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Lo smartworking ai tempi dell’idiotworking

di Luca Frediani 16 Agosto 2020

Sembrava che il mondo potesse svegliarsi all’improvviso e condurci di botto nel 2020 pur essendo già nel 2020. C’erano tutti i presupposti per finirla di andare in ufficio a fare la contabilità, stampare email, fare fotocopie e portare caffè da una stanza all’altra.

Esiste infatti ancora gente che fa timbrare il cartellino agli impiegati, che conteggia le ore fatte e persino che si vanta di essere stato in ufficio 12 ore. Come se fosse un vanto l’essere imbecilli.

Il working dell’idiota

Nel 2020 che riporta il calendario ci sono individui che misurano il lavoro in base alle ore trascorse dentro un ufficio, non importa se dentro l’ufficio poi si è stati a guardare il soffitto per 7 ore e 50 minuti e solo per 15 minuti si è fatto qualcosa di utile. Loro saranno fieri dei propri dipendenti perché hanno lavorato 8 ore e 5 minuti.

Nel 2020 reale, se l’essere umano medio fosse un organismo evoluto dal punto di vista cerebrale, il dipendente se ne sarebbe andato a casa dopo 10 minuti e forse nemmeno avrebbe dovuto presentarsi, visto che internet ormai ce l’ha anche il paesino più sperduto dell’appenino umbro.

La paga oraria

Anche i contratti collettivi non aiutano molto. Infatti questi prevedono una paga oraria calcolata, appunto, su un numero prestabilite di ore. Il concetto di base è dunque “valgono di più 8 ore a bere caffè che 10 minuti a firmare un contratto milionario”. Geniale.

E gli operai? Come si fa non guardare l’orologio quando si tratta di eseguire un lavoro che deve essere per forza di cose svolto in loco? L’orario è una scusa per chi non è in grado di valutare il lavoro, non è capace di stabilire obbiettivi e di pianificare la giornata. Si entra alle 6 e si esce alle 16, basta.

Sarebbe troppo faticoso stabilire che “oggi si deve arrivare fino a qui, se ci vogliono 6 ore, si va a casa dopo 6 ore, se ci vogliono 8 ore, dopo 8”. Sarebbe faticoso perché richiederebbe capacità di organizzazione e di pianificazione che preferiamo non imparare. Sarebbe necessario programmare obbiettivi raggiungibili in una giornata lavorativa, anziché sparare a caso e confidare che sia il tempo a realizzare l’obbiettivo per noi.

L’uso del PC

L’uso del PC dovrebbe essere la base dell’afabetizzazione di ogni bambino. Se fossimo realmente nel 2020.

Invece ci spacciano per grande progresso tecnologico l’uso delle LIM, una specie di proiettore tale e quale a quelli che si usavano ai tempi dei fratelli Lumiere. Solo che non si proietta tutto il giorno l’arrivo del treno.

trova le differenze

In un paese di, e governato da, analfabeti informatici, non ci si può aspettare molto di più.

Stiamo a parlare di smartworking e non abbiamo le persone formate a usare una risorsa così importante. Internet, fibra, satellite, cellulari, arrivano dappertutto. È come se avessimo costruito le strade e non avessimo nessuno con la patente.

La passione per i fogli di carta

Ogni giorno mi affascina la passione che hanno le persone per i fogli di carta. C’è persino chi dice “non leggo l’ebook perché mi piace la carta”. Cioè, non sei in grado di concentrarti sul testo e hai bisogno dello stimolo tattile per capire che stai leggendo un libro? Forse perché leggi libri di merda che non ti prendono abbastanza.

Alle persone piace archiviare fatture, documenti di ogni genere in giganteschi faldoni che vengono caricati sull’ultimo degli impiegati e trasportati da una parte all’altra dell’ufficio.

Ma farne una scansione, archiviarla su un server e averli disponibili al volo per tutti è così difficile?

Lo smartworking

Il Governo ci spinge verso lo smartworking, lavorare da casa con una connessione internet, questo singnifica anche non avere orari, cartellini da timbrare né traffico da affrontare ogni mattina. Non sarebbe nemmeno necessario vestirsi, lo smartworking non sta a guardare se sei in mutande o in giacca e cravatta. Lo smartworking è “smart” ed è superiore a certe convenzioni da cervelli malati.

Solo uno stupido conta le ore e guarda come sei vestito. Lo smartworking, invece, è “smart”, è intelligente.

La scuola

Mesi di scuola a distanza hanno evidenziato uno dei problemi più grandi dello smartworking: l’ignoranza.

Ci sono genitori (si parla di scuola elementare quindi tutti nella fascia 35/45) che non sanno come fare una videochiamata, non sanno installare una app che non sia Facebook o Tik Tok. C’erano i bambini, per fortuna (?), a darsi da fare e sono loro che forse ci hanno capito qualcosa.

Ci si sono messi pure gli pseudo scienziati del registro elettronico a fare casino. Stanze per la chat in cui non si entrava, caricamenti dei compiti che non funzionavano.

Come si può pretendere di lavorare in smartworking se tutto ciò che ci circonda è idiota?

La retorica dello sporcarsi le mani

Diceva Antonio Albanese in “Come un gatto in tangenziale”: “la retorica dello sporcarsi le mani è un alibi per farvi i cazzi vostri… perché non sapete fare niente”.

E quindi insistere nell’elogio dell’impiegato o dell’imprenditore che ha lavorato oltre l’orario di lavoro, che ha passato 12 ore, magari pure 14 in ufficio, è semplicemente un modo per nascondere il fatto di non sapere fare diversamente. Fa comodo guardare l’orologio e misurare il lavoro in base a quanti giri hanno fatto le lancette, è molto più difficile chiedersi “quanto ho reso oggi?”

Il cartellino, l’orario di lavoro, gli straordinari, sono solo un alibi per chi non sa fare un cazzo.

 


Articolo originale: https://www.lucafrediani.info/lo-smartworking-ai-tempi-dellidiotworking/

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