Ancora in Cina, me la sono conquistata questa meta. Adesso i clienti vogliono parlare solo con me. Dimostro qualche anno meno dei miei 30 e mi credono il figlio del mio titolare 40enne. Gerarchicamente sono un loro pari, sono il figlio del “lao ban”, sono l’erede al trono.
Accorcio sempre di più le cene e allungo sempre di più il tempo per visitare il posto.
Ricordo i consigli ricevuti nello scorso viaggio. Riesco a prendere un traghetto che mi porta sull’isola antistante la città.C’è il parco, la spiaggia, una statua di 30 metri scolpita nella scogliera, il trenino (le auto non sono ammesse qua), i mercatini.
Si contratta sul prezzo come solo in Cina si può fare. Ci si prende a male parole, si sbuffa, si urla, si fa finta di andarsene e poi tutti felici si conclude, “cheng jiao” , affare fatto.
Vago per minuscoli vicoli fra case e negozietti con anziani che puliscono polli e pesci lungo la strada, faccio attenzione alle pozze di sangue e procedo all’esplorazione.
Mi chiamano, è un numero cinese. E’ Mei Shan, “bel corallo” letteralmente, la figlia di un cliente. Mi invita a mangiare un “huo guo”, il tipico pentolone cinese, una specie di bourguignon orientale. Riprendo il traghetto non senza qualche difficoltà nel capire gli orari (qui i cartelli sono tutti in cinese, non si scappa).
Mi aspetta sul molo, passeggiata fino al parco. Esiste un parco qui. Nessuno me lo aveva detto, ma cosa ci sono venuti a fare per vent’anni qui i miei compaesani?
All’interno scorre un viale in pietra con luci colorate dal pavimento, ai lati fontane e ruscelli che vanno dritti al mare poco distante. Anziani che ballano e che eseguono esercizi di Tai Chi, giovani che corrono, bambini che giocano. Una bambina di sette/otto anni mi chiede una foto, prova a chiedermelo in inglese e balza all’indietro spaventata quando rispondo nella sua lingua.
Mangiamo lo “huo guo”, usciamo che è tardi ma ci sono ancora tante bancarelle piene di cibo di strada.
Qui si mangia a qualunque ora, davvero. Faccio domande e “bel corallo” mi cita un proverbio cinese “i cinesi mangiano tutto quello che ha le zampe, tranne i tavoli e le sedie”. Sto zitto e assaggio tutto quello che lei mi dice essere “sicuro”.
Potrebbe portarmi nel ristorante extralusso ma ha capito cosa mi piace davvero.
Rientriamo, è tardissimo, domani ho un sacco di appuntamenti di lavoro.
Il giorno dopo parlo con un vecchio commerciante italiano della mia città. Viene qui da trent’anni.
Gli racconto che sono stato ad “hai wan gong yuan” a mangiare lo “huo guo”, c’erano le luci, i ruscelli, poi sono stato sulla “gulang yu”, l’isoletta.
“Eh!? Ma che posti sono!? Ah, forse sull’isoletta una volta ci sono stato. Che schifo, c’era la gente che puliva i pesci per strada. Una puzza….”
“Ma la spiaggia, la statua, il panorama…”
“Ah si? C’e’ la spiaggia? No, allora forse io sono andato da un’altra parte, comunque dopo dieci minuti sono scappato e me ne sono tornato in albergo”
L’importante è tornare in albergo. Il tragitto aeroporto-albergo-ristorante-albergo-aeroporto è il loro viaggio in Cina.
Bevo qualcosa con questo commerciante che mi dice “eh si, la Cina la conosco bene”
Mi guardo intorno, siamo nella hall di uno Sheraton bevendo prosecco.
“Certo, la conosci proprio bene”.