Contributi

Lavorare con le persone. E partecipare alla danza del cambiamento

di Davide Storni 18 Aprile 2012

Mi occupo di cambiamento in contesti complessi, quindi soprattutto di come le persone modificano  il proprio atteggiamento verso il futuro del proprio lavoro.
Ho lavorato con tanti gruppi, a volte di top manager, a volte di semplici magazzinieri. Ho avuto la fortuna di incontrare tante persone orgogliose del proprio lavoro e con la voglia di poter fare meglio. Ho scoperto per via che molto spesso la resistenza al cambiamento era dovuta al mio modo di pormi rispetto ad un progetto o ad un gruppo di persone (quando non dovuta a malafede o a malintese logiche di potere).
A volte sono riuscito a dare un piccolo contributo di metodo e soprattutto un aiuto a comprendere i possibili scenari e quindi a facilitare processi di cambiamento, personali e organizzativi.
Mi piace l’idea di condividere alcune delle cose che ho imparato con gli amici di Bloom.
 
1. Lavorare con le persone significa prima di tutto riconoscerle, ovvero accorgersi di loro, delle loro specificità e delle loro aspettative
Se rimaniamo ancorati ai nostri ideali e ai nostri metodi, rischiamo spesso di limitarci a trasmettere dei concetti che, il più delle volte, rimarranno completamente estranei alla vita delle persone che ci ascoltano (sempre che ci ascoltino).
Riscontrando il basso livello di ascolto delle persone, reagiremo riaffermando la validità del nostro metodo e ributtando su di loro il problema: la resistenza al cambiamento.
Se invece riusciamo ad aprirci a quando sta fuori di noi, ad “accorgerci” della realtà e dei sentimenti delle persone con le quali interagiamo, comincerà un percorso di reale conoscenza, molto spesso reciproco.
Analizzarci attraverso il modo in cui entriamo in relazione con gli altri è un percorso di cambiamento personale, prima che organizzativo. È anche un passo indispensabile per aprirci al nuovo e per comprendere la danza del cambiamento che esiste comunque, al di là dei nostri sforzi e delle nostre convinzioni.
Questo livello di comprensione di permette di influire sul processo di cambiamento in modo sorprendentemente efficace, anche se  in modo assai diverso da chi tende ad imporre la propria visione agli altri.
Riconoscere le persone significa allora aprirsi alla scoperta di un mondo distante e alieno, di un mondo nuovo e arricchente per noi. E specchiarci in loro.
Sospendere il giudizio e ascoltare, ascoltare, ascoltare come primo passo per aprirsi al nuovo che, statene certi, vuole emergere.
 
2. Il ruolo del facilitatore consiste nel definire ambiti e nell’aiutare lo sviluppo di scenari
Al posto di propinare ricette e best practice, l’esercizio dell’ascolto ci consentirà di aprire canali di confronto vero e autentico e di favorire un cambiamento reale e duraturo (open heart).
Il nostro contributo al cambiamento, almeno questa è stata la mia esperienza, consiste allora nell’aiutare le persone ad allentare le proprie difese e ad aprirsi ai possibili futuri che proprio ora, proprio in questo momento, vogliono emergere. Perché il futuro è già qui presente, ovvero molteplici futuri sono già qui presenti. Poi starà alle nostre scelte influenzare il futuro che potrà manifestarsi. (open will).
Avere la capacità di lavorare su scenari diversi consente di sviluppare il senso di attenzione agli effetti che le nostre scelte potranno ingenerare e  conduce a scelte responsabili e condivise. La libertà allora si configura come consapevole sviluppo di possibili e solo in parte prevedibili futuri.
Lavorare sul futuro implica anche la capacità di sviluppare nuove possibilità, altrimenti è solo un gioco di imposizione. L’apertura di nuove possibilità è alla base della libera scelta e dello sviluppo di innovazione. Senza la pensabilità positiva rispetto a possibili nuovi futuri, non vi è infatti speranza e non vi è energia. Quindi non esiste cambiamento, se non subìto.
Il desiderio e il sogno sono due motori importanti per aiutare il processo di sviluppo di nuove possibilità. Purtroppo, soprattutto nell’ambito lavorativo, le persone sono  indotte a rispettare le regole e a stare al proprio posto, non certo a sviluppare i propri sogni e desideri. Questo comporta un generale senso di frustrazione e di impotenza che non è facile sradicare. Mi è capitato più volte, lavorando con i gruppi, che stimolati a pensare avanti e a sognare le persone reagissero con sorpresa e incredulità: la domanda che dopo un po’ emergeva era sempre la stessa, “sarà vero?”.
Invece lo sviluppo dei propri sogni è un motore importante per stimolare l’innovazione: Steve Jobs non era un informatico, era un utente sognatore e proprio per questo ha apportato un grande cambiamento in quai tutti i settori dove ha operato.
Certo in azienda esistono dei limiti al sogno, ma aiutare ad identificare i limiti non significa apportare frustrazione, quanto piuttosto aiutare a sviluppare nuova consapevolezza e nuova efficacia. È questo che chiamo aiutare a definire il quadro di riferimento. Perché i sogni che si realizzano, si realizzano nell’ambito di un sistema di vincoli che bisogna saper conoscere e capire, volendo andare oltre.
 
3. Destrutturare per poter far emergere il nuovo
“Se lo credete e ne siete sicuri, sappiate che avete ancora molta strada da fare. Essere sicuri e credere sono stadi da superare, sul cammino che conduce alla conoscenza.”
“Voi siete il vostro stesso ostacolo. Liberatevene!”
“L’apprendimento reale si manifesta quando la mente comincia a svuotarsi di tutte le idee che ci si fa di ogni cosa.”
Questi tre proverbi Sufi ci indicano il cammino personale di chi, volendo aiutare gli altri a cambiare, deve porsi nelle condizioni di aprirsi a sua volta al nuovo e alla scoperta.
La fatica e la bellezza del mio lavoro consistono proprio in questo, nel viaggio di scoperta personale che rappresenta il patto con le persone le quali accetteranno di partecipare con te alla danza del cambiamento solo se percepiranno la tua disponibilità a parteciparvi.

Autore

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Consulente e facilitatore, lavoro per primarie aziende del settore dei servizi. Socio fondatore di Bloom

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