Da pochi anni ho iniziato a viaggiare per lavoro. Un giorno ho spiegato al mio titolare che in quell’estate avevo studiato il cinese, l’ho dimostrato con qualche vendita e lui, senza tanti giri di parole nè pacche sulle spalle, mi ha detto “Bene, in Cina allora vai tu”.
Al primo viaggio ero accompagnato un suo socio, un “veterano” dell’oriente, oltre vent’anni di trasferte e in quella città in particolare. Mi racconta di averla vista crescere da risaia a centro del business in quel poco tempo.
Atterriamo. Grattacieli, autostrade a sei corsie, cavalcavia che si incrociano e diventano calvalcavia sopra cavalcavia, tunnel ,rampe….
Prendiamo un taxi, lui mi guarda “no, no, lascia stare, chiamiamo l’albergo che ci manda l’autista”. Arriva una Mercedes nera e lasciamo le vecchie Toyota e Kia dagli improbabili colori ai loro viaggi di routine.
Scambio qualche parola con l’autista per avere un primo contatto con la lingua al di fuori dell’italia. “Parli cinese?!” E’ sorpreso, davvero incredulo. Spiego come e perché, lui mi parla con quella che capisco essere la cadenza della sua regione, molto diversa da quella che si parla in tv, nei cartoni animati o nei CD che ero solito studiare. Mi spiega che nel Fujian si parla così, come se io spiegassi ad un cinese che da Bolzano a Palermo l’italiano non è proprio la stessa cosa. Siamo in albergo e si sbrigano le pratiche in uno stentato inglese dell’addetto alla reception.
Ci riprendiamo dal volo ed è già ora di cena. Il cliente ci manda un SUV sulla porta dell’albergo e ci ritroviamo al trentesimo piano in un ristorante pieno di cinesi in giacca e cravatta. Si fa tutto in inglese ma scambio ugualmente qualche parola con manager, nipoti del proprietario di quella ditta, cerco di cavarmela come posso mentre il “veterano” mi spiega come funzionano certi cerimoniali a tavola. Aragoste, gamberi, granchi, vino importante. Alla fine della cena abbiamo concluso qualche buon affare, raccolto e fatto qualche promessa. Sulla via del ritorno il collega mi spiega tutto quel che sa di quel luogo, tutto quello che ha visto e mi sembra tutto molto interessante e anche un po’ avventuroso.
Ma ho un dubbio: la Cina è solo bei ristoranti e macchinoni?
Ci salutiamo per andare a dormire ma io, armato di un vecchissimo smartphone con lo schermo rotto riciclato da un cassetto dell’ufficio (unico telefono che mi permettesse di scrivere i caratteri cinesi), qualche yuan in tasca e l’indirizzo dell’albergo scritto su tre fogli diversi, provo ad uscire. Sono le 10 di sera, solo, per strada, in Cina. Fermo un taxi, una baracca gialla e viola con una sinistra bombola del gas che spunta da sotto al sedile del passeggero. “Per favore, mi porti a comprare del te'”.
L’auto parte e in 10 minuti stracciamo il codice della strada almeno dieci volte. Stiamo per investire un ciclista che si lancia da destra a sinistra, imparo il mio primo insulto in cinese, ci infiliamo fra due auto in coda, creiamo tre corsie dove ce ne sta solo una, spaventiamo dei bambini che avrebbero voluto attraversare e che sono costretti a retrocedere.
Per l’equivalente di due euro arrivo al negozio. Qui è pieno di negozietti e mi accorgo che i proprietari ci vivono dentro, alcuni stanno per chiudere e preparano il letto.
Entro nel negozio di te’. “Un alieno è appena sbarcato” sembrano pensare una carinissima ragazza, una decisamente bruttina e un anziano seduto ad un tavolo. Arranco un po’ con la lingua ma arriviamo al dunque. Faccio un po’ l’orecchio alla loro parlata e dopo 3 ore sono ancora li’ a quel tavolo mentre assaggio tutti i tipi di te’ della Cina discutendo di vino, cucina, e calcio. Sono loro che mi hanno stereotipato.
Esco carico di sacchetti in mano e teina nel sangue. Accendo il GPS e cerco “persone vicine” sull’equivalente del facebook cinese. Lancio qualche “ni hao” e ricevo risposta. Una prostituta, uno che ha delle prostitute da proporre e una ragazza che afferma di essere fuori con amici. Scelgo la terza e, senza pensare troppo, raggiungo il posto in cui si trova. Sono al tavolo di un bar a bere birra calda e vino ghiacciato, unico occidentale del locale e, probabilmente, nel raggio di qualche chilometro. Passano persone che mi squadrano, mi salutano, “ma parli cinese?!”, mi chiedono una foto. Sono le 5 del mattino, usciamo e andiamo sul molo li’ vicino. Ci fermiamo a mangiare animali fritti su cui non faccio nessuna domanda, sto al gioco e mangio. Trovo un taxi non so come e saluto tutti.
L’effetto della teina e’ svanito, rientro in albergo, incrocio il mio collega che va a fare colazione “già sveglio?”
“ehm….si”
“non me la racconti giusta, ma dove sei stato?”
Penso al taxi, ai quasi incidenti, al tavolo da te’, al molo, agli animali fritti, alle foto da star.
“In Cina”.