio andò a abitare da loro lula, una sartina che veniva dall’albania purtroppo raggiunta in qualche mese dal marito ubriacone violento senza lavoro che il confinamento in casa ha sempre fatto danni anche questa mica è una novità. i miei nonni li mandarono via o forse fu lula che decise di andarsene nessuno se lo ricorda bene e terminarono in francia. anni dopo la mia famiglia seppe che lula che intanto era diventata operaia di fabbrica un giorno uccise il marito venne processata e assolta per giustificata causa, un delitto d’onore al contrario ah quanto era avanti la france lumière!

 

 

vari, plurale di varo

louise, la madre di mio suocero, una sua bella bisnipote quasi gemella del mio primo figlio manu si chiama emma louise in suo onore, figlia di un ammiraglio della marina militare, era nata poco prima della grande guerra. pochi anni dopo la fine della grande guerra, grande poi ojalà perché, e della fine della febbre o influenza spagnola, adesso si direbbe della prima pandemia globale che non è vero perché ce ne sono state molte altre prima e dopo, ma vabbè, venne mandato come attaché militare dell’ambasciata americana in cina, a shanghai. a casa sua, cioè della madre di mia suocera c’erano, fra tante, delle foto di suo padre con chiang kai-shek, il capo supremo del kuomintang, agli albori della guerra civile cinese, che dopo vent’anni, e la grande marcia guidata da mao, avrebbe portato all’instaurazione del moderno stato cinese, cioè uno dei due ma sorvoliamo. dopo la suddetta guerra, quella cosiddetta grande, cioè, e la suddetta febbre, con lo sgretolamento dell’impero britannico in corso, gli stati uniti iniziarono a prenderne il testimone come guardiano dell’imperialismo occidentale, e il ruolo dei militari americani a crescere di importanza, riprendendone, con tratti un po’ simili, un po’ diversi, lo stesso atteggiamento verso le cosiddette razze inferiori, cosiddette da loro, ché molto prima dei tedeschi la teorizzazione e classificazione delle razze e i conseguenti deliri eugenetici come si sa nacquero nel mondo anglosassone e nella civilissima svezia molto prima che nella germania hitleriana. shanghai al tempo, non c’erano grattacieli come ora, non era una megalopoli, come ora, era considerata dagli americani, dagli europei, dai giapponesi, dagli imperialisti tutti, la capitale del vizio. un giorno, la marina militare americana doveva varare una nuovissima e potentissima nave da guerra, proprio nella baia di shanghai. la tradizione voleva, vuole che per il viaggio inaugurale, il viaggio della sposa, la nave, che si unisce al suo sposo, il mare, avete mai riflettuto sul fatto che tutte le parole che hanno a che fare con i corsi o specchi d’acqua sono maschili e tutte quelle che definiscono le imbarcazioni sono femminili?, anche in inglese, che pure ha perso quasi del tutto il genere per i sostantivi, è così; vabbè, comunque, in inglese c’è un’espressione proprio proprio romantica per definire il varo: maiden voyage, che magari conosci per l’omonima composizione di herbie hancock, e che letteralmente potrebbe tradursi come primo viaggio della signorina o dell’illibata; la tradizione vuole, voleva, appunto, che il lancio della proverbiale bottiglia contro la chiglia prima dell’ammaraggio venisse appunto eseguito da una signorina illibata. venendo considerata l’intera popolazione cinese di shanghai inadeguata, per così dire, in quanto viziosa a prescindere, si trovò a schiantare il bottiglione di champagne contro la luminescente nave, la futura madre di mio suocero, diventata poi bisnonna luoise per i nostri figli, simpaticissima, quando avevo comprato uno scassone di fiat 124 decappottabile volle subito novantenne venire a farsi un giro a farsi pettinare dal vento, diceva che da ragazza era bellissima, mai dubitato, mai dubitato io, cioè, allora decenne e quindi di indiscutibile virtù, in quanto americana, cioè.

 

- ha scritto 20 contributi su Bloom!.

Ho quarantatré anni e ho fatto tanti mestieri, a Milano e in giro per il mondo: camionista, imbianchino, strillone, bambinaio, clown, venditore di cinture, osservatore Onu, esperto di aiuti umanitari, valutatore di politiche pubbliche, aperto una scuola di italiano per stranieri poveri e una di cucina per americani ricchi, scritto libri.

© 2024 Bloom!. Powered by WordPress.

Made by TOCGRS from the great Daily Edition Theme