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“Io non so proprio come farai”. La differenza come stimolo al cambiamento organizzativo

di Anna Deambrosis 04 Giugno 2013

“Io proprio non so come farai, io non saprei proprio come fare”. Queste le parole di un mio collega ad un incontro di assessment collettivo. Febbraio 2008. Dopo 2 mesi sarebbe nata mia figlia.
Il mio collega era veramente preoccupato e veramente non sapeva come avrei potuto fare ad assentarmi dal lavoro per maternità.
Il mio collega infatti non aveva mai provato a pensare come agire diversamente da come aveva sempre fatto, a come stare in azienda in modo alternativo, a come lavorare con le persone e non per mezzo delle persone. Non aveva mai avuto nessun bisogno di agire modelli diversi, di trovare altri modi diversi di fare perche’ il modello di riferimento era conforme a lui: capo che ne sa di piu’ degli altri, capo che decide tutto per gli altri, capo che lavora piu’ di tutti.
Punto primo: la diversità ha stimolato l’innovazione organizzativa.

Per la verità nemmeno io lo sapevo. Nel senso che avevo lavorato nei mesi precedenti perché le persone diventassero capaci di lavorare senza di me, almeno fino a un certo punto, ma come poi sarebbe andata a finire, questo proprio non lo sapevo.
Punto secondo: i cambiamenti non possono essere piu’ di tanto programmati, occorre preparare il terreno e poi farsi trascinare dalla corrente senza resistere, solo badare alle rocce e cercare di scansarle.

L’idea di creare un ‘direttorio’ in mia temporanea vece, fatto solo dai miei riporti diretti, aveva creato malumori e vertigini. Il mio capo in ogni caso ha voluto un sostituto in mia assenza e noi l’abbiamo individuato. A conti fatti, non l’ha mai usato.
Punto terzo: non e’ occorso fare altisonanti proclami di cambiamento che tanto spaventano tutti anche noi stessi. Molto meglio scorrere e poi girarsi indietro e dire: hai visto dove siamo arrivati? Hai visto che non ti e’ occorso un sostituto?

E poi tempus fugit, rientro rapidamente in azienda e, meraviglia, nessuno più mi cerca, mi sono riappropriata del mio tempo. Passo il periodo più leggero della mia vita professionale. Un mio collega va dal capo a dirgli che proprio con me non si può lavorare perché esco presto la sera. Il mio capo gli dice: si vede che si organizza meglio di te.
Punto quarto: la qualità del lavoro non é ricercata percheé un manager non stressato non risponde al modello, anzi si sente in colpa. Una donna che non cade in trappola, persegue la qualità del lavoro per guadagnare tempo.

Ma le risorse sono limitate e così mi aggiungono incarichi. In particolare la responsabilità di un altro settore
Punto quinto: un sistema tendenzialmente cerca di sopravvivere, se gli si propongono nuove soluzioni vanataggiose le adotta ( ma bisogna lavorare perché succeda).

Come si sta ora? Non dovrei dirlo io, ma le persone che lavorano con me. Ci sono difficoltà comunque, tante. Gli schemi rigidi e precostituiti sono rassicuranti versus un’organizzazione del lavoro condivisa e responsabilizzante.
Il punto però è che non ci sono alternative. Al giorno d’oggi un capo centralizzante, esercitante il potere, campeggiatore d’ufficio fino alle ore tarde, decisore centrale, detentore della conoscenza assoluta, dispensatore di promozioni e grazie ha buone probabilita’ di scoppiare, e di danneggiare l’azienda e chi ci lavora.

A posteriori, posso dire che il cambiamento era in atto in me. Per tanti anni avevo soffocato questa ambizione perche’ “non me lo potevo permettere”, e perché non avevo mai avuto colleghi, ovviamente maschi, in questa situazione. Avrei potuto continuare a soffocarlo, forse sarebbe stata “la cosa piu’ consona” agli occhi del mio collega. Invece così non è andata ed è stata la disconuità, la differenza a creare delle possibilità: trovando una via per farlo senza compromettere il lavoro come di solito avviene in questi casi, cioè come salvaguardare le due parti di identità.
La soluzione non è stata individuale, ma è passata da un cambiamento di politiche organizzative in azienda, ponendolo come questione non personale ma di rilevanza aziendale. Dopo, questo modo è diventato un nuovo paradigma organizzativo per l’azienda, che me lo ha fatto estendere ad altre realtà e mi ha dato altre responsabilità. Così si è determinato un cambiamento nella cultura aziendale.

Queste riflessioni sono state fatte da Anna Deambrosis durante l’incontro alla Libreria delle Donne di Milano ‘Manager in bilico sull’orlo del potere’, per discutere i temi del libro Le donne il management la differenza. Anna ha parlato in altre occasioni di come ha riorganizzato la struttura di cui è responsabile a partire dalla sua maternità. (Su Bloom si può vedere questo suo precedente contributo).  Proponiamo anche questi pensieri perché focalizzano diversi aspetti di management, affrontati da Anna in modo nuovo. Anna ci dà così un’idea della complessità che una situazione organizzativa consolidata comporta, delle resistenze che attiva. Possiamo notare come la complessità è affrontata in modo (apparentemente) semplice. Ma “la semplicità è difficile a farsi”. Una donna che guarda dalla sua prospettiva può vedere possibilità impensabili. (Commento di Luisa Pogliana). Vedi questo stesso testo  su www.donnesenzaguscio.it). 

 

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